CASA DELLO STUDENTE IN CASSAZIONE: CONFERMATE TUTTE LE CONDANNE

di Alberto Orsini

11 Maggio 2016 13:19

L'Aquila - Cronaca, Video

dal nostro inviato

L'AQUILA – Era un “castello di carte”, frase riecheggiata anche negli stanzoni della Cassazione, la Casa dello studente dell'Aquila, crollata nel terremoto del 6 aprile 2009 causando otto vittime: lo era già dal 1965, anno di costruzione, e nessuno dei professionisti avvicendati a restaurarla se n'è accorto o è intervenuto. Un'omissione, assieme a quella dell'ente pubblico proprietario, costata la vita a otto giovani.

Su questi presupposti, la quarta sezione penale della Suprema Corte ha confermato in via definitiva le quattro condanne per il crollo: 4 anni di carcere per Pietro Centofanti, Tancredi Rossicone e Berardino Pace, tecnici del restauro alla struttura eseguito nel 2000, e 2 anni e 6 mesi per Pietro Sebastiani, tecnico dell'Adsu e presidente della commissione di collaudo.

Le accuse nei confronti degli imputati erano di omicidio colposo, disastro e lesioni.

Alla lettura della sentenza da parte del presidente del collegio giudicante Rocco Blaiotta ci sono state tantissime scene di commozione tra i numerosi famigliari delle vittime e i legali di parte civile presenti in aula.

Tra i legali di parte civile presenti, Simona Giannangeli, Domenico e Giovanni D'Amati per la famiglia di Davide Centofanti; Arnaldo Tascione, Simona Fiorenza e Norma Daniele per la famiglia di Francesco Esposito; Elena Leonardi per la famiglia di Luca Lunari; Marino Marini per la famiglia di Roberto Di Simone; Wania Della Vigna e Guido De Luca per la famiglia di Hussein Hamade e altri.

LE REAZIONI DELLE PARTI CIVILI

“Non credevamo che sarebbero stati rigettati i ricorsi, ma che anche questa volta i giudici avrebbero fatto sconti. Non è stato così e sono contenta di poter dire che anche uno studente può avere giustizia, anche uno che non ha i mezzi per farcela da solo e viene accolto in una casa dello studente”. Mentre scorre il pianto che sfoga la paura, riesce addirittura a sorridere Lilli Centofanti, che nel crollo ha perso il fratello Davide.

“Non è morto andando in guerra, non è questo l'università. È morto facendo il suo dovere e non è giusto. Una condanna non era solo ben accetta ma necessaria, per tutti. Farà bene a tutti quelli che si ritroveranno a subire una violenza come questa”.

Annamaria Cialente, mamma di Francesco Esposito, custode della struttura, avrebbe voluto “che anche per gli altri processi si fosse fatta giustizia. I nostri ragazzi non ci sono più, il dolore rimarrà tutta la vita, non c'è somma che ce li riporterà a casa – ricorda – ma almeno hanno avuto giustizia”. Roberto Lunari, papà di Luca, confessa che “è stata una cosa sofferta fino all'ultimo momento, quando il procuratore ha chiesto di rideterminare la pena abbiamo avuto paura, ma per fortuna la giustizia ha prevalso su tutto”.

“Le condotte sono state ritenute definitivamente sussistenti, ci sono stati assoluti profili di colpa da chi è intervenuto nel tempo su quell'edificio – dichiara l'avvocato Simona Giannangeli, fin dall'inizio coinvolta nel processo – Quelli che sono rimasti nella Casa lo hanno fatto per rispettare impegni o non lasciare soli amici e sono morti in un luogo pubblico, un luogo a cui si erano affiati per studiare e potersi costruire un futuro. La sentenza di oggi scrive una pagina importante rispetto a un evento, quello del terremoto, che è costato la vita a 309 vittime”.

La commozione colpisce anche professionisti che hanno seguito questo processo da sei anni come l'avvocato Wania Della Vigna. “Si è chiusa una pagina dolorosa per L'Aquila e per la sua parte più debole, gli studenti fuorisede capaci e meritevoli che abitavano in quella casa, in quel castello di carta – dichiara con gli occhi lucidi – Siamo arrivati a una verità storica, questi ragazzi non sono morti per il terremoto ma per le responsabilità umane dei professionisti”.

DA CANZIO A SCHIRO' QUANTI EX, E PICUTI ESULTA

“In bocca al lupo, fatemi sapere come è andata”.

Il saluto, prestigioso e mattiniero, ai primi legali giunti tra i tanti del processo Casa dello studente è di un viso familiare: quello di Giovanni Canzio, per un biennio presidente della Corte d'Appello aquilana e ora al “Palazzaccio” sullo scranno più alto, quello di primo presidente.

