L’AQUILA – “Dalla capitale della Tanzania sono giunto a ridosso del confine con il Malawi, uno dei Paesi più poveri dell’Africa, nel cui territorio entrerò alla fine di questa settimana. In terra tanzaniana ho gustato e sto gustando l’elevatissimo tasso di cordialità delle centinaia di persone nelle quali mi sono imbattuto. Sempre sorridenti, disponibili in ogni momento ad aiutare un musungu (bianco), mai tentennanti nel dimostrare la curiosità e felicità nel vedere un forestiero. Eppure di motivazioni sulle quali erigere il loro edificio di non felicità e non serenità ne avrebbero a iosa. Soprattutto nei villaggi infatti il tasso di miseria e la totale mancanza di igiene fanno rabbrividire”.
E’ un passaggio del primo capitolo del diario di viaggio Leandro Bracco, ex consigliere regionale abruzzese, in cammino, dal 25 marzo scorso, da Dodoma a Maputo, per percorrere in nove mesi, Tanzania, Malawi, Zambia, Zimbabwe, Sudafrica, Eswatini e infine il Mozambico, con arrivo il 25 dicembre, e con l’obiettivo di finanziare ben otto progetti attraverso donazioni. Questo nell’ambito del progetto Alimentiamo la speranza.
Nel suo pellegrinaggio solidale, Leandro Bracco sta percorrendo una media di 23 chilometri per un totale di circa 5.300 chilometri, e si riposa un solo giorno a settimana, la domenica. Ad affiancarlo un fuoristrada che trasporta acqua e cibo.
Abruzzoweb, al fine di sostenere l’iniziativa e favorire le donazioni, si collegherà con Leandro Bracco, da ogni paese che attraverserà con una diretta streaming e pubblicherà a puntate il suo diario di viaggio.
Il denaro raccolto sarà interamente devoluto a Ordini religiosi con i quali negli scorsi mesi sono stati stipulati accordi per dare concretezza a otto progetti di sviluppo e carità nei sette Stati attraversato. I beneficiari saranno 4 categorie di persone: bambini orfani e abbandonati, donne vittime di violenza, disabili ed ex detenuti.
Le donazioni potranno essere effettuate tramite la app Tucum, sul sito www.tucum.net, nella pagina dedicata al progetto “Alimentiamo la speranza”.
TANZANIA
Resistenza fisica messa a dura prova, mattine nelle quali le gambe sono pesanti come blocchi di granito e poi il calore del sole che nove volte su dieci è ai limiti del sopportabile.
Ciononostante quando riesco a superare questi impedimenti e mi metto in cammino, sono molteplici le gioie e i momenti piacevoli che durante lo svolgimento della tappa prendono vita.
Poco più di un mese fa ha preso avvio questa straordinaria avventura.
Mi sembra ieri quando sul volo Il Cairo – Dar Es Salaam ho scritto per la prima volta una lettera al mio papà oltre quattro anni dopo la sua nascita in cielo.
Mi sembra ieri quando ho iniziato a camminare partendo dal sagrato della cattedrale di Dodoma. E invece ho già macinato oltre 600 chilometri.
Chilometri densissimi di emozioni, incontri, difficoltà ma soprattutto voglia di farcela.
Dalla capitale della Tanzania sono giunto a ridosso del confine con il Malawi, uno dei Paesi più poveri dell’Africa, nel cui territorio entrerò alla fine di questa settimana. In terra tanzaniana ho gustato e sto gustando l’elevatissimo tasso di cordialità delle centinaia di persone nelle quali mi sono imbattuto.
Sempre sorridenti, disponibili in ogni momento ad aiutare un musungu (bianco), mai tentennanti nel dimostrare la curiosità/felicità nel vedere un forestiero. Eppure di motivazioni sulle quali erigere il loro edificio di non felicità e non serenità ne avrebbero a iosa. Soprattutto nei villaggi infatti il tasso di miseria e la totale mancanza di igiene fanno rabbrividire.
E di villaggi, in Tanzania, se ne trovano ovunque.
Il pugno nello stomaco è rappresentato dalla moltitudine quasi sterminata di bambini lasciati in balia di se stessi. Indossano stracci, giocano circondati e avvolti da polvere, sporcizia e rifiuti di ogni tipo e, molte volte, li vedi divertirsi in pozzanghere fangose dense di insetti.
Fango che qui in Tanzania è presente in quantità industriali per via della stagione delle piogge nella quale mi trovo immerso.
I miei occhi hanno visto bimbi di pochi anni divertirsi come matti inventandosi giochi con scarti di automobili che in qualsiasi angolo d’Italia sarebbero impensabili e improponibili. Qui invece non sono l’eccezione ma la regola.
E quante ragazzine appena diventate signorine che dopo la loro prima volta, vengono abbandonate non appena il ragazzo con il quale hanno assaggiato la sessualità viene a conoscenza che diverrà padre.
Le parole di Elizabeth, 16 anni, conosciuta in un villaggio sperduto in mezzo alla foresta, trafiggono anche il cuore più insensibile: “Ero vergine, lui aveva pochi anni in più di me. Mi sentivo molto attratta perché nonostante la giovane età mi dava l’idea di essere un ragazzo maturo e responsabile. È stato un rapporto molto veloce. Lui ha pensato solo a una cosa.
Quando gli ho comunicato di essere incinta, è scappato in un altro villaggio. Ora non so dove sia. Mi ha fatto sapere che di me e di nostra figlia, nata cinque mesi fa, non gli interessa nulla e che mai la riconoscerà”.
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