CASSE DI ESPANSIONE DEL FIUME PESCARA SI ACCENDE SCONTRO SULLA LORO UTILITA’

di Filippo Tronca

29 Giugno 2016 08:30

Regione - Politica

PESCARA – Pareva facile ma non lo è, per il presidente della Regione Luciano D’Alfonso “riconciliare l'acqua salata del mare con l'acqua dolce dei fiumi”, come enfaticamente promesso in campagna elettorale. Prova ne è il conflitto che sta crescendo intorno al progetto delle vasche di espansione del fiume Pescara.

Un'opera da quasi 60 milioni di euro necessaria a far espandere il fiume a monte, in caso di piena, dentro I grandi bacini da realizzare nei comuni di Rosciano, Cepagatti e Manoppello, in provincia di Pescara,  e nella frazione di Brecciarola di Chieti.

Al fine di evitare il rischio esondazioni a valle, in primis a Pescara, dove è ancora fresca la memoria dell’alluvione del dicembre 2013, quando è stato necessario evacuare l’intero quartiere di Villaggio Alcyone e l’acqua ha invaso la golena sud e quella nord”. Il progetto redatto dalla Società Beta di Padova deve ora passare al vaglio della Commissione Valutazione impatto ambientale della Regione.

Ma più si procede al suo approfondimento, più emergono problemi e motivi di contrarietà. Dentro palazzo dell’Emiciclo, dove si registra il niet del Movimento 5 stelle e le forti perplessità del centrodestra. E nei territori interessati, in particolare nei comuni di Cepagatti e Rosciano, da parte dell’agguerrito Comitato “No casse” formato da circa cento proprietari delle fertilissime terre in cui dovranno essere realizzate le vasche, che ieri sera hanno incontrato il presidente D’Alfonso per chiedere soluzioni alternative ad un intervento che comprometterà la loro attività agricola, e comunque chiedono prezzi di esproprio più alti rispetto. Ma c’è soprattutto, tra geologi e naturalisti anche chi si appresta a osservare al Comitato Via che le casse sono addirittura inutili, perché non diminuiranno la portata di un eventuale piena in modo significativo.

Con il retro-pensiero secondo cui le vasche in realtà servano a consentire in primis l’ampliamento del centro commerciale Megalò, in aree che con le vasche non sarebbero più a rischio inondazione.

Dall’altra parte Il presidente D’Alfonso e il sottosegretario con delega all’ambiente Mario Mazzocca difendono la bontà del progetto, avviato dalla giunta di centrodestra di Gianni Chiodi che rappresenterà anche un'occasione di riqualificazione a basso impatto ambientale del bacino del Pescara. Un’opera del resto considerata senza alternative ed urgente, visto che la dissennata cementificazione dei territori lungo il fiume mette ora oggi a repentaglio al sicurezza di migliaia di cittadini.





COSA PREVEDE IL PROGETTO

L’intervento proposto è costituito da un insieme di opere idrauliche che nel loro complesso andranno a realizzare tre bacini di invaso temporaneo delle acque di piena del fiume Pescara, per evitare esondazioni distruttive altrove, da realizzarsi a circa 25 chilometri dalla foce fiume Pescara, poco a monte della confluenza con il torrente Nora.

È prevista una vasca da 29 ettari sul territorio di Chieti e Manoppello, una seconda da circa 65 ettari sul territorio di Cepagatti, una terza da 26 ettari sul territorio di Rosciano, che a differenza dei primi due vasche occuperebbe 13 ettari di area destinata nel piano regolatore ad aria artigianale, industriale e commerciale.

Per realizzare gli invasi è prevista la movimentazione di una quantità di materiale di circa 800 mila metri cubi di terreno, necessari ad abbassare il livello degli invasi e portarli a alla quota del fiume.

