L’AQUILA – Un gallo intona la sua monodia a celebrare un nuovo giorno che nasce. Vocianti ed eccitati bambini inseguono un coniglio per accarezzarlo e offrigli una carota. Altri ancora raccolgono con cura ed attenzione gli ortaggi e la frutta nel grande giardino del convento.
Siamo ad Artas, piccolo villaggio vicino a Betlemme, terra di pace, sempre più assediata e prostrata da una folle guerra che semina morte e odio, nere semenze da cui germinerà altra guerra e altro odio. Siamo nella fattoria didattica delle suore Figlie di Maria Santissima dell’Orto, che ha da poco aperto i battenti, adiacente al santuario dell’Hortus Conclusus, e che accoglie bambini e bambine, palestinesi o israeliani, non importa di quale religione o appartenenza etnica, traumatizzati dal conflitto bellico, per far loro conoscere, in un luogo sicuro, pedagogico e di svago, la natura e la vita di campagna che vivono quotidianamente le suore.
Una oasi di pace, resa possibile dal cuore di un aquilano che non c’è più: Stefano Ratini, morto nel 2020, precipitato nel vuoto da un terrazzo di un palazzo, in un giorno d’estate a Las Palmas di Gran Canaria.
Morto però non prima di aver dato disposizione, nel suo testamento, di donare tutti i suoi averi, per scopi benefici, alle Clarisse del monastero di Sainte Claire a Gerusalemme, dove aveva trascorso una decina di giorni, nell’aprile 2017 in compagnia degli amici più cari. Una esperienza che lo ha segnato profondamente, da persona naturalmente solidale, sensibile, colta, e dotata di un talento che è riuscito nelle varie forme ad esprimere, nonostante la sua patologia. E con quei soldi ora è stato possibile trasformare in realtà la fattoria di Artas.
“La nostra riconoscenza per Stefano è immensa – spiega la Madre superiora, suor Rosa de Toro, proveniente dall’Argentina, ad Artas dal 2005, “grazie a lui questo piccolo miracolo è ora possibile offrire un luogo sicuro ai bambini, che soffrono più di chiunque altro le conseguenze di una guerra, ma di questo in pochi se ne occupano. La routine quotidiana cambia bruscamente e provano paura e smarrimento. I bambini percepiscono la guerra attraverso i loro famigliari ed il loro ambiente ed essendo più vulnerabili anche episodi apparentemente marginali possono causare traumi che si trascinano per tutta la vita”.
Al dramma della guerra, poi, a Betlemme abitata per la quasi totalità da palestinesi, si aggiunge quello economico, dato che la città si regge quasi esclusivamente sul pellegrinaggio, ma ora hotel e guest house, ristoranti e negozi di souvenir hanno dovuto chiudere e licenziare il personale e molte famiglie sono in forte difficoltà economica.
Betlemme offre poi limitate possibilità di spostamento a causa del muro a monte, e anche i bambini hanno bisogno di un permesso speciale da parte delle autorità israeliane per passare i check-point, e del deserto a valle. Lo stato è fatiscente e vi sono pochi spazi pubblici all’aria aperta dedicati ai bambini e alle famiglie o non vi è quindi la possibilità di uscire dai centri abitati in genere sovraffollati.
Certo, va ricordato, non siamo nell’inferno di Gaza, dove in un anno di invasione, sono stati uccisi dagli israeliani, secondo le stime di Oxfam, 11mila bambini palestinesi.
Toccanti le parole della Madre Superiora, suor Rosa de Toro, nello spiegare il senso della presenza a Betlemme delle Figlie di Maria Santissima dell’Orto, fondate da Sant’Antonio Maria Gianelli, e che hanno ottenuto l’approvazione pontificia nel 1882.
“Mi dicono, ‘ma cosa fate lì se non convertite nessuno? Sono tutti musulmani’. Ma noi non siamo venute a convertire nessuno: siamo qui per custodire questo pezzo di Terra Santa che mantiene viva l’immagine della Madonna prefigurata nel Cantico dei Cantici. Credo che sia una presenza super profetica perché qui tutti si sentono a casa: i francescani, il Patriarcato latino, i musulmani, gli ebrei, gli armeni, i siriaci, i greco-ortodossi. La nostra povertà che ci fa capaci di ‘andare dove gli altri non possono andare’, viene dalla grotta di Betlemme, dunque è tutto qui: il Cantico e il Natale, questo luogo è la base di tutta la mia vita”.
