AQUILANI A ROTTWEIL: LAVORO E AMICIZIA, IL SANGUE VIVO DI UN GEMELLAGGIO

di Filippo Tronca

24 Settembre 2017 09:00

L'Aquila - Cultura

dal nostro inviato

L'AQUILA – Parola davvero impegnativa, quella di gemellaggio, nell’epoca segnata dalla paura delle invasioni barbariche, dei nazionalismi montanti e dell'egocrazia.

Eppure, quello tra L’Aquila e Rottweil, antica perla della Germania del Sud, è un gemellaggio che va oltre i protocolli, le visite istituzionali, le sfilate in costume d'epoca e le ragioni storiografiche.

È, al contrario, un legame vero, caldo, tra persone del popolo, rafforzato dagli enzimi dell’amicizia e del mutuo aiuto.

Bastava assistere, per averne contezza, ai baci, abbracci e sorrisi tra Hubert NovachBernard Pahlmann, e Pius Jauch, nel dare il benvenuto a Fernando Galletti, presidente dell'Amministrazione degli usi civici di Paganica, e all’allegra comitiva arrivata, dopo 15 lunghe ore di viaggio, dalla frazione aquilana, con porchetta, pecorini, salami, tartufi e zafferano, e pure banda musicale al seguito, all’ombra delle maestose cattedrali gotiche di Rottweil, le “chiese con i campanili pizzuti”, come ha acutamente osservato la signora Giuseppina, una delle componenti della compagnia.

Paganichesi e aquilani oramai di casa, tra la Foresta Nera e il fiume Neckar, tornati per partecipare alla grande fiera della Stadtfest, in cui è possibile ogni due anni assaporare piatti tipici e specialità del Baden-Württemberg, e delle città amiche di Rottweil, e anche delle varie comunità di emigranti, cinesi, russi, albanesi, turchi arrivati qui da decenni per lavorare in particolare nel grande polo industriale delle componenti meccaniche.

E tra loro si sono aggiunti, di recente, anche giovani aquilani, che qui sono emigrati, grazie all’aiuto degli amici di Rottweil, per lavorare e costruirsi un futuro che non vedevano in patria.

Accolti da una città pragmaticamente ospitale e culturalmente policroma, come lo sono le facciate di legno e pietra dei suoi palazzi medievali e ottocenteschi, che di caratteristico hanno gli erker, balconi chiusi e sporgenti per uno o più piani, decorati con eleganza, e che, a differenza di certe polluzioni edilizie realizzate in Italia, non sono abusivi e non hanno mai fatto vittime, crollando quando fatalmente la terra è tornata a tremare.

Palazzi che, nelle rare giornate di sole, splendono nella loro bellezza, e che a un altro paganichese in gita evocano l’Auditorium del Parco costruito da Renzo Piano all’Aquila nel post-sisma, da lui bonariamente rinominato “ju scatolo' colorato”.

Quelli di Rottweil contraccambiano la visita scendendo a Paganica a Pasqua per vendere, nella tradizionale fiera paesana, la loro straordinaria birra e lo speck, altra specialità. Ospitati con tutti gli onori e le attenzioni dagli amici abruzzesi. Immancabile, poi, una delegazione di Rottweil nel corteo storico della Perdonanza Celestiniana.

Rottweil è una cittadina di 25 mila abitanti ordinata, pulita e funzionale. La prima impressione è che agli spazi pubblici venga da tutti riservata la stessa attenzione e cura spesa per gli spazi privati.

Una città tutta “rizzilata”, suggerisce ancora una volta la vulcanica signora Giuseppina, come del resto lo sono le riposanti e ordinate campagne circostanti, dove si coltivano principalmente farro, orzo e mais, e si allevano mucche e maiali, e dove non vedi una stalla e una casa fuori posto.

La sua ricchezza è data, tuttavia, dalle industrie metalmeccaniche, legate al polo automobilistico di Stoccarda, e dove lavorano migliaia di addetti, provenienti da mezzo mondo.

