BALNEATORI ABRUZZO, BARRICATE CONTRO LE GARE. SPIAGGE LIBERE A RISCHIO, DUBBI UE SU MAPPATURA

di Filippo Tronca

29 Ottobre 2023 07:49

Chieti - Economia

PESCARA –  Sono settimane di grande incertezza per i 924 imprenditori balneari abruzzesi, titolari di concessioni che in base ad una sentenza del Consiglio di Stato, scadono il 31 dicembre 2023, ed è vietato rinnovarle attraverso proroghe automatiche, come vuole, con la minaccia di pesanti sanzioni dall’Unione europea, la famigerata direttiva Bolkestein del 2010.

Nel 2022 il governo di Mario Draghi  ha recepito gli effetti della sentenza, ma ha concesso un anno di deroga in più alle amministrazioni locali – fino al 31 dicembre 2024 – in caso di “difficoltà oggettive” e visto che il governo non mai emanato i decreti attuativi coni i criteri uniformi a livello nazionale per istituire le gare, questa sarà la scusa per i Comuni di non indire le gare entro l’anno. Ma non è affatto detto: a Lignano Sabbiadoro, in Friuli Venezia Giulia, ha approvato un atto di indirizzo che prevede di avviare le gare entro la fine di quest’anno, e lo stesso ha fatto il comune di Santa Margherita Ligure. E il timore è che questo possa accadere anche in Abruzzo.

Intanto si attende con trepidazione la sentenza, che sarà pubblicata entro un paio di  settimane,  della Cassazione a sezioni unite per il ricorso con cui il Sib Confcommercio ha chiesto l’annullamento della sentenza del Consiglio di Stato, e in cui si chiede il ripristino del termine, molto più ampio, del 2033 per fare le gare. C’è cauto ottimismo perché la procura della Cassazione si espressa a favore del ricorso,  affermando che il consiglio di Stato non avrebbe potuto annullare la proroga al 2033 – giudicandola un rinnovo automatico e quindi in contrasto col diritto europeo – e al contempo fissare un altro termine altrettanto automatico e generalizzato, in maniera del tutto arbitraria, quale è stata la scadenza del 31 dicembre 2023, perché questo spetterebbe al governo.

Il governo di centrodestra di Giorgia Meloni è schierato più o meno compattamente con i balneatori, che le gare non le vogliono, argomentando che in questo modo ci sarà l’invasione delle multinazionali del turismo, contro cui sarà impossibile competere, e sarà la parola fine per tante imprese a condizione familiare che tanto hanno investito in questi anni e che rappresentano un patrimonio identitario italiano.

Ma la strada è molto stretta: solo pochi giorni fa a Bruxelles s’è tenuta un’audizione dei balneari sull’applicazione della direttiva Bolkestein alla Commissione Petizioni, e in quella sede è stato ricordato che in 12 anni le concessioni hanno avuto ben quattro rinnovi automatici, ribadendo quanto la Corte di giustizia europea ha da tempo stabilito e ripetuto: le reiterate proroghe sulle concessioni balneari sono incompatibili con il diritto comunitario, poiché rappresentano una forma di rinnovo automatico al medesimo soggetto, e occorre invece rispettare il principio della libera concorrenza.

Il Governo Meloni ha cercato una scappatoia per non fare le gare o rinviarle il più possibile, usando come grimaldello l’articolo 12 della direttiva Bolkestein, in cui si dice che le procedure selettive debbano essere effettuate solo “qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali”.





Si è pertanto proceduto alla mappatura, pressoché conclusa, delle spiagge occupate e di quelle libere in Italia, per dimostrare che il “bene spiaggia” non è raro.

Ebbene, da questa mappatura emerge che la percentuale di occupazione degli stabilimenti è “solo” del 33% delle coste, e questo per il governo  dimostrerebbe che c’è un’abbondante quantità di litorali disponibili per permettere di avviare nuove imprese, in modo da garantire la concorrenza richiesta dall’Europa, senza dover mettere a gara le concessioni esistenti.

In realtà però il 33% è una media nazionale, l’Abruzzo ad esempio ha un demanio occupato del 67,4%, con un 32,5% rimasto libero.

Anche qui a macchia di leopardo: a Pescara è libera solo il 10% di litorale, a Vasto il 16,8%, mentre è tra il 20% il 30%  Tortoreto, Giulianova, Alba Adriatica, Roseto, Silvi, Montesilvano, Francavilla e San Salvo. Di contro a San Vito Chietino è libero addirittura il 94,7% di litorale, a Torino di Sangro il 77%, a  Rocca San Giovanni il 73%,  a Casalbordino il 62%, ad Ortona 57%.

Questo perché evidentemente i tratti di costa con un numero minimo di concessioni sono quelle caratterizzate da scogliere, e poche spiagge accessibili e fruibili.

E questo è proprio l’aspetto dirimente che potrebbe essere contestato della mappatura in sede europea. Non è per nulla scontato, infatti, che l’Ue approvi la tesi della “non scarsità della risorsa”, evidenziando innanzitutto che i litorali liberi sono quasi tutti concentrati nel sud Italia, mentre i distretti turistici del Nord più inflazionati e appetibili, sono già saturi, e si potrebbe contestare il fatto che il dato della scarsità di risorsa andrebbe applicato in modo più puntuale, a livello comunale, e non con una media nazionale, alla luce della quale risulterebbe “falsamente”, che a Rimini, ma anche a Pescara e Vasto, le spiagge da mettere a gara “non sono un bene scarso”.