Per la Grandi rischi in piazza Cavour c'erano i comitati, gli ultrà del calcio, gli striscioni, stavolta nessuno sfida la solennità senza tempo della Suprema Corte.

Un altro viso familiare che si incontra in ascensore, ma che gira a largo dall'aula “Tartaglione”, molto più piccola dell'aula magna e piena all'inverosimile, è quello di Stefano Schirò, che nel capoluogo, da successore di Canzio, ha difeso l'operato dei giudici aquilani d'Appello dopo le assoluzioni nel processo Grandi rischi, poi divenute definitive, contestando la rivolta di piazza, lui invece è divenuto presidente del settore manutenzione del palazzo.

L'udienza è convocata alle 10, ma si comincia solo alle 12.20 perché c'è prima una quindicina di cause da trattare.

“Conosciamo perfettamente il processo e tutti i motivi di ricorso, quindi è inutile che ci ripetiate cose note”, l'avvertimento del presidente del collegio Rocco Blaiotta, che vuole fare alla svelta e pungola gli avvocati.





“Abbiamo capito i motivi del suo ricorso, ce li ha detti tre volte”, dirà al difensore Mercurio Galasso. Assiste in silenzio, invece, al breve sfogo dell'avvocato Angelo Colagrande, che quasi si commuove a ricordare le giovani vittime e il terremoto che “non è stato come il rumore del tram sul lungotevere”.

Tanti i familiari che restano senza fiato quando il sostituto procuratore generale Oscar Cedrangolo chiede “l'annullamento con rinvio”, poi si capisce che riguarda solo le attenuanti e comunque la richiesta è di confermare le condanne. Alla fine la gioia dei tanti familiari delle vittime presenti.

Che coinvolge, pur nell'istituzionalità del ruolo, anche il sostituto procuratore che ha dato vita a questa e altre inchieste, Fabio Picuti. “Mi fa piacere che da questo lavoro sia emersa una risposta certa che la Cassazione ha dato in sette anni, un tempo abbastanza breve – dichiara ad AbruzzoWeb – Il compianto procuratore Alfredo Rossini diceva che dovevamo cercare risposte e per la Casa dello studente e il Convitto c'è stata una risposta certa. Mi dispiace per gli imputati perché nessuno gioisce delle condanne”, conclude. Alberto Orsini

LA cronaca della GIORNATA IN CASSAZIONE

La giornata si è aperta con il sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione, Oscar Cedrangolo, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della parte della sentenza d'Appello relativa alle attenuanti generiche per il crollo della Casa dello studente.

Se fosse stata accolta, la richiesta avrebbe portato a un nuovo dibattimento in un'altra corte d'Appello per rideterminare la pena nei confronti dei quattro imputati calcolando anche le attenuanti generiche.

Cedrangolo ha ritenuto accoglibili i motivi di ricorso sulla mancata concessione delle attenuanti generiche per motivazione insufficiente. Rigettati, invece, tutti gli altri motivi di ricorso.

Nella sua requisitoria, durata circa 15 minuti, Cedrangolo ha evidenziato in primis che “solo l'1 per cento degli edifici in cemento armato è crollato dopo il terremoto dell'Aquila” e quindi “di per sé il sisma non può essere causa sufficiente per giustificare il crollo”.

Il pg ha anche smentito la contestazione delle difese per la quale “la sentenza di Appello ha negato l'esistenza di una concessione edilizia di precedenti lavori di restauro del 1980”, invece citata in sentenza, lavori per i quali sono stati indagati e assolti in primo grado e altri tecnici.

L'INIZIO DEL PROCESSO

“Conosciamo perfettamente il processo e tutti i motivi di ricorso, quindi è inutile che ci ripetiate cose che già conosciamo”.

Con questa avvertenza il presidente del collegio della quarta sezione penale della Cassazione, Rocco Blaiotta, alle ore 12.20 ha dato il via al processo per il crollo della casa dello studente dell'Aquila, dove la notte del 6 aprile 2009. 

IL RELATORE RICORDA LA PERIZIA MULAS:
“BASTAVA LEGGERE IL PROGETTO PER CAPIRE”

In premessa della sua relazione, durata 40 minuti,  il giudice relatore Daniele Cenci ha ricordato che “le sentenze di primo e secondo grado valorizzano in larga parte l'esito dell'ampia perizia del perito del gup, la professoressa Gabriella Mulas”.

“Il terremoto del 6 aprile non è stato eccezionale e non può costituire da solo causa del crollo. È stata una concausa, ma va valutata assieme alle gravi deficienze strutturali. Inoltre gli edifici intorno sono rimasti in piedi – ha elencato citando la perizia – Le sentenze evidenziano autonomi elementi riconducibili all'elemento umano, in particolare plurimi elementi di appesantimento dopo i vari interventi di ristrutturazione”.

