ATLANTE CRISI INDUSTRIALI: A TERAMO EDILIZIA AL PALO, SPERANZE PER TESSILE

30 Gennaio 2016 08:30

Teramo -

TERAMO – “Ci sono segnali di ripresa, certo, perché quest’anno hanno chiuso i battenti pochissime fabbriche del settore delle costruzioni, ma solo perché quasi tutte hanno chiuso l’anno scorso”.

Un’osservazione condita da triste ironia quella di Silvio Amicucci​, segretario abruzzese della Fillea Cgil, che guarda alla sua terra, la provincia di Teramo, con un misto di amarezza e tenue speranza.

Perché anche qui la crisi è tutt’altro che passata, non solo nel settore delle costruzioni, ma anche in quello della metalmeccanica, e del tessile, che è stato in particolare in val Vibrata per decenni un fiore all’occhiello non solo dell’economia regionale, ma del made in Italy. E che è appena stata riconosciuta come area di crisi.

Ad attestare che la ripresa per le dolci colline teramane, se è arrivata, ancora in pochi se ne accorgono, sono i dati della Camera di commercio relativi al trimestre luglio-settembre 2015,  secondo cui aumentano del 5,1 le cancellazioni delle imprese (351), e diminuiscono pure del 10 per cento per cento le iscrizioni delle nuove imprese. 

Non si registrano miglioramenti sul fronte occupazionale, pressoché stabile, dopo però l'emorragia drammatica di posti di lavoro che non si arresta dal 2008. 

Cominciando la panoramica da uno dei settori portanti dell’economia teramana, quella dell’industria delle costruzioni, che spazia dalla produzione di laterizi e legno e che con sé porta uno straordinario indotto, i dati dicono che dal 2008 al 2015 si è passati da 5.200 a 1.600 lavoratori, da 1.300 a 450 imprese, da 52 milioni di euro a 24 milioni di euro di massa salari.

Eppure, ci sarebbero da ricostruire otto comuni terremotati – MontorioTossiciaColledara, Fano Adriano, Pietracamela, Arsita, Penna Sant'Andrea e Castelli – con lavori dal valore di circa 350 milioni di euro in cinque anni, una media di 35-70 milioni di euro l’anno.

Ma ad oggi, ironia della sorte, i fondi della ricostruzione sono come il grappolo irraggiungibile per della volpe alla fame del noto adagio popolare.

“In provincia di Teramo – conferma Amicucci – ci sono molti comuni dentro il cratere sismico che hanno riportato ingenti danni, così come tanti comuni extra cratere, tra cui Teramo, con 20 milioni di euro di lavori preventivati. Per ora sono arrivati pochi spiccioli e pochissimi cantieri hanno aperto i battenti”.





Fondi, precisa Amicucci, che “avrebbero consentito a tante aziende di tenere botta alla crisi generalizzata dell’industria legata all’edilizia. Nel 2008, scendendo nel dettaglio, c'erano nel Teramano 13 fabbriche di manufatti in cemento, ora ne sono rimaste solo due. E si sono persi 500 posti di lavoro. Hanno chiuso anche molte fabbriche specializzate nel materiale ligneo, con 600 posti di lavoro in meno”. 

Non va meglio, anche se qualche luce in fondo al tunnel si comincia ad intravedere, in un altro settore importante dell’economia teramana, quello del tessile, concentrato nella Val Vibrata e che un decennio fa era una piccola Eldorado, che macinava fatturati e creava ricchezza diffusa. Poi la crisi nera, causata dalla micidiale concorrenza dei paesi emergenti.

Dal 2008 al 2015 sono stati persi in Val Vibrata 5.845 posti di lavoro, 503 sono le imprese interessate da procedure concorsuali, 178 quelle già fallite, di cui sono 153 nell’ultimo quinquennio.

Molte aziende hanno delocalizzato all’estero, favorendo l’acquisizione delle ditte decotte della Val Vibrata da parte di investitori cinesi, che però non creano posti di lavoro per i disoccupati teramani.  

