CORONAVIRUS: BENEDIZIONE AFFIDATA A OPERATORI SANITARI E NIENTE FUNERALI, PSICOLOGO, ”LUTTI NON ELABORATI”

26 Marzo 2020 17:35

Regione -

PESCARA – Niente confessione, niente unzione, ma solo benedizione e comunione, esclusivamente ad opera degli operatori sanitari, su delega dei sacerdoti, che prima, invece, giravano nei reparti e si prendevano cura dei pazienti. 

A raccontare come cambia la quotidianità all'ospedale di Pescara con l'emergenza coronavirus è il cappellano del presidio sanitario, don Giancarlo Mandelli, il quale sottolinea come, oggi, una delle attività principali sia quella di “stare vicini ai familiari” delle persone decedute con Covid-19, che “non possono vedere i propri cari”.





“Quando non c'era l'emergenza coronavirus – racconta all'Ansa don Giancarlo – andavamo nei reparti per le confessioni, per la comunione, per l'unzione, magari prima di un intervento. Ora su disposizione della direzione sanitaria non possiamo più entrare nei reparti. D'altronde i Dispositivi di protezione individuale (Dpi) mancano perfino per gli operatori sanitari. Per quanto riguarda la confessione, è stata introdotta l'indulgenza plenaria, ma comunque uno dei veicoli per confessarsi è anche il telefono”. 

“In ogni caso gli operatori sanitari, preparati ad actum, possono dare la comunione o la benedizione, se richiesto dal paziente – aggiunge – Ora ci occupiamo soprattutto di stare vicini ai familiari dei defunti, che non possono vedere i propri cari né durante la malattia né dopo il decesso. E' un momento difficile e cerchiamo di dare loro conforto”.
    
“Gli operatori sanitari stanno facendo un grande lavoro. Il professor Parruti e sua moglie, rianimatrice, stanno facendo sforzi immensi. Vedo una grande collaborazione tra tutti, una grande unione. Sono in azione persone valide e umane. E' sicuramente un momento duro. Noi cerchiamo di dare il nostro contributo. Preghiamo il Signore affinché ci aiuti e affinché la pandemia passi. Nella preghiera – conclude don Giancarlo – cerchiamo di dare forza agli altri”.

Lo psicologo e psicoterapeuta familiare Marco Simone, esaminando le possibili conseguenze, per i familiari delle migliaia di vittime di Covid-19, della mancata celebrazione dei funerali dei loro cari alla luce dei rischi di contagio, spiega: “In questi giorni si parla molto delle conseguenze economiche del virus, ma non abbastanza di quelle che riguardano le persone che non hanno la possibilità di celebrare i funerali dei propri cari. La mancata elaborazione del lutto può minare l'equilibrio di una persona ed è un po' come una bomba inesplosa, perché andandosi a combinare con altri eventi, ad esempio una separazione, la perdita del lavoro o una delusione sentimentale, prima o poi farà emergere un problema a livello psicologico”. 





“La morte di un familiare certamente colpisce, ma ancora di più il funerale mancato – spiega Simone -. I principali studiosi in materia evidenziano l'utilità dei riti per affrontare determinati lutti e avviare dei processo di elaborazione. Un tempo i funerali si facevano a casa, tutta la comunità si stringeva attorno ai parenti per tre giorni e poi c'era la cerimonia funebre – prosegue l'esperto -. Negli ultimi tempi il rito è cambiato, c'è stata una privatizzazione del lutto, con la morte in ospedale e il proliferare dell'industria funeraria, i cui effetti si sono manifestati a livello sociale”.
    
Secondo lo psicologo, in sostanza, “negli ultimi tempi il venir mancare di determinate ritualità ha fatto sì che determinati lutti fossero in parte inelaborati” e in tal senso “la mancata celebrazione dei funerali, in questi giorni, rappresenta un serio elemento di rischio”. 

Per questo Simone ritiene utile “predisporre un servizio di assistenza psicologica, anche se determinate criticità rischiano di affiorare sul medio e lungo periodo e dunque occorrerebbe avviare dei percorsi di supporto in chiave prospettica”.

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