L’AQUILA – La clinica Villa Letizia ha di fatto subìto, nell’emergenza covid un forte rallentamento delle attività, sospendendo le prestazioni, e la negazione dei ristori da parte della Asl provinciale dell’Aquila, non solo è “errata nel merito”, ma anche nel metodo, essendoci “un eccesso di potere”, e andando “oltre le sue competenze”.
Sono questi gli argomenti esibiti dalla clinica privata Villa Letizia dell’Aquila, che affidandosi all’avvocato Fausto Corti, del foro dell’Aquila, si è rivolta al Consiglio di Stato, per chiedere la revisione della sentenza del Tar, che il 13 marzo ha respinto il ricorso della stessa clinica, contro la decisione della Asl provinciale dell’Aquila, di negare 1,5 milioni di euro di ristori per la sospensione delle attività dal 9 marzo al al 19 maggio 2020, periodo più drammatico della pandemia del covid-19.
Stesso destino toccato, oltre a Villa Letizia, alle altre cliniche private del territorio della provincia dell’Aquila, tra cui la Ini di Canistro, la Di Lorenzo di Avezzano, la Nova Salus di Trasacco, l’Immacolata di Celano e la San Raffaele di Sulmona, il tutto, secondo una stima, circa 6-7 milioni di euro.
Una vicenda che sta creando un duro contenzioso tra Asl e gli operatori privati, tra cui il presidente dell’Agenzia coordinamento ospedali privati (Acop) per l’Abruzzo, Lucia Di Lorenzo, proprietaria dell’omonimo gruppo. A maggior ragione perché le altre tre Asl abruzzesi, come tutte le altre in Italia, hanno riconosciuto, e già da tempo pagato, i ristori.
Il contenzioso è solo un sintomo del rapporto conflittuale che si è venuto a creare tra cliniche private, che vivono in crescente malessere, e la Regione Abruzzo con le sue quattro Asl. In particolare nelle occasioni in cui è stato possibile un confronto gli operatori provati hanno rivendicato il loro ruolo per frenare la mobilità passiva, che dati aggiornati a fine 2021, ammonta a 92,2 milioni di euro, soldi che le Asl devono sborsare alle altre regioni che accolgono in pazienti abruzzesi in trasferta. Un dato migliore dei 100 milioni di euro del 2020, ma di gran lunga peggiore di tutti gli anni precedenti a cominciare dal 2013, quando l’esborso per la mobilità passiva era a “soltanto” 69,5 milioni di euro. E lamentano le cliniche, non si vedono all’orizzonte politiche efficaci per porre rimedio a questo grave gap.
A maggior ragione le cliniche private aquilane, nella partita dei ristori covid negati, invocano ora, “un intervento del governo regionale a derimere l’incresciosa situazione venutasi a creare”, e la Di Lorenzo ha chiesto infatti la convocazione di un tavolo con Regione e Asl, ricordando ad Abruzzoweb che “le case di cura hanno subìto riduzioni di attività sostanziali e molto importanti, e non soltanto nel periodo da marzo ad aprile 2020, ma in realtà per tutto l’anno, fino ai primi mesi del 2021”, con un fatturato delle strutture dell’Aquila “sceso del 20% nel 2020 mentre i costi si sono ridotti in maniera assolutamente irrisoria, parliamo del 2-4%”.
I ristori erano stati previsti dal decreto legge 34 del 2020, e recepiti con la delibera di Giunta 298 del maggio 2021 dalla Regione Abruzzo, che rinviava, per i criteri di assegnazione, ad una circolare del Ministero della Salute del 26 febbraio 2021. Ma la Asl dell’Aquila, e solo la Asl dell’Aquila, a quella delibera di fatto non ha inteso fare seguito.
Emblematico poi il caso della clinica privata San Raffaele di Sulmona che accusa il direttore generale della Asl, Ferdinando Romano, implicitamente, di non essere stato neanche in grado di pagare i ristori da covid, alle strutture pubbliche della propria azienda sanitaria.
ll patron di Villa Letizia, Enrico Vittorini, dopo il mancato pagamento dei ristori, e incassato il respingimento del ricorso da parte del Tar, si è così rivolto, non domo, al Consiglio di Stato.
In soldoni, il Tar aveva respinto il ricorso di Villa Letizia, dando per legittime le argomentazioni della Asl aquilana: in base alle ordinanze governative, “il rimborso deve riguardare solo i costi fissi concretamente sostenuti dall’operatore sanitario in relazione, alle attività strettamente riconducibili al rapporto di accreditamento con il sistema sanitario regionale, e per il tempo in cui è stata realmente subita la sospensione”.