E se da una parte c’è uno zoccolo duro di aziende che, puntando sul lusso e la qualità garantita da maestranze che vantano una professionalità altissima, riescono ancora a stare sul mercato, altre gettano drammaticamente la spugna.

Da mesi, Provincia e Regione hanno ripreso in dialogo con il ministero per lo Sviluppo e l’economia affinché la Vibrata sia riconosciuta come area di crisi complessa e possa beneficiare dei finanziamenti che vengono messi a disposizione per “le crisi industriali complesse del Sistema locale del lavoro”. 

Si tratta di fondi che consentirebbero di finanziare anche opere infrastrutturali, come la Pedemontana a nord, oltre alle misure a sostegno del sistema impresa e dei lavoratori.

Ma bisogna far prestom visto che è ad un passo dal chiudere i battenti ad esempio la Bontempi di Martinsicuro, settore moda, con 64 lavoratori che dovranno trovarsi un nuovo lavoro, senza neppure il paracadute degli ammortizzatori sociali oramai esauriti.

Grande preoccupazione anche per Industria tessile Vomano di Cellino Attanasio. La crisi dell’azienda si è acutizzata nella seconda metà del 2014 ed ha portato a una procedura di concordato preventivo in continuità, e il rischio che gli ultimi 130 lavoratori perdano il posto di lavoro è altissima.

In contro tendenza la Golden Lady di Basciano, che ha confermato una nuova linea produttiva di collant con cuciture a “quattro aghi”, prodotto che si colloca nella fascia alta del mercato, anche per committenti esterni, che comporterà la riorganizzazione del ciclo produttivo e la possibilità di reimpiegare dai 40 ai 60 addetti. 





Attualmente nello stabilimento di Basciano sono impiegati 323 dipendenti e 100 sono in contratto di solidarietà.

In ogni caso, nel settore metalmeccanica la crisi è durissima, basti ricordare quel che è accaduto alla Cmp di Martinsicuro, per anni azienda leader nel settore della carpenteria metallica, fallita il 12 agosto dell'anno scorso. Oltre 100 dipendenti sono in cassa integrazione, ma gli ammortizzatori termineranno ad aprile. 

Poi, c'è la Mta di Castelnuovo Vomano, che produce tubi scappamento per i colossi automobilistici tedeschi, ma che ha pure annunciato poi di voler delocalizzare la produzione in Serbia.

Mentre a Teramo ben 400 lavoratori rischiano di ritrovarsi in mezzo alla strada.

Anche la Maccaferri vuole abbandonare il sito produttivo di Castilenti, dove lavorano oltre 40 dipendenti che producono reti per gabbionature. L'azienda ha cercato di giustificarsi dicendo che il mercato è solo nel Nord Europa e che lo stabilimento di Castilenti comporta delle perdite, in quanto il costo del trasferimento del prodotto è molto elevato.

A distanza di tre anni, si sta risolvendo la drammatica della fonderia Veco di Martinsicuro. Questa volta la crisi non c’entra: mancano infatti le varie autorizzazioni ambientali per ritardi della burocrazia regionale e degli enti locali.

La Regione Abruzzo ha rilasciato solo venerdì scorso l’autorizzazione ambientale integrata, il cui rinnovo era stato chiesto dalla fonderia di via Roma nel 2013. 

La Veco potrà così riaccendere i forni, riprendere la produzione per la gioia dei lavoratori, in assemblea permanente dallo scorso 11 gennaio, con 71 dipendenti su 100 messi in mobilità due giorni prima di Natale.

“Si riparte ma si deve correre, per evitare che i clienti scappino ancora. Ma c’è soprattutto una cosa da fare: contare i danni creati da una burocrazia ingiustamente lenta”, ha dichiarato a tal proposito il segretario della Fim Cisl, Marco BoccaneraFilippo Tronca

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