Inoltre, argomento che già circola a Bruxelles nel fronte pro-Bolkestein è che non si può parificare una spiaggia di Rimini, o anche Pescara, da rinnovare per altri dieci anni agli attuali concessionari, con una stretta spiaggetta di ciottoli difficile da raggiungere lungo una scogliera, da mettere invece a gara.

Non solo: se alla concessione delle spiagge non si dovesse applicare la direttiva Bolkestein, e sarà accettato l’argomento della “non scarsità”, resta comunque in vigore il Trattato di Lisbona a imporre le gare sull’assegnazione dei beni pubblici.





E alla normativa europea si è riferita del resto anche la sesta sezione del Consiglio di Stato con la citata sentenza del 28 agosto, a cui ha fatto seguito il ricorso dei balneatori, e di cui si attende la decisione della Cassazione: in essa si ribadisce il dovere da parte di tutti gli organi dello Stato di disapplicare le proroghe generalizzate legislativamente previste per le scadenze delle concessioni demaniali marittime a scopo turistico ricreativo. Essendo ciò in contrasto con l’ordinamento eurounitario, visto che sul Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, (Tfue) all’articolo 49 si legge che “le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro. La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese”. Citando oltre alla direttiva Bolkestein, anche le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea del 14 luglio 2016, ribadita nell’aprile 2023, la giurisprudenza dei giudici nazionali, citando un elenco di sentenze, e per le quali “la circostanza per cui gli atti di proroga eventualmente adottati da una amministrazione in violazione del diritto euro-unitario, non producono alcun effetto giuridico”.

In ogni caso ottimista, oltre che agguerrito, resta il presidente regionale abruzzese del Sib Confcommercio, Riccardo Padovano che dichiara di aver sempre sostenuto “che in Abruzzo su 140 km di costa, tolte le riserve naturali e le aree portuali, ci sono ancora circa 60 chilometri da poter dare in concessione a terzi. Questa è la strada per incrementare il turismo balneare: dare l’opportunità a tanti giovani di avviare imprese e aprire stabilimenti attrezzati per valorizzare quelle vaste zone ancora libere che, la scorsa estate, erano frequentate dai bagnanti senza che questi potessero usufruire di alcun servizio”.

E aggiunge: “Io non temo la concorrenza ma non capisco perché bisogna eliminare a un mercato che già funziona, come accade a Pescara, Montesilvano, Francavilla, quando abbiamo risorse del nostro territorio, come Rocca San Giovanni, Torino di Sangro oppure Fossacesia, che vanno valorizzate”.

Ma quanto affermato da Padovano, a nome del settore dei balneatori, tocca un altro aspetto dirimente della questione: se non si faranno le gare e gli attuali titolari potranno tenersi almeno per altri anni le loro concessioni, detenute anche da oltre 50 anni, il rischio, per non dire la certezza è che dovrà essere messo a gara quel che resta delle spiagge libere in Italia, anche in Abruzzo, che diventeranno insomma a pagamento.

Una ipotesi che non sta affatto bene, oltre che a tanti frequentatori del mare abruzzese, a molti sindaci e operatori commerciali, in quanto le spiagge libere sono attrattori di turisti e frequentatori, soprattutto nei fine settimana.

E non a caso sta conducendo una battaglia, di segno contrario a quella dei balneatori, il coordinamento nazionale Mare libero, che il  24 ottobre è andato a Bruxelles per esporre ai Parlamentari europei il contenuto di una loro petizione, che chiede alla Commissione Europea di intervenire nei confronti del Governo Italiano per garantire la corretta e integrale applicazione della direttiva Bolkestein.

Si legge nel loro documento: “l’Italia è il paese delle spiagge: su oltre 8.000 chilometri di costa, 4.700 sono costituiti da costa naturale bassa, per lo più spiagge sabbiose, spesso collocate in splendide cornici naturali. Su di esse è via via cresciuta l’industria balneare: le concessioni demaniali a scopo turistico-ricreativo, chiamate stabilimenti, lidi o bagni a seconda della regione, sono passate da 10.812 nel 2018 a 12.166 nel 2021 con un aumento del 12,5%  in soli tre anni.  Un giro d’affari  – affari contrassegnati spesso da evasione fiscale e lavoro nero – di 10 miliardi di euro a fronte di canoni pagati allo Stato per soli 100 milioni. Risultato: più del 50% delle spiagge fruibili della penisola, quelle più belle e più facilmente accessibili, sono occupate dalle strutture delle concessioni, a volte con piscine, ristoranti, impianti termali e centinaia di cabine, contribuendo tra l’altro al dissesto ambientale e paesaggistico”.

Si chiede dunque al governo una legge di riforma che consideri il demanio marittimo “un bene pubblico”, e sancisca “il carattere di eccezionalità della concessione rispetto alla funzione di libera fruizione collettiva cui gli arenili sono naturalmente destinati”. Una legge che stabilisca per legge una quota minima di spiagge libere in ciascun comune costiero, non inferiore al 50% del totale di arenile balneabile in ogni ambito omogeneo”.

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