L’AQUILA – “Sulla tecnologia 5G è mancata e manca ancora la ricerca sui possibili rischi per la salute e sull’ambiente. Ed io, come donna di scienza, ho il dovere di chiedere all’industria e alle istituzioni di intervenire, perché parliamo di una tecnologia che riguarderà il mondo intero, quindi miliardi di persone”.
Mentre all’Aquila e in altre città italiane (Milano, Prato, Matera e Bari) si sperimenta, con antenne ovunque, la tecnologia 5G, c’è chi continua a preoccuparsi per i pericoli che potrebbero nascondersi proprio dietro la connessione internet di ultima generazione che sta rivoluzionando il mondo intero.
E che porterà ad una serie impressionante di applicazioni che, in sintesi, cambieranno completamente la vita di tutti.
Tra chi si preoccupa c’è Fiorella Belpoggi, direttrice del Centro di Ricerca sul Cancro “Cesare Maltoni” dell’Istituto “Ramazzini” di Bologna, a capo della più grande ricerca sperimentale a livello mondiale sugli effetti nocivi prodotti dalle antenne della telefonia mobile.
Ad AbruzzoWeb sul tema era già intervenuto, parlando di allarme concreto per la salute, il dottor Andrea Vornoli, tra gli autori dello studio con a capo la dottoressa Belpoggi incentrato sull’impatto dell’esposizione umana ai livelli di radiazioni a radiofrequenza (Rfr) prodotti dalle antenne radio base della telefonia mobile.
La ricerca è stata finanziata dai soci dell’Istituto “Ramazzini”, dall’Agenzia regionale per la prevenzione e l'ambiente dell'Emilia-Romagna, da Fondazione Carisbo, Inail, Protezione elaborazioni industriali (Pei), Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Children With Cancer (Uk), Environmental Health Trust (Usa).
“Non ci sono evidenze di sicurezza per la salute e per l’ambiente – afferma la dottoressa Belpoggi – Eppure, basterebbero pochi fondi per studiare gli effetti di una tecnologia ormai diffusa su scala mondiale, ma evidentemente non ci sono interessi al riguardo. Le industrie legate al 5G hanno tutte le carte in regola per poter studiare questo fenomeno. E continuano a non fare niente. Perché per i pestidici, come per qualsiasi altra sostanza, è necessario produrre documentazione di sicurezza, mentre per il 5G non occorre?”.
“E mi meraviglio del fatto che dalle istituzioni sia arrivato il via libera anche per la sperimentazione – continua Belpoggi – soprattutto perché tornare indietro sarà quasi impossibile visto che ci saranno 20 mila satelliti nello spazio. Il rischio è di ritrovarci di fronte a un tema come quello dell’amianto, che ormai si trova pure sulla polvere dei marciapiedi”.
Belpoggi risponde poi a chi, come Valerio De Santis, docente di Elettrotecnica all’Università dell’Aquila e membro del comitato tecnico internazionale sull’esposizione ai campi elettromagnetici Iec-Tc 106 Jwg-11/12 – (IoT) e 5G e del WG9 – Wireless Power Transfer (Wpt), ha rimarcato, sulle pagine del quotidiano NewsTown.it e in un recente e particolarmente acceso incontro sul tema con la popolazione della frazione aquilana di Roio, il fatto che “Gli studi a cui si appellano coloro che si oppongono al 5G sono stati effettuati in due accreditati centri di ricerca, ossia lo statunitense National toxicology program (Ntp) e l’Istituto Ramazzini di Bologna, seppur ben condotti, fanno riferimento a un eventuale incremento del rischio di specifici tumori in diversi ratti esposti alle frequenze di sistemi radiomobili 2G e 3G”.
“Sia le potenze in gioco, molto più elevate, che le frequenze, leggermente più basse, oltre al tipo di segnale e modulazione, non sono affatto paragonabili a quelle del 5G. Estendere quindi i risultati ottenuti in quei due studi alla tecnologia 5G è non solo tecnicamente sbagliato ma è anche scientificamente inadeguato, tanto da far ‘etichettare’ gli stessi studi come non attendibili dall’Istituto Internazionale più accreditato al Mondo sul tema e riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ovvero l’Icnirp”, ha dichiarato De Santis.
Per Fiorella Belpoggi, però, non è così.
“L’Icnirp non ha detto che gli studi non sono attendibili. Li ha definiti ‘non consistenti’, il che è molto diverso, ma ha ammesso che sono stati condotti secondo i migliori crismi. Le ‘critiche’ ci sono perché i tumori li abbiamo riscontrati nei maschi e non nelle femmine, perché al National toxicology program hanno visto i tumori cerebrali nei maschi e noi nelle femmine, ma se all’Icnirp fossero dei biologi e non degli ingegneri, saprebbero che in cancerogenesi (il processo che porta alla formazione del cancro, ndr) la risposta di genere è una delle più frequenti, tanto è vero che esiste per i tumori del rene, o dell’intestino, allo stomaco, eccetera”.
“Insomma, gli studi sono adeguati. E va precisato che per quel che riguarda i tumori delle cellule nervose sono stati riscontrati nei maschi sia da noi che negli Usa, dunque in entrambi gli studi – aggiunge a tal proposito – sono stati segnalati tredici, ma un numero così piccolo è dovuto all’assenza di autopsie sulle persone che muoiono per blocco cardiaco. Ecco perché non sappiamo la reale incidenza di questo tumore nell’uomo”.
“Ed è vero che noi siamo sottoposti ad un rischio maggiore quando il segnale è basso, ma qui stiamo parlando di frequenze che, a prescindere dalla potenza che avranno, non sono mai state studiate. Il 5G avrà una esposizione globale su circa 7 miliardi di persone, quindi anche un rischio basso può far ammalare chi è esposto”, precisa l’esperta.
“Io non ce l’ho affatto con una tecnologia che avrà anche applicazioni enormemente vantaggiose per l'umanità, purché il rischio sia minore del beneficio, peso ai comandi a distanza per i diabetici, per le protesi, eccetera – conclude Belpoggi – ma questo non significa evitare di fare ricerca su un settore che, specie per l'internet delle cose, per i servizi a pagamento dei bisogni indotti, toccherà tutti noi. Noi la stiamo facendo in maniera libera e indipendente. Le industrie, le compagnie di telecomunicazioni e le istituzioni che hanno ‘sposato’ e imposto il 5G devono fare altrettanto”.
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