L’AQUILA – Nella conferenza stampa di ieri il presidente della Regione Marco Marsilio, e l’assessore Tiziana Magnacca, alla vigilia del 1 maggio, festa dei lavoratori, hanno evidenziato che il tasso di occupazione in Abruzzo è aumentato nel 2023 al 61,3%, rispetto al 58,4% del 2022, più della media nazionale, e soprattutto per quel che riguarda le donne.
Una buona notizia, senza dubbio, unita anche alle prime buone performance del programma Gol, con circa 40.000 disoccupati abruzzesi presi in carico dal 2022 dai Centri per l’impiego. Ma c’è un altro aspetto della questione lavoro che non deve essere messa in secondo piano, dietro la freddezza delle statistiche, e a ricordarlo è la Cgil, che ad Abruzzoweb sottolinea ad aumentare “è in particolare il lavoro precario, non garantito e povero”, in una situazione incresciosa per la quale l’occupazione non garantisce più un adeguato livello di benessere, alla luce anche del fatto che l’inflazione erode con maggior voracità i redditi.
Spiega in fatti il segretario generale Carmine Ranieri, “variazioni percentuali sugli occupati non devono trarre in inganno: tutti gli indicatori dicono che ad aumentare il realtà è il lavoro e non garantito, ovvero contratti precari, il part time involontario, i mini job, che fanno statistica, ma non creano occupazione di qualità, benessere e sicurezza, del resto la produzione industriale è ferma, se non in calo”.
Una conferma arriva dai dati del Centro studi di Unimpresa, appena diramati, secondo i quali una fetta della popolazione vicina al 15% è a rischio povertà: sono, infatti, oltre 8 milioni e mezzo gli italiani che rientrano nell’area di disagio sociale e quindi vivono in una condizione economica fortemente precaria. E soprattutto sono ben 6,6 milioni di cosiddetti working poor.
Senza dimenticare gli oltre 5 milioni di soggetti in povertà assoluta che portano il totale degli italiani in difficoltà parziale o estrema a quasi 14 milioni. E’ comunque leggermente calata, l’anno scorso, la fetta di persone a rischio povertà, pari a 8 milioni e 440 mila in discesa di circa 28mila unità rispetto al 2022.
Del resto i salari in Abruzzo e in Italia tra i più bassi in Europa, e prosegue Ranieri, “il 50% dei contratti non sono rinnovati, e se accade sono contratti pirati, approvati cioè da sindacati condiscendenti o con la parte datoriale e che non rappresentano nessuno. Ma il governo di centrodestra si guarda bene dall’approvare una legge sulla rappresentanza sindacale, chiesta da tempo dai sindacati, e di approvare contestualmente una legge del salario minimo. Mentre intanto aumenta il massiccio ricorso alla cassa integrazione, a carico dello Stato, che genera anche qui una forma di lavoro povero, perché chi percepisce la cassa integrazione, e risulta nelle statistiche occupati, vedi ridursi il suo compenso del 30% in meno, ed è spesso l’anticamera del licenziamento”.
Il fenomeno osservato da Unimpresa nel nuovo rapporto, riguarda principalmente i disoccupati e i working poor ovvero lavoratori precari o sottopagati: in particolare, questo bacino, negli ultimi anni, ha alimentato la fetta di poveri assoluti.
Infatti, se i poveri, a partire dal 2005, sono più che raddoppiati, salendo da 2,4 milioni a 5,6 milioni, i “working poor” sono passati, negli ultimi anni, da 10,4 milioni a 8,5 milioni: un “saldo” negativo di 2,2 milioni che va letto come un passaggio da un’area a rischio alla povertà assoluta.
I lavoratori a rischio povertà, a fine 2023, erano 8,5 milioni, in leggero calo 28mila unità rispetto all’anno precedente (-0,3%).
I disoccupati, tra il 2022 e il 2023, sono rimasti sostanzialmente stabili, con una lieve variazione negativa: sono passati da 2 milioni e 27 mila a 1 milione e 947mila, in diminuzione di circa 80mila unità (-3,9%).
Tra i disoccupati, gli ex occupati sono passati da 1 milione e 129mila a 1milione e 55mila, in calo di circa 74mila unità (-6,6%); gli ex inattivi sono arrivati a quota 390mila in discesa di circa 3mila unità (-0,8%); coloro che sono senza esperienza di lavoro, infine, sono calati di 3mila unità (-0,6%), passando da 505mila a 502mila.
Quanto ai “working poor” (precari e sottopagati), questa categoria è passata da 6 milioni e 551mila soggetti a 6 milioni e 603mila soggetti, con una crescita di 52mila unità (+0,8%).
Tra gli occupati instabili o a basso reddito, i lavoratori con contratto a termine part time sono passati da 867mila a 920mila, in aumento di 53mila unità (+6,1%); gli addetti con contratto a termine e a tempo pieno sono calati, invece di 93mila (-4,4%) da 2 milioni e 114mila a 2 milioni e 21mila; i lavoratori con contratto a tempo indeterminato part time involontario rappresentano un’altra fascia cresciuta, con un aumento di 17mila unità (+0,6%) da 2 milioni e 638mila a 2 milioni e 655mila; i lavoratori con contratti di collaborazione sono aumentati di circa 2mila unità (+0,8%) da 248mila a 250mila; gli autonomi part time, infine, sono cresciuti di 73mila unità (+10,7%) da 684mila a 757mila.
Conclude Ranieri: ” è molto grave il mancato rinnovo dei contratti, in una situazione in cui l’inflazione è salita nel triennio del 16%, e se vengono rinnovati l’aumento è meno del 6% mentre l’inflazione è tripla. Ma da dove viene poi questa inflazione? in buona parte non dall’aumento delle materie prime e dal costo dell’energia, ma dalla speculazione: le imprese hanno incrementato i loro profitti aumentando i prezzi al consumo, e questo fa esplodere l’inflazione. I lavoratori si impoveriscono, e con loro tutta l’Italia. Filippo Tronca
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