Il futuro sta prendendo la forma di un'altissima torre, che ha stravolto lo skyline medievale di Rottweil, fino a poco tempo fa dominato dalle guglie gotiche, e dove la multinazionale Thyssenkrupp testerà ascensori a trazione magnetica.

Terre che furono, un tempo lontano, roccaforti della dinastia sveva dell’imperatore Federico II, lo stupor mundi, che regnò dalle montagne d’Abruzzo ai mari di Sicilia, per essere poi a sua volta conquistato dall’azzurro del cielo, e dai mille odori del Mediterraneo. E fu il figlio Corrado a dare alle popolazioni del contado aquilano il consenso di riunirsi in un'unica città, per sfuggire dal giogo dei signorotti delle valli.

A Rottweil ebbe, poi, i natali Adam Burkardt, allievo e collaboratore di Johannes Gutenberg, l'inventore della stampa a caratteri mobili. Adamo da Rottweil nel 1481 proprio all’Aquila aprì la prima stamperia del Regno di Napoli, e la terza in Italia dopo quelle di Venezia e Foligno.

Tra i primi mirabili incunaboli usciti dalla sua proto-tipografia le Vite parallele di Plutarco, ornato da splendide iniziali calligrafiche di colore indaco.

Segni del destino, per chi vuol crederci: anche il gemellaggio di cui questo giornale racconta è fatto di vite parallele e distanti che, però, spesso si incontrano, soprattutto nel momento del bisogno.

SOLIDARIETÀ TEUTONICA

A confermare che il gemellaggio tra L’Aquila e Rottweil non fosse solo un richiamo su un cartello stradale è stata soprattutto la mobilitazione che si è attivata a seguito del terremoto del 6 aprile 2009.

A poche ore dal sisma, era già stato aperto un conto corrente, con accreditati i primi 25 mila euro da parte della municipalità tedesca, su iniziativa del vice sindaco Werner Guhl, morto tre anni fa.

Sono subito partiti volontari della Protezione civile e della Croce rossa di Rottweil che, in particolare, hanno realizzato e gestito la tendopoli di Cansatessa, frazione dell’Aquila.

Altri cittadini volontari hanno operato nelle case di riposo e alla mensa celestiniana e si sono dati da fare in altri mille modi.

A seguire è partita una grande raccolta fondi, cui hanno partecipato cittadini, aziende e istituti bancari. I tanti ginnasi di Rottweil, che corrispondono ai nostri licei, hanno trattenuto dalla busta paga di insegnati e dipendenti, l’indennità aggiuntiva per le ferie.

In pochi mesi, il fondo ha raggiunto la considerevole somma di 400 mila euro. La donazione è stata, poi, affidata all’ambasciata tedesca in Italia, che l’ha utilizzata per realizzare Casa Onna, il centro di aggregazione nel cuore della omonima frazione aquilana che ha pagato il maggior tributo di sangue e distruzione al sisma del 2009.

Tra i protagonisti di questa mobilitazione Bernard Pahlmann, che nello specifico ha curato progetti a favore di anziani e abitanti dei quartieri post-sismici delle frazioni.

Ludwig Kohler, direttore della Volkshochschule, una sorta di università popolare dove si organizzano corsi e iniziative di tutti i tipi, e offre vari servizi a cittadini di tutte le età. Quest'ultimo, in particolare, si è impegnato, assieme all’associazione Amici dell’Aquila, nata già prima del terremoto, nell'offrire un'occasione di formazione e lavoro a giovani aquilani under 35, facendo leva sul progetto europeo Mobipro.





“Dopo il terremoto ho partecipato a conferenze dell’Università dell’Aquila, incentrate sulla formazione e la ricostruzione del tessuto sociale – spiega Ludwig – ed è stato chiaro che occorreva fare qualcosa anche per dare un lavoro, non necessariamente in loco, a giovani che lo avevano perso dopo il sisma, ed erano in difficoltà”.

