ACIAM, NUOVO STATUTO E MAGGIORANZA A PRIVATI, SINDACI ARRABBIATI E TEKNEKO PIGLIATUTTO

3 Giugno 2024 08:28

L'Aquila - Economia

AVEZZANO – Quella del 18 giugno sarà una data cruciale per il destino non solo dell’Aciam, gravata da un debito di  2,5 milioni di euro, ma per la gestione dei rifiuti nella Marsica e in Abruzzo: il cda guidato da Maurizio Bianchini ha convocato infatti una assemblea straordinaria dei soci con all’ordine del giorno la modifica dello statuto, con tanto di parere legale allegato, e con la previsione che un socio privato possa diventare maggioritario, con l’obiettivo, implicito, del risanamento della società consortile, che conta 71 dipendenti e gestisce i servizi di igiene urbana in un bacino di utenza di circa 220.000 abitanti.

Gli occhi sono dunque tutti puntati sul colosso marsicano della gestione dei rifiuti, la Tekneko Sistemi Ecologici srl del patron Umberto Di Carlo, fondata nel 1985 che già detiene il 48,6% delle quote di Aciam, e che opera in Abruzzo, Lazio e Puglia, con  770 dipendenti, una flotta di  670 mezzi e fatturati superiori ai 50 milioni di euro.

A Di Carlo, tra gli imprenditori già più influenti anche dal punto di vista politico dell’area marsicana, ora basterebbe un piccolo incremento del capitale sociale per arrivare al 51% dell’Aciam, di cui è già componente del cda, potendo dunque prendere il pieno controllo della società consortile, dove allo stato attuale i soci di maggioranza sono i 48 comuni della provincia dell’Aquila e la Comunità montana Unione Comuni Montagna Marsicana, che tutti insieme detengono il 51,38% del capitale sociale, con in testa il Comune di Avezzano con il 12,2% delle azioni. C’è poi un altro socio privato, la Segen spa, che ha però solo lo 0,02%.

Una mossa obbligata, per una parte dei sindaci soci, dopo che il tribunale di Avezzano con il giudice Francesca Greco ha detto sì al piano che permetterà alla società di evitare intanto il fallimento, con misure protettive che avranno però la durata di soli 4 mesi, e che introducono “il divieto ai creditori di acquisire diritti di prelazione se non concordati”, e prevede “di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio e sui beni e diritti attraverso i quali viene esercitata l’attività d’impresa”, con  “il divieto delle controparti di risolvere i contratti in essere, in quanto funzionali alla continuità aziendale”.





Ben venga dunque un salvatore della patria privato, il ragionamento, e non è detto però che sia la stessa TekneKo,  visto che potrebbe in linea di principio fare un passo indietro anche lei, abbandonando la nave, e cedere tutte le sue quote ad un nuovo operatore privato, scelto con un bando pubblico. Tanto è vero che lo stesso Umberto Di Carlo in una intervista a Site.it, aveva detto chiaro e tondo che “quella di Aciam non è una crisi strutturale ma congiunturale”, e soprattutto che  Tekneko “non ha interesse a diventare l’unico proprietario, ma ha interesse che l’azienda venga ricapitalizzata da tutti i soci, pubblici e privati, per continuare sulla strada virtuosa intrapresa ormai da tantissimi anni”.

C’è però chi non è affatto d’accordo con l’ipotesi, di fatto più che concreta, al di là delle dichiarazioni a mezzo stampa di Di Carlo, che sia la Tekneko a diventare il player incontrastato della raccolta di rifiuti nella Marsica, visto che ci sono altre ipotesi per mantenere il controllo pubblico, e poi perché alla fine dei conti anche Di Carlo, componente del cda, andrebbe ascritto nel novero di coloro che hanno portato l’Aciam sull’orlo del baratro.

Mentre molti sindaci contrari alla modifica dell0 statuto per ora tacciono, per capire bene lo scenario in attesa dell’assemblea dei 18 giugno, in cui ci sarà una relazione aggiornata dello stato di crisi dell’Aciam, ad uscire allo scoperto è stato Ermanno Natalini, segretario del Partito democratico di  Celano, comune terzo azionista della parte pubblica di Aciam, con il 3,58%, dopo Avezzano e la Comunità montana Unione Comuni Montagna Marsicana, che ha l’8,89%.

“E’ fondamentale salvaguardare i livelli occupazionali e l’intera azienda pubblica – ha detto Natalini -. I debiti hanno azzerato il patrimonio netto della società cosi da rendere necessario un intervento economico straordinario per il risanamento delle perdite e la ricostituzione del capitale sociale. La proposta avanzata dal cda di Aciam, di una modifica allo statuto per superare il limite minimo della partecipazione pubblica al 51% del capitale della società, da approvare nei diversi consigli comunali, solleva incertezze sul futuro di una società pubblica il cui patrimonio netto degli impianti e dei macchinari ammonta a oltre 20 milioni di euro”.

E il riferimento è ad esempio all’impianto di Aielli, che tratta i rifiuti finalizzato a ridurre il quantitativo da destinare a discarica, eliminandone le componenti putrescibili, ’ autorizzato per la gestione di 25.000 tonnellate all’anno di rifiuto tal quale.





A chiedere una operazione verità, e a scagliarsi preventivamente contro la Tekneko con ancor maggiore nettezza, è poi l’ex assessore comunale alle Partecipate di Avezzano, Loreta Ruscio, andata via a gennaio, con il dente avvelenato, dalla giunta del sindaco civico e bipartisan Giovanni Di Pangrazio, e che ora punta il dito accusatore contro la gestione del cda composto oltre che dai citati Bianchini, presidente, e da Umberto di Carlo, anche Alberto Torelli, Federica Di Renzo e Paola Ciciarelli.

“Si apprende che l’Aciam vanta crediti non riscossi per 6.265.400 euro verso terzi – ha tuonato Ruscio -, verso i soci pubblici e verso il socio privato Tekneko. Di tale inerzia non viene data alcuna spiegazione, e risulta ancora più contraddittoria la scoperta del fatto che Aciam anziché esigere il proprio credito dal socio privato, aveva chiesto a quest’ultimo un prestito di 1.949.790 euro, con applicazione di interessi a danno di Aciam a tasso variabile”

E ancora, “si apprende che Aciam chiude il bilancio di esercizio con una perdita di circa 2,5 milioni di euro, senza che nessuno dei comuni soci si sia mani attivato per acquisire le documentazione per comprenderne le ragioni”. Infine: “è incompressibile il fatto che la società a partecipazione pubblica rischia il default, mentre il socio privato prolifera nello svolgimento di una attività del tutto simile”. Filippo Tronca

 

 

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