OSPEDALE LANCIANO: PROSCIOLTO COLASANTE, RINVIATI A GIUDIZIO MANAGER ASL

12 Novembre 2018 16:30

Chieti - Cronaca

LANCIANO – “Il fatto non sussiste”: assolto con formula piena il magnate della sanità regionale Antonio Colasante insieme ai quattro amministratori delle sue società, accusato di riciclaggio riguardo al servizio di lavanolo all'ospedale di Lanciano. A processo, invece, i funzionari e dirigenti della Asl Lanciano-Vasto-Chieti.

Oggi in Tribunale a Lanciano è stata celebrata l’udienza preliminare del processo a carico del noto imprenditore, arrestato nel marzo 2017. Dopo una serie di rinvii, oggi è giunta la decisione del gup Marina Valente, che ha assolto Colasante, difeso dagli avvocati Franco Coppi, Giuliano Milia ed Elio Di Filippo, dall'accusa di riciclaggio perché il fatto non sussiste. 

Assolti, con formula piena, anche i suoi dipendenti: Sonia Pace, 53 anni, di Lanciano, amministratore unico della Hospital Service; il rumeno Costantin Gogonea, 42 anni, di Lanciano, amministratore di Publiclean; Camillo Desiderioscioli, 49 anni, di Guardiagrele, legale rappresentante della Omnia Servitia, ed Enio Colasante, 61 anni, di Guardiagrele, amministratore della Zaffiro srl e fratello di Colasante. 

Disposto anche il dissequestro della villa, del valore di circa 6 milioni di euro, che Colasante ha a Porto Cervo, ad Arzachena. Il giudice, rispetto a Colasante, ha comunque disposto che gli atti tornino in Procura affinché venga vagliata, a suo carico, la possibilità di un'accusa per abuso d'ufficio. 





Rinviati a giudizio, invece, per abuso d'ufficio, il manager della Asl Chieti Lanciano Vasto Pasquale Flacco; la dirigente Asl Tiziana Spadaccini, di Vasto; Stefano Maria Spadano, 53 anni, di Lanciano, direttore Affari Generali e Legali; Rita Pantaleone, 55 anni, di Lanciano, funzionario economale, che lavorava a stretto contatto con la Spadaccini. Il processo a loro carico è fissato per il prossimo 5 marzo. Il pm, Serena Rossi, aveva chiesto il rinvio a giudizio per tutti. 

Secondo l'accusa la dirigente Asl Tiziana Spadaccini, gli altri funzionari e dipendenti Asl sott'inchiesta, con l'ausilio del manager Pasquale Flacco, “ciascuno  nella propria qualità e fornendo il proprio apporto”, hanno agito “col fine ultimo di procurare un ingiusto profitto alla Publiclean Srl, di Colasante, con pari danno alla pubblica amministrazione”.

Sono giunti ad una “transazione fittizia” tra Asl e azienda privata, “in assenza dei presupposti di legge”, prima firmando – con atto unilaterale – una transazione per il servizio di lavanolo (lavaggio e noleggio) svolto dalla Publiclean tra il 2009 e il 2014. Poi la Spadaccini ha adottato due determine – la numero 1206 del 18 dicembre 2015 e la 330 del 21 marzo 2016 – con le quali alla Publiclean sono state liquidate “somme – recita il capo d'imputazione – alle quali giammai avrebbe avuto diritto sulla base dei rapporti contrattuali esistenti e derivanti dal contratto di lavanolo firmato il 26 giugno 2009”. 

Il contratto “ancorava rigidamente la liquidazione delle spettanze alla Publiclean alle bolle di consegna differenziate per ogni reparto e controfirmate da personale e dipendenti Asl, con l'aggiunta di un 'bonus'”: cioè otto lavaggi mensili gratuiti di divise del personale Asl.





Ma la Asl – secondo il procuratore facente funzioni Rosaria Vecchi, che ha imbastito l'inchiesta – non si è attenuta al contratto e ha ricalcolato in maniera forfettaria il numero dei ricambi (lenzuola, federe, coperte ecc…) forniti per i letti, e sulla base “della presenza numerica del personale sanitario” il numero delle divise lavate, “sostenendo falsamente l'impossibilità di determinare l'esatta quantificazione della biancheria pulita e riconsegnata ad ogni reparto”.

In questo modo gli importi sono lievitati “in maniera esponenziale, di circa il 20 per cento, facendo apparire come trattati e lavati un numero di divise di gran lunga superiore a quello reale” e procedendo a liquidare, in maniera ingiustificata, prima un importo, per il periodo 2009 -2014, di 2.454. 790,13 euro di cui 1.885.412,65 non dovuti e poi, per il 2015, la somma di 825.904,38 euro di cui 275.077,41 non dovuti. 

Colasante, attorno a cui ruota tutta la vicenda, fu arrestato, con un blitz all'alba della polizia nella sua villa bunker di Lanciano, il 6 marzo 2017 ed è rimasto in cella per una settimana. Poi, per un lungo periodo, è stato ai domiciliari, così come Spadaccini.

Coi proventi della truffa, secondo l'accusa, Colasante avrebbe comprato una villa in Sardegna, a Porto Cervo, del valore di oltre 8 milioni di euro: “Il 23 dicembre 2015 veniva accreditato l’importo di 2.454.790 che la società girocontava sul proprio conto corrente Bper; il 24 disponeva il bonifico dell’importo di 2.450.000 euro su conto intestato alla Hospital Services; il 28 disponeva il bonifico intestato alla Omni Servitia; il 29 la Omnia disponeva bonifico su conto intestato alla Zaffiro; in data 28 aprile 2016 la società Zaffiro amministrata da Enio Colasante di proprietà della holding srl Colasante (socio unico e amministratore Antonio Colasante), acquistava la proprietà dell’immob eile sito in Arzachena, località Piccolo Povero-Porto Cervo”.

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