“Così abbiamo utilizzato il progetto europeo Mobipro, già attivo in Germania. Con esso abbiamo organizzato corsi intensivi di lingua a L’Aquila, di quattro mesi, finanziati dal governo tedesco, e poi abbiamo pagato i costi di viaggi, e abbiamo aiutato a trovare un alloggio”, aggiunge.

A Rottweil, prosegue Ludwig, “i ragazzi hanno fatto un mese di prova nelle varie aziende che si erano dette disponibili ad assumere, a seguire fino a 3 anni di apprendistato, retribuito in media con 800 euro al mese. Delle 12 persone che hanno aderito al progetto – rimarca – ora sono qui a lavorare in nove, stabilmente, nel comparto della metalmeccanica, nella ristorazione e nei servizi. Le ditte e le aziende si dicono molto soddisfatte di loro”.

Ora Ludwig sta cercando altri fondi per avviare un secondo step del progetto.

“Iniziative come queste – spiega infatti – non sono utili solo a dare una mano a persone e famiglie che dopo il terremoto hanno dovuto affrontare tante difficoltà, ma anche a mantenere vivo questo gemellaggio”.

Come fa notare, “la mia generazione ha ancora il ricordo degli orrori della guerra, e della follia dei totalitarismi. È importante, dunque, per i nostri figli – sostiene – costruire un mondo sulle fondamenta della solidarietà, coltivando la pace, l’incontro tra popoli e culture, che sono sempre occasione di reciproco arricchimento”.

JACOPO, MATTEO, ELVIRA E GLI ALTRI

Tra chi ha beneficiato del Mobipro, e ha metaforicamente fatto le valige di cartone per venire a vivere e lavorare a Rottweil, ci sono Jacopo VarelliMatteo Pasqua ed Elvira Milani.

Jacopo, aquilano, professione elettricista, lo si incontra nel ristorante italianissimo di Giovanni Detta, emigrato qui trent’anni fa dal Cilento, dopo una giornata passata a fare panini con la porchetta nello stand di Paganica, ovviamente come volontario.

Il locale di Giovanni, finita la fiera, fa scorta dagli amici di Paganica di zafferano in fili, tartufo, pecorino e pomodori. E offre a tutta la comitiva la spaghettata di mezzanotte, quest’anno resa molto movimentata dalle tarantelle e saltarelli dei Cadicanpo, gruppo musicale “nato e rimasto in cantina”, come ci tengono a precisare.

Il suo locale è un ritrovo per tanti immigrati come lui, di nuova e vecchia generazione, ma anche per tanti tedeschi che apprezzano la sua leggerezza e simpatia contagiosa, i suoi piatti di pesce  fresco, e in particolare i suoi aperitivi a base di impepata di cozze e sauté di vongole.

“Da L’Aquila volevo andare via già prima del sisma – racconta Jacopo – poi è stata proprio la tragedia che ci è toccata in sorte a farmi cambiare idea, sarebbe stata una sorta di diserzione, un abbandonare il fronte nel momento più difficile”.

Ma poi, dissolta quell’energia invisibile che, simile al gas radon, ha alimentato per molti l’equivoco di confondere una ricostruzione edilizia con la palingenesi morale e sociale dell’universo mondo, sono subentrate le difficoltà, la stanchezza, anche per chi come lui lavorava nella piccola ditta edile di famiglia.

“Diciamo che operando nel settore dei subappalti della ricostruzione – prosegue il racconto Jacopo – non sono stato messo nelle condizioni di fare al meglio il mio lavoro. Troppi problemi, imprevisti, troppi pensieri che non ti facevano prendere sonno. E poi ho avuto l’impressione, nei rapporti quotidiani, che in troppi non avevano capito la lezione che il terremoto e l’emergenza ci ha aveva impartito, come la necessità di stare uniti, di aiutarsi a vicenda”.