“La causa del cedimento dei pilastri è dovuto alla mancata resistenza strutturale, ma l'inserimento della parete tagliafuoco Rei ha aumentato il carico”, ha proseguito poi, citando anche la frase divenuta famosa del perito Mulas durante il suo esame in aula: “Sarebbe stato sufficiente leggere anche solo la prima pagina del progetto del 1965 per capire che l'edificio così com'era progettato non poteva garantire la sicurezza”, disse il perito e queste parole sono risuonate anche dentro il Palazzaccio.

Tra i 6 motivi dei ricorsi di appello per i tre tecnici, come riassunto dal relatore i difensori Galasso hanno fatto notare che “non avendo autorizzato la variazione di destinazione d'uso dell'immobile non sarebbe stata doverosa in base alle norme, una nuova verifica sismica come invece contestato”.

Inoltre è stato contestato come “la Corte d'Appello dell'Aquila non abbia acquisito tra le prove un nuovo dvd con delle simulazioni del perito della difesa, rigettando la richiesta con motivazioni insufficienti”.

Anche la difesa Sebastiani, affidata agli avvocati Attilio Cecchini e Angelo Colagrande, tra gli otto motivi di ricorso  sostiene “l'insussistenza di qualsiasi obbligo da parte sua a effettuare nuove verifiche sismiche visto che quei lavori non coinvolgevano le strutture”.

PROCESSO SAREBBE POTUTO SLITTARE A LUGLIO





Il processo di Cassazione per il crollo della Casa dello studente dell'Aquila sarebbe potuto slittare a luglio.

Due degli avvocati difensori degli imputati, i legali pescaresi Mercurio e Massimo Galasso, hanno infatti presentato al presidente del collegio, il magistrato Blaiotta, un'istanza di rinvio che, se fosse stata accolta, avrebbe dato modo alla Corte Costituzionale di esprimersi sui termini della prescrizione di un caso giudiziario che, secondo loro, presenta alcune analogie tecniche con questa vicenda.

Un caso che, tra l'altro, è stato sollevato alla Consulta proprio dalla quarta sezione penale chiamata oggi a giudicare sul crollo che causò otto vittime.

VERDETTO IN SERATA

Chiusa dopo le 12 la fase dibattimentale del processo di Cassazione per il crollo della casa dello studente dell'Aquila nel terremoto del 6 aprile 2009.

I giudici si sono riuniti in camera di Consiglio e il verdetto è arrivato dopo le 20.

Il sostituto procuratore Oscar Cedrangolo ha chiesto la conferma delle 4 condanne per omicidio colposo, disastro colposo e lesioni, ma con rideterminazione della pena per la concessione delle attenuanti generiche.

Le difese hanno chiesto, tra le altre cose, di dichiarare il reato estinto per prescrizione dal momento che i termini sarebbero scattati da quando sono avvenuti i lavori contestati nelle accuse, quindi dal 2000.

PARTI CIVILI, LA CARICA DELLE MEMORIE SCRITTE

Tra le parti civili, dopo il solo intervento dell'avvocato Guido De Luca, tutti gli altri colleghi si sono affidati al deposito di memorie scritte, abbreviando notevolmente i tempi come d'altronde chiesto dal presidente Blaiotta.

LE DIFESE

SEBASTIANI: “NON SONO SUE LE RESPONSABILITA'”

È stato quindi il turno delle difese. Per l'architetto Sebastiani, Angelo Colagrande ha prima di tutto ammonito che “del terremoto si è parlato in termini blandi come fosse il rumore del tram sul lungotevere, ma io abitavo a 30 metri dalla casa dello studente, ci sono rimasti sotto dei ragazzi”.

“La legge chiede il controllo statico sugli edifici solo in caso di lavori sulle strutture”, ha rimarcato poi.

A dargli man forte il collega Attilio Cecchini, che ha evidenziato le responsabilità degli altri tre imputati cui si era affidato Sebastiani: “Colui il quale si affida, non può essere chiamato a rispondere delle condotte dei soggetti a cui si è affidato”.

I TRE TECNICI: “MANCA NESSO CAUSALITA'”

Sul tema dei mancati controlli l'avvocato Mercurio Galasso ha ricordato che “i nostri assistiti hanno verificato documenti del 1971, 1980 e 1989”.

“Abbiamo fatto dieci domande alla professoressa Mulas, tra cui, l'inserimento della parete Rei è stata concausa del crollo? Ha risposto di no. I lavori degli imputati hanno inciso sul determinismo causale? No. Manca completamente il nesso di causalità”.

Per Massimo Galasso “la eventuale condotta si è verificata prima e la fattispecie era prescritta ancora prima che il pubblico ministero esercitasse l'azione penale”. Insomma il termine per l'estinzione del reato per prescrizione doveva scattare calcolando i termini dalla fine dei lavori di restauro.

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