ROMA – “È un percorso che dobbiamo fare insieme e nessuno verrà danneggiato”.
Roberto Calderoli scende dal ‘caterpillar’ – definizione che si è auto attribuito – e veste i panni del diplomatico.
All’incontro sull’autonomia differenziata, anticipato dalla levata di scudi dei governatori del Sud e dalla freddezza di Fratelli d’Italia, il ministro leghista si presenta con un testo aperto, pronto a raccogliere le proposte della Conferenza delle Regioni, “che troveranno legittimamente spazio”.
“Non c’è una spaccatura tra Nord e Sud, c’è una paura del Sud che qualcuno si avvantaggi a svantaggio loro. Mi auguro – rassicura – che tutti possano avere un vantaggio, piccolo o grosso, da questa riforma”.
Ma tra i governatori del Pd i dubbi restano.
“Prima proponevano la secessione, poi il federalismo fiscale, ora l’autonomia differenziata, non è che possiamo dire che ci fidiamo con certezza”, avverte il presidente della Puglia Michele Emiliano.
Nella bozza del disegno di legge – che Calderoli ha declassato ad “appunti di lavoro” – è previsto che vengano stabiliti i livelli essenziali di prestazione (che lo stato deve garantire “su tutto il territorio nazionale”) prima di procedere all’accordo diretto sulle materie da delegare alla Regioni, ma è anche fissato un termine di un anno oltre il quale, se non vengono approvati con decreto del presidente del Consiglio, le funzioni possono comunque essere trasferite alla Regione: “si applica il criterio della spesa storica sostenuta dalle amministrazioni statali nella Regione per l’erogazione dei servizi pubblici corrispondenti”.
È questa la principale contestazione, perché – ritengono i governatori – si aggraverebbero le differenze nel Paese, su questioni fondamentali, dall’istruzione alla salute. È lungo, infatti, l’elenco delle materie di cui le Regioni potranno scegliere di occuparsi in via esclusiva, mutuandoli dai poteri dello Stato centrale, dalla scuola ai trasporti, fino al commercio con l’estero e ai giudice di pace.
Ed Emiliano su questo è perentorio: “È impossibile – dice – immaginare qualunque percorso senza partire da una legge cornice che stabilisca quali possono essere le materie oggetto d’intesa. È escluso ad esempio che scuola, energia o trasporti possano esser oggetto di una delega alla Regioni. Il rischio è quello di una Babele”.
Viene poi contestato, dal Pd e anche dal M5s, la bozzo limiti il ruolo del Parlamento, prevedendo “un solo ruolo di ratifica”. Nonostante i distinguo e l’incontro interlocutorio (un “brainstorming”, l’ha definito Luca Zaia), l’intenzione della Lega è di portare a casa la riforma entro il 2023.
Il presidente del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga lo ritiene un obiettivo realizzabile: “Nessuno ha fatto barricate, ho visto un clima positivo”.
In Veneto e Lombardia, dove si sono anche tenuti i referendum, i governatori leghisti Zaia e Attilio Fontana, hanno già avanzato la richiesta per tutte e 23 le materie. Il presidente della Liguria, Giovanni Toti, si è aggiunto subito dopo chiedendo le competenze sui porti. Quello della Toscana Eugenio Giani (Pd) rivendica i beni culturali e la geotermia. Il governatore dem dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, che è tra i più antichi sostenitori dell’autonomia differenziata, ritiene però che servono “condizione precise”: “una legge quadro, che vengano definiti i livelli essenziali di prestazione, i fabbisogni standard e la spesa storica, e poi il coinvolgimento del Parlamento”. Anche il forzista Roberto Occhiuto, governatore della Calabria, mette dei paletti: diritti uguali per tutti e che “si archivi l’ingiusto criterio della spesa storica per finanziare questi diritti”.
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