PARLA NORI, MOGLIE DEL COMPIANTO REGISTA SERGIO: PER TARANTINO E' UN GENIO

LA LEGGENDA DI DJANGO VISTA DAI CORBUCCI, ‘PIZZA E FICHI, MA PASOLINI LO VIDE IN YEMEN’

di Alberto Orsini

9 Settembre 2017 08:00

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L’AQUILA – Un film “girato per amicizia e con quattro soldi, insomma pizza e fichi”, ma che ha avuto un successo tale in tutto il mondo che “Pier Paolo Pasolini mi disse che lo aveva visto proiettato perfino nello Yemen, come anche in Africa e nelle Filippine”.

Così in un’intervista all’Ansa Nori Corbucci, una vita al fianco del regista Sergio Corbucci, scomparso nel 1990, ricorda Django, il western cult con Franco Nero protagonista che ha superato il mezzo secolo di età e ancora oggi è conosciutissimo.

Tanto da aver ispirato Quentin Tarantino a girare un omaggio con lo stesso titolo. “Mi ha telefonato molto carinamente per chiedermi se lo poteva fare, gli ho risposto che sarebbe stato un onore far girare in America il nome di mio marito – spiega la Corbucci – Mi è piaciuto, ci sono molte citazioni di film di Sergio, a parte lo stesso Franco Nero e la stessa musica”.

E della possibilità, concreta, che lo stesso protagonista possa girare un terzo capitolo, intitolato Django lives!: “Finché si parla di mio marito sono contenta”.

La Corbucci, scrittrice, è reduce dalla presentazione a Porto Rotondo del suo nuovo libro sulla sua “amica speciale” Marta Marzotto: “Per lei farò una festa ogni anno, gliel’ho promesso, ma nel 2017 sono già a 6”.

Lei era sempre sul set…

Sempre, non ho mai lasciato un film di mio marito, in tutti quelli che ha fatto dopo aver conosciuto me, che sono una cinquantina, sono sempre stata con lui e ho firmato anche come costumista, pur non avendo il sacro fuoco, ma per stargli vicina.

E allora com’era, questo Django?

Questo film lo ha fatto per amicizia, perché non ha preso una lira. Franco Rossellini, figlio di Renzo e nipote di Roberto, che è stato aiuto regista in molti film ed era un amico personale, lo pregò perché, assieme a Manolo Bolognini, volevano fare un filmetto da pochi soldi. Gli dissero che sarebbe stato più conosciuto se ci fosse stato il suo nome. Un film pizza e fichi, tanto che Sergio si svegliava la notte sudato e diceva “ma guarda che cosa mi tocca fare per amicizia!”.

Si sbagliava.

Ma lui era pieno di idee, anche con pochi soldi, e sono tutte rimaste: da Franco Nero che trascina la bara alla mitragliatrice fino al sangue. Sembrava un film cruento e ha anticipato anche quello: Tarantino poi ci ha dato dentro con il sangue, mio marito ci metteva ancora più ironia, anche più di Quentin. Vedeva con distacco quel mondo della frontiera americana che, tra l’altro, non ci apparteneva. Lui era appassionato sia della rivoluzione messicana che di quella americana.

Si narra che la sceneggiatura venne scritta molto rapidamente.





Per forza, fu cotto e mangiato, l’abbiamo girato metà in Spagna e metà in Italia. A guardare bene i dettagli, minuziosamente, ci sono cose che si capisce che sono arronzate, diciamo, ma questo non toglie niente. Delle volte i film più poveri vengono meglio: è sempre un mistero, nessuno sa se perché un film viene bene e un altro no. Magari si sapesse prima! Questo uno dei più famosi del mondo, Pasolini quarant’anni mi disse che lo vedeva nello Yemen, c’era andato e lì lo mandavano, come anche in Africa e nelle Filippine.

L’avrebbe mai detto?

Ma neanche per sogno, non sospettava minimamente che sarebbe stato un tale successo. Tant’è vero che lui, che era cointeressato, ha fatto la sciocchezza, relativa, di aver preso una piccola cifra e liquidato i suoi interessi, anche perché non aveva tempo di seguirli. Relativa ho detto, perché oggi non posso certo lamentarmi dei guadagni. Comunque ha regalato i diritti ai produttori suoi amici e ha detto loro datemi questa piccola cifra e stop. Oggi per la legge sull’equo compenso mi spetta una piccola percentuale ogni volta che lo mandano, ma all’epoca non c’era.

Anche Sergio Leone venne sul set!

Erano molto amici, lui e anche Duccio Tessari erano stati tutti aiuto registi di Mario Bonnard. Erano amici e neanche un po’ concorrenti. Sergio riconosceva in Leone la capacità, che lui ignorava, delle cose minuziose. Sergio Leone stava due ore a mescolare una tazzina di caffè, mio marito andava veloce. Aveva altri tempi, e altri soldi. Però si stimavano, erano entrambi romani, parlavano lo stesso linguaggio. Quand’erano ragazzi avevano fatto dei film insieme, siamo stati ai matrimoni delle figlie, ci frequentavamo. Finché Sergio era in vita eravamo amici quando il tempo ce lo permetteva. La parola amici è quella più giusta.

Com’è andata con Tarantino, molto tempo dopo?