Così ha partecipato al progetto degli amici di Rottweil, “ho fatto il corso di tedesco in Italia e poi il corso da elettricista in Germania.  Qui mi hanno aiutato a trovare casa, e l’affitto più o meno è lo stesso che ti chiedono all’Aquila – assicura – Insomma, eccomi qui, emigrato anche io, con un po’ di nostalgia, ma senza rimpianti”.

Un’emigrazione “dolce”, quella di Jacopo, che ora lavora in una ditta locale. Dopo appena 3 anni guadagna più di 2 mila euro al mese,  per 40 ore a settimana, con sabato e domenica liberi.

“Qui nessuno ti regala nulla – ammette – ma ti danno tutto quello che ti spetta. C’è una parola che definisce questo modo di fare, gerechtigkeit, che si traduce grosso modo con giustizia sociale, equità applicata nel quotidiano. E poi uno stipendio così, da elettricista, all’Aquila me lo sognavo. Inoltre qui i servizi funzionano a meraviglia, dai trasporti, alla sanità agli uffici comunali. E alla fine le tasse si pagano volentieri”.

Ci sono comunque, parola di Jacopo, miti da sfatare e altri che si riconfermano.

“Non è vero che qui gli italiani sono sciupafemmine, che c’è il mito del maschio latino e seduttore. Tutte frottole. Appena arrivato mi sono ritrovato, nel rapporto con l’altra metà del cielo, come un immigrato retrogrado – confessa – con il suo armamentario seduttivo da gallo cedrone, che qui viene vissuto come un’aggressione, o tutt’al più come una simpatica macchietta. Le donne sono molto libere ed emancipate, sono abituate a prendere loro l’iniziativa”.

Jacopo finisce di mangiare gli spaghetti aglio, olio e peperoncino, sfumati con la grappa e cucinati su crosta di pecorino. Osservando, dal tavolo del ristorante di Giovanni, la tranquilla vita della ricca provincia sveva alemanna scorrere placida e senza sussulti.

“Come aquilani, come italiani dobbiamo essere per sempre riconoscenti a queste persone. Hanno accolto nei decenni tanti nostri immigrati, hanno dato a tutti la possibilità di integrarsi, di trovare non solo un lavoro, ma il benessere economico – fa poi notare – Certo, il lavoro e i soldi non sono tutto. Le differenze di mentalità, di modo di vivere la socialità e il tempo libero, restano”.

“Per esempio qui, nei locali, le chiacchiere sono spesso uno sbrigativo intercalare tra una birra e un'altra, consumata in silenzio. All’Aquila, nei miei bar e locali preferiti, erano invece i bicchieri di vino a essere un intercalare tra risate e chiacchierate infinite. Un po’ questo mi manca, ma per ora resto qui”, dice.

Storia simile quella di Matteo, giovane di Paganica, che si è trasferito assieme alla compagna Elvira.

“Dopo il corso di lingua il lavoro l’ho trovato subito, dopo una settimana che ero qui – ricorda Matteo – e ho fatto il pittore, il carpentiere, poi 2 anni in un’azienda metalmeccanica. Ora, terminato il tirocinio, lavoro in una ditta che realizza isolamenti termici per porte e finestre”.

Anche lui ha un buono stipendio, molto più alto di quello che sarebbe riuscito a mettere in tasca nel capoluogo abruzzese.

“Dopo il terremoto mi occupavo traslochi, ma i compensi erano bassi e anzi, lavorando nei subappalti della ricostruzione, spesso la ditta non era pagata dai committenti e, di conseguenza, anche tu restavi senza stipendio – accusa – Qui è diverso. È impensabile essere pagati anche con un solo giorno di ritardo. E poi qui puoi progettarti un futuro. Se resti senza un lavoro, se vuoi mettere su famiglia, anche se straniero, qui lo Stato ti aiuta, non ti lascia solo”.