Con il terreno di risulta sarà possibile realizzare le argini, che poi saranno rinverditi mediante riporto di terreno vegetale e semina di sostanze erbacee mentre sulla sommità sarà realizzato un piano in pietrisco per renderli percorribili. Andranno poi realizzati i manufatti in cemento armato per creare il sistema di canalizzazione, che collega il fiume agli invasi.

Le sottrazioni di aree alla produzione agricola, si specifica nel progetto “sarà limitato allo spazio necessario per la realizzazione delle arginature e dei manufatti idraulici”. Una volta ultimati i lavori il piano campagna racchiuso dalle arginature potrà essere riutilizzato a scopi agricoli con alcune limitazioni d’uso” ovvero l’impossibilità di realizzare edifici, anche se di piccole dimensioni, per lo stoccaggio materiale, ed altri vincoli similari per impedire all’acqua la possibilità di trascinare a valle materiali.

Dentro le vasche dove è previsti allagamenti però non sarà facile coltivarci, e il progetto come forma di mitigazione la riconversione dell’attuale uso agricolo del suolo incluso nelle casse di espansione verso forme meno vulnerabili alle esondazioni come, per esempio, quella orientata alla produzione della biomassa, mediante coltivazione di specie arboree a rapida rotazione.

GLI AGRICOLTORI: “UNA MISERIA LE COMPENSAZIONI ECONOMICHE”

La Coldiretti assieme ai proprietari terreni uniti nel Comitato No casse, che dovranno mettere a disposizione i terreni tanto per cominciare considerano però irrisori i 15 mila euro per ettaro di compensazioni, tenuto conti che parte di questi terreni, nel comune di Rosciano, sono edificabili, non agricoli. La Coldiretti, nelle osservazioni depositate al Comitato Via, ha evidenziato che non sono state analizzate le alternative possibili alternative possibili al progetto delle vasche di espansione, come a esempio una capillare ripulitura degli argini del fiume.





Il capogruppo di Forza Italia alla Regione Abruzzo Lorenzo Sospiri e i consiglieri comunali di Cepagatti Monica Ciuffi e Paolo Di Domizio evidenziano poi che prima del parere da parte della Commissione Via, va rivista la procedura stessa di revisione del progetto, manca lo studio sull’habitat, lo studio sulle terre e rocce di scavo, sulla Valutazione Ambientale Strategica.

I GEOLOGI: “OPERA INUTILE”

Le critiche più radicali sono contenute nelle osservazioni messe a punto da un gruppo di geologi professionisti e che a breve saranno anch’esse depositate al Comitato Via.
Il progetto si evidenzia è finalizzata a ridurre di circa il 13 per cento la portata massima dell’onda di piena garantendo in teoria un ritardo del picco dell’ onda di piena di 13 ore.

Sono però note nella classificazione degli eventi di piena del fiume Pescara la persistenza di fenomeni alluvionali per circa 48 ore a causa dell’assetto idrogeologico dell’intero bacino. Ergo non vale la pena spendere quasi 60 milioni di euro per un intervento che non mette al riparo dal rischio alluvione i centri abitati a valle, ma ritarda solo la tragica evenienza.

Il progetto, poi è stato studiato adeguandosi ad una previsione di portata limitata al caso di circa 690 metri cubi al secondo, indicando nei 50 anni il periodo di ritorno, ovvero il tempo medio intercorrente tra il verificarsi di due eventi successivi di entità uguale o superiore. Ma se si considerano tempi di ritorno di 200 anni, per un opera la portata massima di una eventuale piena è di 1.200 metri cubi al secondo, più del doppio di quella che è in grado di disinnescare l’opera.

E va anche tenuto conto che alla luce delle pubblicazioni climatologiche ufficiali internazionali è pressochè sicuro un aumento degli eventi meteorologici estremi.

Un progetto di “smorzamento” insomma del 10 per cento dell'onda di piena sul fiume Pescara, sempre ammesso che l'evento di piena non superi le 13 ore e che la portata si mantenga circa al di sotto del 30 per cento dei massimi storici. Che non giustifica il costo e la distruzione di ettari di terra fertile.

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