PASQUA A TAVOLA: I PIATTI DELLA TRADIZIONE ABRUZZESE INTERPRETATI DAGLI CHEF

di Loredana Lombardo

21 Aprile 2019 05:47

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L’AQUILA – C’è una continua evoluzione nella cucina legata alle feste comandate; ma in Abruzzo, anche a Pasqua, come a Natale non si discute:  dal capoluogo a Pescara, dalla colazione al pranzo, è ancora la tradizione a comandare, con gli stessi piatti, cucinati “come una volta”, con le ricette, sempre le stesse, tramandate dalle nonne, di generazione in generazione, su foglietti ingialliti dal tempo o ricettari che profumano di biscotti e pietanze cucinate con amore. Eppure rivisitare questi piatti, con altrettanta passione e piccoli accorgimenti, non è affatto un'eresia, come dimostrano ad Abruzzoweb, affermati chef ed esperti gastromi.

Per quanto riguarda il capoluogo d'Abruzzo uno dei custodi delle tradizioni culinarie è Demetrio Moretti, giornalista e responsabile della delegazione aquilana dell'Accademia italiana della cucina.

“All'Aquila – spiega ad AbruzzoWeb – ancora sopravvive ed è molto diffuso il rito della colazione, che rompe il digiuno del venerdì santo e vede riuniti allo stesso desco amici e parenti”.

Una colazione da sempre molto ricca, tra “pizze di Pasqua, salumi nostrani, mortadelle di Campotosto, coratella d'agnello e uova sode”. Un pasto che potrebbe sembrare un brunch ma che in realtà anticipa un ricco pranzo.

Un pranzo che rispecchia ancora una volta il piacere di riscoprire le antiche tradizioni, quei piatti una volta poveri e oggi impreziositi dall’estro e dalla fantasia degli chef abruzzesi, come ad esempio nel caso di Luca Totani, giovane ristoratore aquilano, proprietario del “Connubio” in via San Bernardino, gestito insieme alla moglie Erika Gianfelice, che presenta la sua versione “2.0”  della coratella d’agnello, una pietanza tipica abruzzese, presentata in una forma nuova, frutto di una ricerca tra varie cucine regionali.

Totani ha aggiunto alla coratella le erbette del Gran Sasso come il timo, l'alloro, abbondante cipolla sfumata con il vino bianco, e servita infine su una base di frisella pugliese, con al centro una vellutata di patate e sopra un tocco calabrese, con le cipolle di Tropea in agrodolce.

“Ho voluto omaggiare le mie origini calabresi da parte di mia madre e pugliesi da parte di mio padre – spiega Totani – e ovviamente L’Aquila, il posto che ho nel cuore e dove ho deciso di puntare per il mio futuro”.

Nel Chietino, la colazione di Pasqua è andata un po' a scomparire, ma sul pranzo le ricette e gli usi sono sempre gli stessi.

A raccontare questo giorno di festa, da un lato Mimmo D’Alessio, originario di Chieti, coordinatore regionale dell'Accademia italiana e membro del direttivo nazionale, che ha ripercorso la storia dei vari piatti della tradizione, dall'altro Giuseppe Tinari, meglio conosciuto “Peppino”, del ristorante Villa Majella a Guardiagrele, che del suo locale, aperto mezzo secolo fa, ha fatto una “bandiera della tipicità”.

“Nelle nostre zone è ancora molto diffuso il digiuno, a partire dal venerdì santo. Anche le macellerie, in quei giorni, appendono gli agnelli con le bandierine del Cristo risorto a simboleggiare la resurrezione”, spiega D’Alessio.

“La tradizione nel Chietino – aggiunge – è molto simile a quella nel Pescarese. A tavola, questi due territori sembrano riunirsi durante le feste. Pescara, negli anni, ha aggiunto il pesce, in tante varianti, grazie alla lunga tradizione marinara”.





E la domenica mattina, sciolte le campane, rimaste mute per due giorni in segno di lutto per la morte di Cristo, si incomincia, molto presto, a lavorare per il pranzo.

Un pranzo in cui l'antipasto ricorda molto la classica colazione, “non manca mai il fiadone salato, che viene preparato così come si faceva una volta. Oggi si trovano i fiadoncini, in realtà, l'originale è una specie di pagnotta molto grande, profumata dai formaggi misti, nell quale, prima della cottura, vengono infilzate le palmette della Domenica delle Palme a simboleggiare una torta della pace per rafforzare i buoni sentimenti”.

E insieme al fiadone ci sono i salumi, “i migliori – aggiunge D'Alessio – perché sono i primi, preparati a gennaio, e quindi maturi nel periodo pasquale. E ancora le uova sode, tagliate a metà e condite con il prezzemolo fresco, le alici arrotolate con i capperi e il burro e qualche fetta di formaggio primaverile”.

E poi si passa ai primi, “il timballo realizzato con la sfoglia e non con le crepes, condito con un sugo di carne sfilacciata e intramezzato da fettine di uovo sodo e piselli”. Non può mancare l’agnello, o il capretto arrosto o sulla brace.

E per concludere “il fiadone dolce, con zucchero e cannella, la pizza dolce e le uova di cioccolato. Prima, si utilizzavano le uova sode dipinte dai bambini, che poi venivano consumate anche il giorno dopo, durante la classica scampagnata di Pasquetta”.

E sulla tavola pasquale del ristorante di Tinari ci sarà proprio il capretto, in una versione colorata, “in onore anche della primavera – spiega – lo tagliamo a piccoli pezzi, rosolato e sfumato con il vino e presentato tipo ‘cacio e ova’ o servito con delle verdurine di stagione croccanti”.