In fondo lo stesso percorso che in vita ha fatto Stefano, fuori e dentro di se, “‘andare dove gli altri non possono andare”, anche lui nella sua breve e intensa vita, in cerca come tutti di una terra promessa. Ed è dunque opportuno, ripercorrerla tutta, la sua biografia, seppur non almanaccabile nel gran libro delle vite illustri, delle very important person. Come quelle dei leader politici e capi militari israeliani, di Hamas, di Hezbollah ed iraniani, che il loro posto nei manuali di storia se lo stanno meritando grazie alle mani sporche di sangue.
Figlio unico di Fausto Ratini e Giuseppina Battistelli, l’infanzia di Stefano è trascorsa spensierata nella tranquillità della provincia fino al raggiungimento del diploma di studi classici presso il Liceo Ginnasio. Ha proseguito gli studi all’Università Sapienza di Roma, dove ha conseguito la laurea in Lettere Moderne con indirizzo Cinema e Spettacolo, dedicata ad un illustre concittadino, Mario Fratti, famoso autore e sceneggiatore teatrale.
Dopo un’esperienza di vita a Londra, dove ha frequentato un corso di recitazione, è tornato in Italia vivendo tra L’Aquila e Roma. In questi anni sono molte le esperienze lavorative e i progetti artistici, tutti ruotanti attorno al mondo del cinema, che non sempre però hanno trovato continuità e concretezza.
Ad incidere sensibilmente, anche l’aggravarsi delle condizioni di salute del padre ottantenne, da tempo malato e la sua morte nel maggio 2005. Ma nonostante le complicate condizioni di salute e i periodi di grave difficoltà Stefano si è preso cura della madre anziana, e dopo il terremoto del 2009, che ha danneggiato gravemente la loro casa, si è trasferito con lei a Lucoli, nella casa d’origine del padre. A gennaio 2013 Stefano si è reso protagonista di un grave atto di autolesionismo e a distanza di poco più di un mese, a febbraio, la madre è morta.
In seguito a questi nuovi eventi Stefano ha iniziato un regime di vita monitorato, sotto la supervisione del reparto di psichiatria e di un amministratore legale di sostegno che comunque gli ha lasciato un’ampia autonomia di scelte e di autogestione. È in questo periodo che è diventato fondamentale il ruolo degli amici che si sono adoperati attivamente per sostituire l’ambiente familiare e creare un contesto di riferimento sicuro.
Dal 2016 ha registrato un costante miglioramento delle condizioni di salute che gli hanno permesso di impegnarsi in percorsi di terapia occupazionale presso un teatro aquilano, collaborando con una radio che si occupa di problematiche legate al disturbo mentale e creando un blog che si occupa degli stessi temi.
Numerosi sono anche i viaggi che ha intrapreso in questo periodo in compagnia di amici: Thailandia, Cuba, Praga, Odessa e soprattutto due mete che segneranno in modo profondo le sue scelte future. La prima è Gran Canaria, isola che visiterà più volte, la seconda Gerusalemme.
Nel 2020 è esplosa la pandemia del Covid, che ha complicato la possibilità di tornare periodicamente in Italia dalle isole Canarie per monitorare adeguatamente le condizioni di salute. A fine giugno ha subito un ricovero presso il reparto di psichiatria dell’ospedale di Las Palmas. La mattina del 2 luglio il suo corpo è stato ritrovato privo di vita sul marciapiede antistante la propria abitazione di Las Palmas di Gran Canaria.
Le spoglie di Stefano sono rientrate in Italia circa due settimane dopo e il 20 luglio si è svolto il funerale alla presenza di numerosi parenti, amici e conoscenti nella chiesa di San Giovanni Battista di Lucoli, presso il cui cimitero ha trovato il definitivo riposo.
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