IL DERBY DEL VINO E IL GIUDIZIO ”ACCADEMICO”, ”BIOLOGICO SI’, MA OCCHIO ALLE BUFALE”

di Marco Signori

31 Dicembre 2015 09:00

Regione -

L'AQUILA – Chi lo ha detto che il vino naturale, biologico o biodinamico che sia, è migliore di quello comunemente diffuso sul mercato? E in fondo, cosa distingue i primi dai prodotti più commerciali?

Il contributo del sommelier dell'Ais, attraverso una esortazione invita a superare ogni pregiudizio.

“Il vino va assaggiato, scoperto e conosciuto. La bottiglia va sempre e comunque stappata prima di parlarne, liberi da ogni pregiudizio a priori”, dice Massimo Iafrate, delegato dell'Associazione italiana sommelier della Marsica.

“C'è un modo di fare vino troppo conformato per cercare di seguire il mercato, è un modo per interpretare il mercato più che il territorio – ammette ad AbruzzoWeb – ma per ovviare basta cercare delle realtà particolari, sia in Abruzzo che altrove. Il patrimonio italiano di vitigni è il più vasto del mondo”.

“Si sta purtroppo consolidando un modo di fare vino in cantina, anziché crearlo in vigna”, aggiunge con rammarico.





“La possibilità di trovare dei vini non conformati – dice – potrebbe passare per la riscoperta di prodotti fatti in diversi modi, se vogliamo chiamarlo biologico, biodinamico o naturale è secondario, ma non è un problema personale, la bevibilità non deve scendere sotto un certo livello”.

E va giù duro: “Alcuni di questi vini sono imbevibili, non è che noi sommelier non siamo abituati a bere cose con la 'puzzetta', mi sta anche bene ma il prodotto vino deve avere certi standard”. Il giudizio del sommelier, naturalmente influenzato dal linguaggio e dai codici dell'Ais, è tuttavia molto severo nei confronti di alcuni dei vini prodotti in contesti incontaminati e nei quali è ridotta al minimo l'addizione di componenti chimiche in fase di vinificazione.

“Un cattivo odore, che sia di zolfo o di altro, secondo me è oggettivo – argomenta – poi la godibilità risponde ad un gusto personale e non possiamo plasmarla, ma quando beviamo un prodotto con caratteristiche o accezzioni negative queste sono indiscutibili”.

“Se facciamo una degustazione personale allora il discorso decade – spiega – perché i parametri vengono demandati ai singoli, ma se è tecnica i parametri sono stringenti e il vino viene classificato in un certo modo”.

“Se ti rivolgi a chi ha creato il vino in Francia e gli chiedi cosa significa biodinamico o biologico non sa neanche cosa sia!”, esclama.





“Sicuramente sono apprezzabili quelle aziende che fanno vino a carattere naturale sin dalla nascita, ma anche la legislazione in materia è carente, quindi chi lo fa a livello di filosofia e modo di vivere non ha bisogno di mettersi una medaglietta sull'etichetta, e guarda caso sono aziende che fanno prodotti di una qualità al di sopra di ogni sospetto”.

Diffidare, dunque, dalle cantine tradizionali che per inseguire le mode del momento introducono linee biologiche. “Quando aziende importanti, che nella vinificazione ci hanno sempre messo le 'manine', partoriscono intere linee di vino biologico dal nulla, allora mi insospettisco”, dice Iafrate. “Ho visitato aziende che dicono di produrre in regime biologico – racconta – e durante il periodo di vendemmia, nella propria cantina, non si sentiva neanche l'odore del mosto…!”.

Per districarsi in quello che è davvero un mondo, insomma, basta stappare e assaggiare. Più lo si fa, meglio ci si difende dalle proposte frutto solo delle dinamiche commerciali.

“Le bottiglie vanno aperte, come le persone, poi se si hanno o meno le competenze di un sommelier poco interessa – aggiunge – il vino si degusta e se ne parla, poi coi propri strumenti si puo' intuire se il prodotto è buono o no”.

Bando ai pregiudizi, insomma. “Come è sbagliato affermare che tutti i vini 'conformati' sono delle schifezze, altrettanto esagerato è ritenere che solo il biodinamico sia buono”, conclude.

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