A tal proposito, è necessario un approfondimento: anche se lavoratore immigrato, ma solo se si è versato almeno un anno di contributi, si ha, innanzitutto, diritto all'Alg 1, il sussidio di disoccupazione che è possibile ottenere in caso di licenziamento. Ha durata massima di un anno e mezzo e ammonta al 60 per cento dello stipendio precedentemente percepito, molto più alto, in media, di quelli italiani.





Si ha, poi, diritto al Kindergeld, un assegno per tutti coloro che hanno figli, 190 euro a figlio fino al diciottesimo anno di età, che, in certi casi, si estende fino ai 25 anni. E ancora all'Elterngeld, congedo parentale di minimo 300 euro al mese, per stare con il proprio bambino per i primi 14 mesi di vita.

Se si sta vivendo, ancora, un periodo di ristrettezza economica perché senza un lavoro, non si gode più dell'Alg 1, o non si guadagna abbastanza per sostenere le spese quotidiane, si può usufruire dell'assegno sociale dell'Hartz IV, o Alg 2.

Ammonta a 404 euro al mese per un single, a 304 euro per chi vive in coppia, a cui si aggiungono fino a 306 euro per ciascun figlio, più assistenza sanitaria gratuita, contributo mensile variabile per pagare l'affitto e le bollette, sconti per abbonamento ai mezzi di trasporto e biglietti del cinema e del teatro.

Il sussidio è strettamente legato, comunque, alla propria disponibilità a svolgere lavori socialmente utili, pagati 1 euro l'ora, e corsi di integrazione se straniero.

E soprattutto, se non si accettano i lavori offerti dai potentissimi Jobcenter, l'assegno viene decurtato o cancellato del tutto.

L'Hartz IV, di cui godono oltre 6 milioni di persone, è oggetto anche di forti polemiche perché, rispetto al precedente sussidio di disoccupazione, vanto del welfare tedesco, l'importo è stato fortemente ridotto. E soprattutto perché i beneficiari sono costretti, a differenza di prima, ad accettare qualsiasi lavoro, anche molto lontano da casa, anche se estremamente dequalificante se confrontato al curriculum del beneficiario dell'assegno.

Con il risultato che è esploso il fenomeno dei mini job, e del lavoro interinale, sottopagato e senza diritti. Si sostiene insomma che di fatto l’Hartz IV da sussidio per i cittadini in difficoltà sia diventato un sostegno alle imprese, e un grimaldello per precarizzare il lavoro.

E così, se da una parte il Pil tedesco cresce e la produttività va a gonfie vele, dall’altra parte ci sono ben 13 milioni di tedeschi poveri, il 15,7 per cento di una popolazione di 82 milioni di abitanti. La disoccupazione è ai minimi storici, ma questo accade perché si considerano occupati anche coloro che devono tirare avanti a stento con i mini job.

Insomma, neanche in Germania è tutto rose e fiori.

Ma fa molto riflettere che per un italiano immigrato, nonostante ciò, la Germania appaia molto più evoluta, in tema di tutele e di welfare, rispetto al quasi nulla che spetta a tanti precari, partite Iva e parasubordinati in patria, che perdono il lavoro.

Matteo saluta Walter Melchiorre, immigrato della vecchia generazione, arrivato da Atri, in provincia di Teramo, e che ora fa il programmatore informatico, e anche Gianni Luceri, altro italiano, arrivato dal Salento, che gestisce il bar Cappuccio, proprio sotto la suggestiva torre medievale nel cuore della città, e dove si possono trovare ottimi vini a prezzi onesti.

Anche da lontano, se a salutarsi sono italiani a Rottweil lo si capisce dalle plateali pacche sulla spalla, dai sorrisi a tutta arcata dentaria, dal gesticolare fitto-fitto, dai decibel della voce, ben oltre la media dei luoghi.

