BUKOWSKI: QUEL ”BASTARDO” COSI’ AUTENTICO, L’ABRUZZESE ALFATTI RACCONTA IL ‘VECCHIO HANK’

di Pierluigi Biondi

11 Marzo 2014 08:02

L'Aquila -

AVEZZANO – “Ho voluto restituire un Charles Bukowski più segreto e più autentico, contro le distorsioni di chi ne ha voluto fare un'icona abusata e spiegazzata”.

L'abruzzese Roberto Alfatti Appetiti celebra a suo modo il ventennale della morte del “vecchio Hank”, avvenuta il 9 marzo 1994 in California, con il volume Tutti dicono che sono un bastardo. Vita di Charles Bukowski, entro la settimana in libreria per l'editrice Bietti.

Nato a Roma 47 anni fa ma residente ad Avezzano (L'Aquila) praticamente da sempre, Alfatti Appetiti è un giornalista e saggista con la passione degli autori border line, che ha raccontato in tanti suoi articoli, con una chiave di lettura mai scontata e, soprattutto, grazie a una ricerca quasi maniacale consumata tra pagine più o meno dimenticate o introvabili.

Entrare a casa sua, infatti, significa immergersi in una biblioteca privata fatta di circa 10 mila titoli: praticamente un'invasione, amorevolmente sopportata dalla moglie Laura. A lei e ai figli Leonardo, Valerio e Alessio ha dedicato la sua ultima fatica.

È grazie proprio a uno di loro tre che è nata l'idea di un libro su Bukowski: “mio figlio sedicenne era alle prese con Storie di ordinaria follia, che io avevo letto 30 anni fa, quando avevo la sua età, e che da allora è rimasto a prendere polvere sullo scaffale, a un certo punto mi ha domandato con cosa potesse proseguire e lì mi sono trovato in difficoltà”.

Perché?





Ero indeciso tra la “festa mobile” di Post office, racconto sostenuto da un certo ottimismo godereccio, e il Bukowski intimo e sofferente di Panino al prosciutto, non a caso scritto molti anni dopo, in cui svela i suoi tormenti giovanili: il padre violento, una forma devastante di acne, l'inesistente rapporto con le ragazze, l'emarginazione prima subita e poi vissuta come scelta. Ma soprattutto i fortissimi pregiudizi anti-tedeschi (era nato nel 1920 in Germania) di quegli anni che lo porteranno, per provocatoria reazione, ad assumere atteggiamenti nazisti.

Ma come, il Bukowski dipinto come pacifista e progressista che si mette a scimmiottare una SS?

Il pacifismo e il progressismo erano gli stereotipi che 'il vecchio Hank' odiava di più. Il 'poster' di Bukowski tratteggiato da tanti biografi, che hanno messo l'accento su episodi fin troppo noti e su leggende metropolitane che lui stesso ha alimentato ad arte, è quanto più lontano dalla sua vera indole. Invece io ho cercato di indagare la sua veste più genuina.

A partire dai suoi riferimenti culturali.

Che sono, per certi versi, sorprendenti. Come la sua stella polare, il 'maledetto' Knut Hamsun, il premio Nobel norvegese messo all'indice per le sue simpatie politiche collaborazioniste, passando per Louis-Ferdinand Céline, fino ad arrivare a John Fante, lo scrittore statunitense di origini abruzzesi. Con Céline, in particolare, 'parla' in continuazione e lo propone ai suoi interlocutori, anche i più improbabili come scommettitori di cavalli e fantini.

Sembra di avere di fronte un'altra persona rispetto a quella che siamo stati abituati a conoscere.





Bukowski aveva una visione del mondo coerente e originale. Quelle che possono apparire delle stravaganze o semplici escamotage letterari, in realtà sono elementi fondanti di questa 'Weltanschauung'. In lui nulla è casuale, sconnesso o disordinato, al contrario: è più attento ai dettagli di quanto non si creda. Celebrato a colpi di citazioni, ma per certi versi incompreso, si è finito per far prevalere il personaggio sullo scrittore di razza.

Come nasce la collaborazione con la Bietti?

È un rapporto che viene da lontano, e fino a pochi mesi fa vissuto in maniera univoca. Sulle pubblicazioni della Bietti mi sono formato da giovane, quando leggevo le traduzioni in italiano dei libri di Pelham Grenville Wodehouse. Una casa editrice dalla grande tradizione e con un catalogo di grande qualità. Ho pensato subito alla Bietti quando il libro stava prendendo forma: non è una frase fatta, è stato proprio così. Prova ne è la circostanza che l'ho proposto dall'inizio e solo a loro.

A distanza di 20 anni, quanto c'è di ancora attuale in Bukowski?

Moltissimo: infatti non è un libro celebrativo, ma un'opera che ha la presunzione di rivolgersi soprattutto a quanti sono nati dopo la scomparsa di Bukowski, quindi ai giovani che hanno da poco superato la maggiore età. Naturalmente non disdegno che anche i più 'anziani' lo acquistino…

Secondo me è un autore che, su determinati temi, era ed è avanti a tutti. Vedi la condanna del consumismo fine a se stesso, le critiche alla democrazia reale e all'alienazione della società contemporanea.

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