COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI: IN ABRUZZO SI RIPETONO I RITI DEL ”CAPETIEMPE”

di Eleonora Marchini

2 Novembre 2016 11:54

L'Aquila - Cultura

L’AQUILA – “Non sono morto. Sono solo passato dall’altra parte”. Un sottile filo lega vivi e defunti attraverso le tradizioni secolari che celebrano la notte del ‘Capetièmpe’, tra il primo e il 2 novembre, giorno della commemorazione dei morti.

L’Abruzzo è ricco di usanze dal sapore gotico, che uniscono cioè gli amori perduti alla morte e al soprannaturale, in un misto di terrore e romanticismo.

Riti che raccontano il tentativo dell’uomo di esorcizzare il temuto passaggio al mondo dell’inarrivabile, dello sconosciuto, per sconfiggere o almeno alleviare la paura della fine.





Nei paesi dell’entroterra abruzzese, ad esempio, è consuetudine lasciare la notte del 1 novembre la tavola imbandita, per il ristoro delle anime dei defunti che per un breve tempo lasciano l’aldilà e tornano a far visita alle loro case.

Un segno che i vivi non hanno dimenticato i loro cari, un modo anche per ingraziarsi la benevolenza delle anime che, interrotto il loro cammino terreno, vagano irrequiete per le vite lasciate in sospeso.

A Pacentro (L’Aquila), l’usanza vuole che la tavola sia apparecchiata con ogni ben di Dio, come descrive Antonio De Nino nel suo Usi e costumi abruzzesi: “In Pacentro il rito è più bello. La mensa nelle famiglie agiate s’imbandisce esclusivamente pei morti. E si crede proprio che le anime dei defunti s’appressino all’imbandita mensa – forse per vedere se i vivi si ricordano dei morti? – la mattina poi i cibi si distribuiscono ai poveri”.

Le persone che ci lasciano non muoiono mai davvero, finchè restano vive nei ricordi: una frase fatta, forse, per dire che si impara solo, con il tempo, a convivere con l’assenza o, piuttosto, con una non presenza.





L’anima di chi è defunto resta negli oggetti, nelle stanze, nei luoghi che ogni giorno continuano a essere attraversati dalla vita: può capitare invece, talvolta, di notte, in questa notte di Capetièmpe, di vedere sfilare in processione gli spiriti dei morti, protetti dall’oscurità, perché la luce è simbolo di vita mentre si deve commemorare l’estinzione della vita.

A Cugnoli (Pescara) si ha cura perciò di spegnere ogni luce, ogni focolare, ogni fiammella la notte dei morti, mentre a Introdacqua (L’Aquila) le anime attraversano il paese in processione: è la “Scurnacchièra”, una macabra e dolente sfilata di spiriti, in testa i fantasmi dei bambini nati morti seguiti da quelli dei bimbi morti dopo il battesimo, poi i ragazzi, poi gli adulti, infine i vecchi e i preti.

Brutto presagio, per chi dovesse imbattersi nella Scurnacchièra: vorrebbe dire entrare a far parte della processione, in breve tempo.

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