TERAMO – “La Dop, denominazione origine protetta è una garanzia per i produttori e per i consumatori. Se viene presentato e promosso come arrosticino d’Abruzzo, la sua carne deve essere di pecora allevata in Abruzzo. Una questione di trasparenza, da cui dipende anche il rilancio dell’ovinicoltura, che ha fatto la storia e la ricchezza per secoli della nostra regione”.
Il grido di battaglia di Ugo Ciavattella, di Assoallevatori Ara, è solo uno di quelli che si sono alzati, forti e chiari, nel corso della 61esima Fiera della pastorizia, celebrato a inizio luglio sullo spettacolare Piano Roseto sui monti della Laga, tra i comuni di Cortino e Crognaleto: vogliamo arrosticini certificati, prodotti rigorosamente con pecore allevate in Abruzzo, o al massimo nelle regioni limitrofe legate da secoli con la transumanza. Un arrosticino identitario, che potrebbe incentivare la ripresa degli allevamenti creando lavoro e sviluppo nelle montagne in via di spopolamento, che di pascoli ne hanno in abbondanza, e che proprio per questa ragione potrebbe accrescere il numero di capi allevati per la macellazione, ad oggi appena un sesto dei 600mila che servirebbero. Quindi chi vuole si faccia l’Indicazione geografica protetta (Igp), con cui si può usare carne importata, come pretende anche in via esclusiva la potente industria di trasformazione e la Confagricoltura, ma la Dop, ovvero la Denominazione origine protetta, che presuppone utilizzo di con carni locali, resta la priorità e deve diventare realtà.
Padroni di casa, come ovvio a Piano Roseto sono stati gli allevatori, e dunque il fronte della dop, capitanato da Coldiretti, con Antonella Ballone, presidente della Camera di commercio Gran Sasso, candidata alle Europee di giugno con Forza Italia, risultata prima delle non elette nel collegio sud, tra gli organizzatori dell’evento, a fare da moderatrice, e che non potendo prendere posizione, come impone il suo ruolo istituzionale, per l’una e l’altra soluzione e rispettiva associazione di categoria, dovendo rappresentare tutte le istanze, ha però anticipato la salomonica soluzione di mettere in campo entrambe i marchi.
“Nulla vieta che ci siano sia la Dop che l’Igp per uno stesso prodotto, accade ad esempio con l’aceto balsamico di Modena, e questa può essere la strada giusta. Poi sarà come giusto che sia il consumatore a scegliere”, ha detto Ballone.
Che poi è la soluzione a cui a stretto giro si è arrivati in Regione Abruzzo dopo un lungo scontro interno alla maggioranza di centrodestra, con la firma in calce ad una risoluzione congiunta da parte di Massimo Verrecchia, capogruppo di Fratelli d’Italia e grande fautore della Dop, Emanuele Di Matteo capogruppo di Forza Italia e Carla Mannetti, consigliere regionale della Lega, in cui si prevede appunto che in Abruzzo ci saranno entrambe i marchi, Dop e Igp e in cui si chiede “di incrementare le risorse da destinare al settore dell’Agricoltura per aumentare la produzione locale e incentivare gli allevatori abruzzesi”.
Di fatto una sconfitta però per la Confagricoltura e il potente settore dell’industria di trasformazione, che macina un miliardo di fatturato con 80 imprese e 12mila addetti, che puntavano esclusivamente sull’Indicazione geografica protetta (Igp), per la quale la carne di pecora basta trasformarla sul territorio regionale regione, con un determinato disciplinare, e si può usare anche carne proveniente dall’estero, ad oggi da Francia, Romania, Spagna, Irlanda e Paesi dell’Est. L’importante è infatti blindare il brand “arrosticino” e legarlo indissolubilmente all’Abruzzo, prima che qualcuno lo scippi. Ad oggi del resto, dall’estero arrivano ben 700.000 capi trasformati in Abruzzo per produrre arrosticini, mentre in regione vengono allevati solo 150.000 capi ovini, di cui però 130.000 sono utilizzati solo a scopo di latte.