Ebbene, in base a questa lettura, Villa Letizia, accreditata per l’erogazione di prestazioni di ricovero ospedaliero e ambulatoriale, e “per le prime prestazioni, quelle ospedaliere, non si è avuta alcuna sospensione”, in quanto l’ordinanza 3 del 9 marzo del 2020 del presidente Marco Marsilio “si è limitata a raccomandare alle strutture accreditate di ridimensionare l’attività in attesa di ulteriori indicazioni”, e una successiva ordinanza del marzo 2020 ha prescritto “alle strutture private accreditate, per tutto il periodo emergenziale Covid 19, di accogliere i pazienti no -covid qualora trasferiti dalle strutture pubbliche della rete di emergenza regionale, rimodulando la loro attività di elezione.”
Inoltre per le attività ambulatoriali, è stata disposta una limitazione solo per quelle “programmate”. Dunque “non c’è mai stata una effettiva sospensione (cosa ben diversa e non confondibile con la “rimodulazione”), nella sola cui ricorrenza il legislatore nazionale ha accordato alle Regioni la facoltà di procedere al rimborso dei costi fissi sostenuti”.
In sintesi, secondo la sentenza del Tar, riassume nel ricorso al Consiglio di Stato l’avvocato Corti, “la norma nazionale subordinava l’erogazione dei ristori alla ‘sospensione’ da
parte della Regione della attività delle strutture private, tale ‘sospensione’ non è stata disposta dalla Regione e comunque non si è verificata in punto di fatto; i provvedimenti regionali che hanno equiparato la riprogrammazione e/o rimodulazione alla ‘sospensione’ vanno disapplicati perché contrari alla norma nazionale di grado superiore”.
Ebbene, per Villa letizia, la sentenza è “errata”, e prima di ogni altra cosa si fa osservare che
la Asl dell’Aquila “è l’unica azienda sanitaria dell’intero Paese che non ha erogato i ristori Covid alle strutture private che operano nel suo territorio di competenza. E già questo conferma come non vi siano incertezze di sorta sulla interpretazione e sulla portata applicativa della normativa”.
Entrando nel merito, non è poi vero, come sostiene il Tar, che “nessuna norma ha disposto la sospensione della attività di Villa Letizia”, la quale avrebbe dunque continuato ad operare anche nei mesi del lock-down.
Villa Letizia infatti, a seguito delle circolari ministeriali e delle ordinanze regionali nel periodo compreso tra il 21 marzo 2020 e il 9 maggio 2020, “non ha svolto alcuna attività sia di carattere ospedaliero che ambulatoriale, e non ha più eseguito alcuna prestazione”, come emerge dalla stessa documentazione prodotta in giudizio della Asl che “ha quindi valenza confessoria”, si evidenzia nel ricorso.
Infatti, “i flussi delle prestazioni eseguite da Villa Letizia e oggetto di remunerazione hanno riguardato il mese di marzo per importi sensibilmente inferiori a quelli dei mesi precedenti perché le prestazioni si sono interrotte nella seconda quindicina del mese, non è presente
alcun documento attestante i flussi del mese di aprile (proprio perché alcuna prestazione è stata svolta in detto mese) e anche per il mese di maggio, alla stessa stregua del mese di marzo, si nota un flusso di prestazioni inferiore rispetto ai mesi successivi, dovuto anche in questo caso alla ridotta attività svolta”.
Altro argomento riguarda ancora il punto in cui il Tar ha ritenuto legittimo il provvedimento di diniego perché “la normativa nazionale ha previsto i ristori solo in caso di sospensione effettiva delle prestazioni, e non per riprogrammazione o rimodulazione delle attività”.
Nel ricorso al Consiglio di Stato, si cita a tale proposito una richiesta di interpello della Regione Piemonte, una di quelle regioni che non aveva disposto le sospensioni, a cui ha dato risposta il Ministero della Salute sostenendo che “la interruzione delle attività ospedaliere ed ambulatoriali si era verificata a livello nazionale in forza della normativa emanata dal legislatore statale che aveva portato singole regioni a ritenere superfluo assumere provvedimenti di sospensione di una attività già sospesa”.
Ergo, anche senza dichiarazione di sospensione a livello regionale, “i ristori sono dovuti, anche perché diversamente si sarebbe arrivati “all’esito oggettivamente irragionevole di escludere dai ristori solo quelle strutture che operavano nelle regioni che si erano astenute dall’assumere provvedimenti di sospensione”.
Si contesta poi il “difetto di competenza” e “l’eccesso di potere”, in quanto la Asl, “nel disapplicare le ordinanze e le raccomandazioni della Regione Abruzzo, “si è illegittimamente sostituita alla stessa Regione nel ruolo di decisore politico e amministrativo sulla concessione di risorse pubbliche volte a far fronte all’emergenza causata dalla pandemia da coronavirus”
In altri termini la Asl “non aveva alcuna competenza a sindacare il riconoscimento delle
somme spettanti, poiché le attività ad essa affidate sono state espressamente circoscritte alle verifiche delle dichiarazioni rese dagli erogatori privati accreditati ed alla mera liquidazione delle somme accertate come conformi alle disposizioni dettate dalla Regione Abruzzo”.
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