“Di Paganica mi manca il calore e la leggerezza dei miei amici, la voglia di ridere e scherzare, nonostante i tanti problemi. Però i problemi, a forza di scherzarci sopra, sono diventati un po’ troppi. È tutto più difficile, in Italia, ed è per questo che Elvira e io, per ora, preferiamo restare qui”, conclude Matteo.

SULLE ORME DI GOETHE, CON LE TASCHE VUOTE

Indagando sul senso vivo di un gemellaggio, si scopre poi che c’è anche chi da Rottweil ha fatto il percorso opposto. È il caso di Pius Jauch, affermato cantautore che, nei suoi ultimi lavori, ha riscoperto la musicalità e i significati dell’antico dialetto svevo alemanno.

In Abruzzo era venuto una prima volta, ancora studente, proprio in virtù del gemellaggio, a seguito di una gita per partecipare alla Perdonanza, e poi una seconda per realizzare a Santo Stefano di Sessanio (L'Aquila) un palco di legno assieme ad Hubert Novach, che oltre ad essere un maestro nel produrre la birra, servita nel suo locale, è un talento con ascia, seghe e martelli.

Poi la decisione di fare un’esperienza più duratura in Italia, un viaggio romantico, come il leggendario grand tour del sommo poeta Johann Wolfgang Ghoete, per conoscere quel paese “dove fioriscono i limoni, nel verde fogliame splendono arance d'oro, un vento lieve spira dal cielo azzurro, tranquillo è il mirto, sereno l'alloro”.

Ma senza carrozza, servitù al seguito, e tasche piene di denari, come nel caso di Goethe, ai tempi ministro dello Stato di Weimar, annoiato e in crisi creativa.

“La gente di Paganica mi ha accolto come un figlio – inizia il racconto Pius – mi hanno ospitato a casa loro, mi hanno aiutato a trovare lavori per mantenermi. Del resto sono partito con pochi soldi, finito il ginnasio. Ma è stato un bene, solo così puoi fare esperienza di un Paese straniero, nella sua verità, nel bene e nel male”.

Pius della sua esperienza lavorativa preferisce non parlare. Si intuisce però che non ha di essa  un ricordo entusiasmante. Ha compreso sulla sua pelle, si può ipotizzare, che il medioevo in Italia non lo trovi solo negli antichi borghi e nelle rievocazioni in costume, ma anche in non rari rapporti di lavoro, soprattutto se sei precario e straniero.

Appassionato delle cose belle, a Pius piuttosto si illuminano gli occhi per ben altri ricordi.

“Dell’Abruzzo mi è rimasto nel cuore la luce, le praterie del Gran Sasso ingiallite dal sole, le notti trascorse sull’altopiano del monte Sirente a guardare le stelle e ad ascoltare l’ululato dei lupi”, rievoca.

“E poi ancora gli antichi paesi di pietra che spuntano lungo le valli, e che sembrano disegnati su una tavolozza di cielo azzurro. In quei paesi mi sono perso, tra vicoli e cortili, tra archi, scalinate e cantine che custodiscono tesori come gli attrezzi dei contadini abbandonati e impolverati. E mi ha fatto male scoprire che questi paesi si stanno spopolando”.

Sono più volte venute in Abruzzo anche due bellissime e bionde fanciulle di Rottweil, di cui si è concordato di non rivelare il nome.

Dopo il sisma aquilano, hanno cominciato a girare la Germania a suonare il violino per strada. In questo modo hanno raccolto oltre 5 mila euro, che poi hanno donato ai gemelli terremotati.

“Il bene si fa, non si dice”, spiegano, e per questo non vogliono rendere pubblico il loro nome.

Per la cronaca non si sono mai fatte selfie sopra le macerie, con caschetto giallo in testa ed espressione contrita. Gente strana queste sveve alemanne.

 

Commenti da Facebook

RIPRODUZIONE RISERVATA
Download in PDF©


    Ti potrebbe interessare:

    ARTICOLI PIÙ VISTI:


    Abruzzo Web