POCHI POSTI IN SCUOLE SPECIALIZZAZIONE TRA ASSICURAZIONI E UN PRECARIATO DIFFUSO

di Eleonora Marchini

16 Dicembre 2017 08:15

Regione -

L’AQUILA – Sono sempre meno i neolaureati che scelgono di specializzarsi in discipline come ortopedia, ginecologia, otorinolaringoiatria e urologia.

E sempre meno saranno gli specialisti, domani, in questi settori della sanità.

Una situazione ben poco rosea confermata anche dai vertici dei rispettivi Ordini dei medici provinciali in Abruzzo, che in modo unanime evidenziano le problematiche della professione medica e i possibili scenari futuri. 

“Molti giovani medici non se la sentono di intraprendere alcuni settori specialistici della medicina, perché categorie con un rischio di incorrere in un contenzioso più elevato rispetto ad altre – le parole di Maurizio Ortu, presidente dell’Ordine dei medici della provincia dell’Aquila – Ecco dunque che si scelgono meno gli indirizzi di ortopedia, otorinolaringoiatria o ginecologia, mentre la chirurgia plastica conserva ancora un suo fascino anche per le prospettive di lavoro in ambito privatistico”. 

C’è dunque la preoccupazione reale di ritrovarsi, un domani, “tra carenza di posti, rischio e costi assicurativi, senza un numero adeguato di specialisti a sostituire le migliaia di medici che andranno in pensione. Il problema è serio: un domani dovremo importare chirurghi e medici dall’estero – sottolinea – In Inghilterra è già così, per la mancanza di figure professionali, molti medici provengono da India e Pakistan, paesi culturalmente legati alla Gran Bretagna perché ex colonie e in cui gli studenti comunque seguono un percorso di studi in scuole di stampo inglese, ma comunque provengono dall’estero”. 

Queste problematiche, accanto alla denuncia sugli orari di lavoro non rispettati e sul contratto di lavoro che è in attesa di rinnovo dal 2009, sono state al centro delle recenti proteste dei medici, culminate con uno sciopero ad altissima percentuale di adesione, quasi il 90 per cento, lo scorso 12 dicembre.

La situazione appare critica a livello nazionale e l'Abruzzo rispecchia in pieno l’andamento: la nota dolente, nelle quattro province, è proprio il numero limitato di posti a disposizione nelle scuole di specializzazione, per cui non si riesce a soddisfare la richiesta da parte dei medici neo abilitati. 





A ciò si aggiungono i tagli alle scuole stesse, in seguito alle nuove indicazioni ministeriali per i requisiti minimi, con i casi eclatanti dell’Aquila, che ha subìto la chiusura delle scuole di Pediatria, Cardiologia e Neurochirurgia, accorpate all’Università di Chieti, che a sua volta ha perso Chirurgia pediatrica e vascolare.

E, non meno importante, il fattore rischio contenzioso legato alla professione e i costi elevati per la stipula delle assicurazioni a copertura dell’operato dei dottori, interamente a carico dei medici.

“Si chiama medicina difensiva, si prescrivono analisi specialistiche per non andare incontro ai rischi – fa notare Ortu – Una difesa da parte dei medici di base, per non incorrere proprio in quelle denunce per non aver subito compreso le patologie e una situazione che costa al sistema nazionale svariati miliardi tra sanità pubblica e privata”. 

Non tanto un fatto di bravura, dunque, ma “costante deresponsabilizzazione, precariato e demotivazione dei giovani che decidono di intraprendere la professione medica e che non sono tutelati dalla normativa italiana, a cominciare proprio dal discorso assicurativo”.

Ammontano infatti a diverse migliaia di euro i costi che i medici devono sostenere per la stipula di una polizza assicurativa, costi che oscillano comunque a seconda del tipo di specializzazione, appunto, considerata più rischiosa o meno ma che possono sfiorare anche i 20 mila euro l’anno. 

Della stessa idea è Cosimo Napoletano, primario di Cardiologia e presidente dell’Ordine dei medici della provincia di Teramo, secondo cui il fatto grave “è quello di un’Università non al servizio della società civile. Non ci rendiamo conto delle necessità che ha la sanità in Italia per cui le scelte operate sui posti delle scuole di specializzazione non sono adeguate a queste esigenze. Non si riesce a coprire il fabbisogno di personale medico. A Teramo, per fare un esempio, ci sono stati concorsi per anestesisti, ruolo importante nelle sale operatorie, andati praticamente deserti”.

La stima, a livello nazionale, di circa 15 mila neo abilitati alla professione medica ogni anno contro circa 6 mila 500 posti disponibili nelle scuole di specializzazione. 





E anche dal dottor Napoletano arriva l’accusa, forte, “del modo di vedere il medico come un mezzo per procurarsi ‘reddito’”, riferendosi alle sempre crescenti cause intentate per chiedere risarcimenti in caso di errori, presunti o reali, commessi dai medici.

Ma, secondo il primario di Cardiologia “purtroppo sono i rischi cui va incontro chi esercita la professione al servizio della sanità pubblica. Essere chiamati a lavorare in ospedale significa affrontare casistiche il più delle volte d’urgenza, casi gravi in cui il paziente spesso rischia la vita. È quello che, in qualche modo distingue la sanità pubblica da quella privata, che è un’attività più tranquilla, programmata, per interventi il più delle volte non di urgenza”. 

“Negli ospedali pubblici è il paziente che ha bisogno del medico, non è il medico che va a scegliersi su quale paziente operare, dovendo così accettare l’imprevedibilità della situazione e della patologia urgente con cui si ha a che fare, traumi, incidenti stradali, ictus, malori improvvisi. Questi rischi disamorano molti giovani ad affrontare la professione”, dice Napoletano. 

Insomma, giovani medici, precari, che restano sospesi in una specie di limbo, perché impossibilitati a completare il loro percorso specialistico dopo l’università e “non possono accedere, nonostante l’abilitazione, ai concorsi ospedalieri e aspettano magari l’anno successivo per poter entrare in una scuola di specializzazione – sottolinea Ezio Casale, presidente dell’Ordine dei medici della provincia di Chieti – costretti al precariato assoluto, ad accettare sostituzioni per i medici di base, guardie mediche o turni notturni in qualche clinica privata”. 

Casale tocca poi un altro tasto dolente, quello della Scuola di Medicina generale, che forma in un percorso triennale i medici di base “gestita dalla Regione Abruzzo in convenzione con la Asl di Chieti e l’Ordine dei medici di Chieti, conta ogni anno solo circa 20 posti disponibili a fronte di una domanda sempre crescente e con un fabbisogno di medici di base e di famiglia che aumenterà ancora di più negli anni a venire”. 

“Quanto alla scelta delle specializzazioni, per Chieti, c’è una certa preferenza per i settori che comportano meno rischio, ovvero meno probabilità di essere coinvolti in contenziosi da parte dei pazienti per presunti errori commessi dal medico. Diciamo che oggi ci vuole una buona dose di motivazione per scegliere un settore piuttosto che un altro. Ortopedia, un esempio fra tutti, ma anche urologia, sono considerati settori più rischiosi di altri”, rimarca.

“Un rischio serio e preoccupante”, il commento asciutto del vice presidente dell’Ordine dei medici di Pescara, Maria Assunta Ceccagnoli, tra i possibili candidati alla presidenza per il 2018. 

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