INCHIESTA PESCARAPORTO: PARLA RUFFINI, ‘MISSIVA A MILIA? HO FATTO IL PORTALETTERE’

25 Aprile 2017 13:31

Regione - Cronaca

PESCARA – “Io ho fatto il portalettere. Sono andato là, ho preso la lettera e poi l’ho data all’ingegner Di Biase. La domanda non me la sono posta. Non sapevo cosa riguardasse di preciso”.

Così, in un’intervista al quotidiano Il Centro, l’ex consigliere regionale e segretario del presidente della Regione, Claudio Ruffini, prova a chiarire il suo ruolo nell’ambito dell’inchiesta della procura della Repubblica di Pescara che lo vede indagato assieme ad altre 4 persone sul progetto “Pescaraporto”, operazione immobiliare accanto all’ex consorzio ortofrutticolo Cofa.

Ruffini è indagato con il governatore, Luciano D’Alfonso, l’avvocato Giuliano Milia, il dirigente comunale di Pescara Guido Dezio e il dirigente del Genio civile Vittorio Di Biase. Le accuse a vario titolo sono di abuso d’ufficio e falso.





Secondo la procura adriatica, Ruffini si sarebbe recato nello studio dell’avvocato Milia, legale di fiducia di D’Alfonso e padre dell’amministratore della società contitolare di Pescaraporto, per farsi dare una lettera da consegnare a Di Biase, che ha poi espresso parere favorevole all’insediamento immobiliare nell’area ex Edison della Riviera Sud.

Con un sms, acquisito dagli investigatori nell’ambito delle intercettazioni, il governatore D’Alfonso avrebbe dato quell’incarico al suo segretario particolare: “Vai da Milia”.

Ruffini, difeso dall’avvocato teramano Gennaro Lettieri, è già stato interrogato dalla pubblico ministero Anna Rita Mantini.





D’Alfonso, secondo Ruffini, non gli ha spiegato perché dovesse andare da Milia “né prima né dopo. Mi ha solo detto di andare” e a dirgli di andare dal dirigente del Genio Civile è stato lo stesso “Milia. Io poi con il presidente non ho avuto nessun rapporto su questo argomento. Gli avrò anche detto di essere stato da Milia, ma non lo ricordo”, spiega sempre al quotidiano Il Centro.

“Non ricordo se i contenuti della lettera di Milia e di quello che ha scritto poi Di Biase coincidono esattamente. Non ho tenuto copie. Non posso fare nessun tipo di confronto e valutazione”, taglia poi corto l’ex consigliere del Pd.

Che ammette che “in quegli istanti non è che uno si fa tante domande. Ripeto io non entravo nel merito degli atti. Non scrivevo provvedimenti, casomai li sollecitavo. Chi scrive provvedimenti deve porsi domande, se è un atto legittimo o non legittimo. Di argomenti, ogni giorno, ne trattavo una quantità esagerata. Non avevo nemmeno il tempo per dire: ma cosa dice questo atto? A queste cose ci pensano gli amministratori. Non io”.

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