Non solo il capretto ma anche una nuova versione dei classici maccheroni alla chitarra, “al ragù vengono aggiunte delle uova sode, rotte insieme alla pasta e legate a creare un insieme morbido”.

Tra i piatti delle tavolate pasquali nel Pescarese una volta non potevano mancare i “granetti cacio pepe e coratella”, una ricetta antica, oggi rivisitata da uno dei custodi della tradizione culinaria locale, Marcello Spadone, originario di Civitella Casanova, borgo del Pescarese, dove gestisce insieme ai figli Mattia e Alessio e alla moglie Bruna Sablone il rinomato ristorante stellato di famiglia “La Bandiera”.

“Si parte dalla farina sulla spianatoia – spiega Spadone – si prende lo scopettino di giungo che si usava una volta per pulire il tavolo, si bagna con l’acqua e si buttano delle gocce sulla farina; si setaccia  e vengono fuori dei granetti tipo pasta grattata. Li facciamo leggermente seccare, li tostiamo in padella come se fosse un risotto, arricchito da un leggero brodo di verdure e gallina. Lo facciamo assorbire per circa 5 minuti e andiamo a mantecare con un pecorino di Farindola e pepe e infine viene servito con al centro un cuore prezioso di coratella al sugo”.

E infine il tocco di Spadone: “andiamo a particolareggiare il piatto con un estratto di radici di topinambur e pastinaca ridotti a un liquido denso che viene messo sopra insieme a una riduzione al rosmarino”.

La tradizione contadina che rivive e che a Marcello Spadone ricorda la nonna, che cucinava questo piatto nei giorni di festa, in maniera più “arcaica” ed elementare; “lei alla fine mescolava tutto insieme, ma ricordo ancora oggi il sapore genuino che non si dimentica, fatto di cose buone e preparate con amore”, conclude.





Anche a Teramo è molto importante il rito della colazione di Pasqua, che anticipa un pranzo tradizionalissimo. A raccontarla, Claudio D’Archivio, delegato per Teramo dell'Accademia della cucina, mentre per un piatto tipico del pranzo c'è Daniele Zunica, dell'omonimo ristorante presente fin dal 1880 a Civitella del Tronto.

“Nel nostro territorio, la vera tradizione è ancora quella della colazione, che chiude l'astinenza dei giorni precedenti. Si va a messa la notte di sabato e la domenica, di buon mattino, a campane sciolte, ci si ritrova tutti insieme”. E oltre alle uova sode benedette, un piatto tipico ed elaborato sono le “mazzarelle”.

“Si tratta di interiora di agnellino – illustra D'Archivio – cuore, fegato e polmone legati con delle erbe aromatiche di campo che in questo periodo dell'anno sono eccezionali, hanno il sapore della primavera. Vengono aggiunti pezzetti di uova o pancetta, avvolte da una foglia di bietola o scarola, legate con le budelline e lessate in acqua calda bollente per qualche minuto. Poi cotte con un sughetto bianco con alloro e aglio fresco o con il pomodoro per fare una deliziosa scarpetta con una fetta di pizza pasquale”.

E poi ancora salumi vari, diverse torte sia dolci che salate pizza e l’uovo pasquale, “per una colazione che potrebbe valere come pasto per tutta la giornata, e invece no, perché a ora di pranzo, le nostre mamme e le nostre nonne hanno rispolverato le antiche ricette”.

Dalla colazione di arriva al pranzo pasquale, momento di maggior spolvero delle pecualirtàdella cucina locale, dove non può mancare il piatto “clou”, le mazzarelle, chiuse in foglie di lattuga o indivia e legate con il budellino.

A raccontare la preparazione di questo piatto storico, Daniele Zunica.

“Il nostro – spiega Zunica – è un locale di tradizione e oggi, come all’inizio della nostra storia in cucina prepariamo le mazzarelle secondo la ricetta della mia famiglia, che non è mai cambiata. L’unica rivisitazione che mi sono concesso è la presentazione con un sughetto di pomodoro. Lo stiamo insegnando proprio in questi giorni alle nuove generazioni. Abbiamo in cucina alcuni stagisti davvero entusiasti perchè non lo avevano mai visto. Quindi, per noi, è un rito più che una preparazione, che alla fine è anche molto elaborata visto che si inizia circa 20 giorni prima con la ricerca delle interiora perfette”.

Un piatto che è il risultato di un processo abbastanza difficoltoso e che richiede tempo e pazienza, “partendo proprio dalla pulizia e dalla marinatura della carne”, chiarisce.

Vengono aperte le budella nel senso della loro lunghezza, “le laviamo accuratamente strizzandole più volte. Quando saranno diventate di color chiaro e ben pulite, risciacquiamo con acqua ed aceto. Tagliamo a listelli la coratella, laviamo e mettiamo a scolare, dopo aver salato, insieme con le budella”, spiega ancora.

A questo punto si può iniziare la realizzazione prendendo una foglia di lattuga o indivia e disponendo su quest’ultima 3-4 listelli di coratella, “cui bisogna aggiungere un po' di cipolla, di prezzemolo e di aglio. Leghiamo quindi con le budella e via via che gli involtini saranno pronti li mettiamo nuovamente a scolare. Ammorbidiamo quindi le mazzarelle in acqua salata con alloro e chiodi di garofano, portando poi a ebollizione per una cottura lunga e lenta di circa due ore”.

“In una padella nel frattempo mettiamo a soffriggere gli odori, e aggiungiamo le mazzarelle e qualche mestolo dell’acqua di cottura. Quando cominceranno a friggere ed olio e acqua saranno stati assorbiti, aggiungiamo il Trebbiano d’Abruzzo e lasciamo sfumare. Ci vuole tempo, ma ne vale davvero la pena, è una tradizione che si rinnova, è il legame profondo con le nostre radici”, conclude. 

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