Dall’altra parte c’è la Coldiretti, che vuole la Denominazione di origine protetta (Dop), e in questo caso la materia prima dev’essere rigorosamente allevata e macellata in Abruzzo.
Ha spiegato ancora Ciavattella, in merito al fabbisogno di carne ovina, ad oggi oggettivamente insufficiente.
“Certo, il numero ovini da macellazione che servono per coprire oggi l’intero fabbisogno è di circa 600 mila, e siamo ancora lontani – spiega l’esperto -. Ma le regole della Dop consentono, rimanendo in ambito nazionale, di poter utilizzare anche carni provenienti da altre regioni, legate all’Abruzzo dalla transumanza, a cominciare da Molise e Puglia, ma anche in generale dall’Appennino centrale. E allora già ci sarebbe un quantitativo sufficiente di carne per far decollare la Dop, del resto nemmeno la celebre Dop del prosciutto di Parma è coperta esclusivamente dai maiali prodotti in loco”.
Insomma, la proposta è dare sostanza economica e concreta alla Transumanza, inserita nel 2019 dall’Unesco nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità e intorno a cui si tanno sviluppando monte iniziative di promozione, tra cui anche il documentario per il mercato nazionale e internazionale “Le vie della lana”, un racconto che ha come asse centrale il Tratturo magno da L’Aquila a Foggia, una produzione Kairostudio per la regia di Daniele Di Domenico, presente con la sua troupe fare riprese anche alla Fiera della pastorizia di Piano Roseto.
Chi vuole poi si faccia l’arrosticino Igp, prosegue Ciavattella ma “quello che non ci sta bene è che venga spacciato per arrosticino autenticamente abruzzese. Ed è un errore andare contro la Dop per paura di una concorrenza interna, per il timore di perdere il monopolio. Noi stiamo dalla parte dei pastori, e devono essere i consumatori a scegliere se mangiare arrosticini con la carne delle nostre pecore e dei nostri incontaminati pascoli, oppure dall’estero, con la carne che qui viene solo trasformata, infilata negli spiedini di legno. Cosa c’è di autenticamente abruzzese in tutto ciò? Almeno per la bresaola della Valtellina si usano sì carni di importazione, ma in loco viene fatta la stagionatura e i trattamenti che rendono tipico ed esclusivo quel prodotto”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Emanuela Ripani di Coldiretti, allevatrice di pecore.
“A San Marino mi hanno servito arrosticini di angus, ma l’arrosticino deve essere di pecora, deve essere abruzzese, deve essere identitario ed esclusivo. ecco perché occorre scommettere nella Dop, e va presa di petto la sfida dell’aumento della produzione, e qui la politica può fare molto, perché sarebbe un investimento vincente. Si può pensare ad indennizzi per incrementare la popolazione degli ovini, con premi di macellazioni e per il ristallo, aiuti mirati ai giovani allevatori.
Poi ci sono problemi concreti che potrebbero essere superati: la Asl ci affianca e ci controlla, nella fase dell’allevamento e nella trasformazione, e questo ben venga, perché ci spinge a migliorarci, a fare le cose come si deve. Siamo i primi a volere la trasparenza, ma chiediamo che i controlli non siano troppo assidui e ripetitivi, ma razionalizzati e accorpati, perché ogni volta noi dobbiamo sottrarre molto tempo al lavoro”.
Conclude Ballone, “va colto un effetto positivo di questo dibattito sulla Dop e l’Igp, l’ovinicoltura è tornata al centro dell’attenzione, ed è un bene, perché può e deve rappresentare un settore strategico per le aree interne, creando posti di lavoro e potenziando le filiere economiche. E’ giusto e opportuno che la politica resti vicina agli allevatori, noi come Camera di commercio faremo la nostra parte”.
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