Mi ha telefonato per chiedermi se lo poteva fare, gli ho risposto che sarebbe stato un onore, mi fa piacere che il nome di mio marito giri negli Stati Uniti, dappertutto, più gira più son contenta. Io non credo nella gloria, ma lui ci credeva, perciò cerco di fargli avere spazio.

Le è piaciuto, Django Unchained?

Abbastanza, ci sono molte citazioni di film di mio marito, a parte lo stesso Franco Nero e la stessa musica. Ci sono citazioni, come quella del Mercenario, a Leonardo Di Caprio sparano sulla gardenia così come a Jack Palance. Mi ha chiesto molto carinamente e ho detto sì a patto che si ricordasse di nominare Sergio, cosa che non sempre ha fatto. Devo dire, comunque, che ne ha parlato molto, ho dei giornali in cui lo definisce un genio della creatività, ne dice cose fantastiche e per me è sufficiente.

Quando non viene ricordato, invece, che cosa prova?

Sono piccole amarezze che subisco ogni giorno. Ha arricchito la televisione e lo Stato italiano per 10 anni, è stato il regista che ha incassato di più, e non viene quasi mai nominato. Saltava dal western alla commedia fino al dramma e ha diretto Totò, Adriano Celentano, Marcello Mastroianni e così via.

Così come suo marito ha diretto film d’ogni tipo, lei ha scritto libri d’ogni genere, come mai?

Io l’ho fatto per una ragione diversa, scrivo per il piacer mio e solo quello che vorrei leggere. Scrivo poesie, saggi, qualsiasi cosa mi passa per la testa e mi interesserebbe leggere. Lo trovo l’hobby più comodo del mondo, perché bastano un notes e penna. Mi piaceva anche dipingere ma è più scomodo. Non scrivo, comunque, per compiacere il pubblico. Al contrario, lui adorava compiacere il pubblico, e infatti incassava perché indovinava il gusto del pubblico, faceva le battute giusto o appunto i western che potevano essere apprezzati in quel momento. Piaceva molto ai produttori per quello, era quello che costava meno, come produzione, e che però incassava di più. Aveva molti ammiratori, da Mario Soldati a Giulio Andreotti, che hanno scritto articoli su di lui molto interessanti.





E i critici?

La maggior parte non lo considerava neanche, non ne vedevano i film, c’era un certo snobismo. Oggi,  quando annunciano sul giornale la proiezione di un film e mettono la fotografia di mio marito, accanto gli mettono quattro stelle, in passato neanche mezza. Comunque lui non se ne faceva una malattia, era troppo spiritoso, volava alto. Aveva l’ammirazione di Federico Fellini e Francesco Rosi, erano suoi amici intimi e lo invitavano sempre a fare film più importanti. Lui rispondeva che come c’è Dostoevskij, c’è anche chi scrive Diabolik.

Potrebbe mai scrivere una storia di Django?

Un sequel? No, basta, ne hanno già fatti mille! E poi non è il mio genere.

Ma almeno le piacevano questi film?

Criticavo sempre mio marito per le cose che faceva: per fortuna non mi dava retta, perché aveva ragione lui! Fin da piccolo inventava teatrini e burattini, per lui era un gioco e lo voleva fare sempre. Facendo cassetta, glieli facevano fare sempre tutti, più che se avesse girato solo film d’arte. A volte, comunque, gli sono anche riusciti: Giallo napoletano è un film d’arte, come pure Il grande silenzio, sono pellicole importanti. Tarantino mi ha telefonato anche per quello. Dell’ultimo che ha fatto (The Hateful Eight, ndr) mi aveva anticipato che voleva inserirci citazioni e infatti ha molte somiglianze con il cinema di mio marito.

Che ne pensa della volontà di fare il terzo Django da parte di Franco Nero?

Per me può farlo benissimo! Insisto, finché si parla di mio marito sono contenta. Stranamente è uno dei registi di cui si parla moltissimo ancora oggi. Mi chiamano per ricordare, è successo dopo la morte di Bud Spencer e di Tomas Milian. Ho ancora capacità, per fortuna, di parlare, di esprimermi e di fare, finché ce l’ho gli do una mano.

Veniamo a Marta Marzotto, la sua amica speciale che non c’è più e per la quale ha scritto l’ultimo libro.

L’ho presentato da poco e ha attirato un sacco di giornali. Marta è stata una mia amica prima che fosse contessa Marzotto, quando si chiamava Marta Vacondio. Io sono poco più giovane di lei, 5-6 anni che contano poco a quell’età. L’ho conosciuta prima che si sposasse, eravamo ragazzine e andavamo a sciare a Cortina. Abbiamo simpatizzato da subito e siamo divenute grandi amiche. Quando è morto Sergio mi ha preso sotto la sua ala protettiva. Mi ha fatto girare tutto il mondo, perché da sola non sarei andata: con lei aerei privati, tappeti rossi, abbiamo fatto di tutto. Un’amica speciale, come ho scritto. Avevamo già scritto un libro, io insieme a lei, a quattro mani, si chiamava In viaggio con Marta perché abbiamo fatto 23 viaggi intercontinentali assieme: dalla Cambogia alla Birmania fino all’Austria.

È vero che le ha chiesto di organizzare una festa ogni anno?

È vero, lei me l’ha chiesto, poco prima di morire, fai in modo che si ricordino di me. Le rispondevo tanto non muori, ma nel caso che cosa dovrei fare? E lei ha detto: una festa ogni anno a mio nome. Ho già cominciato… Solo quest’anno ne ho fatte sei.

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