TERAMO – Un detenuto si è suicidato nel carcere di Teramo dove già ad aprile sono avvenute due morti (un marocchino e un italiano) le cui cause sono ancora da accertare.
Si tratta del 77enne Giuseppe Santoleri, condannato in via definitiva per il delitto avvenuto il 9 ottobre del 2017 a Giulianova, della ex moglie Renata Rapposelli, in concorso con il figlio Simone Santoleri. Il cadavere era stato ritrovato dopo tre mesi nelle campagne di Tolentino, nel Maceratese. Nel marzo del 2018, a cinque mesi dalla scomparsa della donna, i carabinieri avevano arrestato per concorso in omicidio volontario e occultamento di cadavere l’ex marito che all’epoca aveva 67 anni, e il figlio Simone, che ne aveva 43, nella loro casa di Giulianova.
Santoleri si è soffocato nel suo letto, e a nulla sono valsi i soccorsi. Era rinchiuso nella sezione destinata ai detenuti per reati a “grande riprovazione sociale”, nella sezione dei cosiddetti ‘protetti’, del carcere di Castrogno. Aveva già tentato il suicidio nel 2021.
E’ la 44esimo suicida negli istituti penitenziari italiani dall’inizio dell’anno.
In un comunicato Aldo di Giacomo, segretario del Sindacato di Polizia Penitenziaria S.PP. afferma quanto segue: “L’altra faccia della medaglia dell’emergenza carcere è l’aumento di aggressioni e violenze al personale penitenziario che ha raggiunto il 40% in più nel giro di pochi mesi. Nella stessa giornata del suicidio a Teramo, sono 8 gli agenti aggrediti e costretti a ricorrere alle cure dei medici. Il governo e l’Amministrazione Penitenziaria non sono in grado di contrastare questa situazione. Il cambio di rotta tanto auspicato non vi è stato con questo governo con il quale si è visto aumentare l’ indifferenza ai problemi delle carceri”.
“L’unica novità delle ultime ore – prosegue Di Giacomo – è l’annuncio del sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari di un decreto legge del quale per ora si sa che il testo prevede anche una norma che disciplina il procedimento attraverso il quale vengono riconosciuti i benefici, peraltro già previsti dalla legge, per i detenuti che aderiscono al trattamento e dimostrano buona condotta. Non sarebbero introdotti sconti di pena. L’obiettivo è alleggerire i tribunali di sorveglianza, gravati dalla necessità di evadere 200mila richieste all’anno e, contemporaneamente, garantire ai detenuti i diritti già previsti dalla normativa vigente. E’ poca cosa rispetto ad una situazione completamente sfuggita di mano”.
“Il ‘deus ex machina’ del sistema penitenziario, il sottosegretario Delmastro, non solo ha esautorato il Dap da ogni funzione e compito ma dimostra – prosegue ancora Di Giacomo – di non avere alcuna conoscenza dei problemi dell’emergenza carcere”.
Dura la presa di posizione anche di Gennarino De Fazio, segretario generale della UILPA Polizia Penitenziaria.
“Ormai nelle carceri è una spirale di morte senza fine. Tutto ciò nell’indifferenza sostanziale del Governo. Mentre alla riunione del G7 si discute, giustamente, di come conseguire il rilascio degli ostaggi in mano ad Hamas, in Italia non si riesce a proteggere i detenuti sotto la custodia dello Stato, con gravissime ripercussioni che investono persino i suoi stessi servitori. Con tutto ciò che sta avvenendo nelle nostre prigioni, ormai diffusamente illegali, è imbarazzante il silenzio assoluto del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Il Guardasigilli, se c’è, batta un colpo o ne tragga autonomamente le conclusioni. Serve un decreto carceri per deflazionare il sovraffollamento detentivo, sono oltre 14mila i detenuti in più rispetto ai posti disponibili, consentire l’assunzione straordinaria e accelerata di agenti nel Corpo di polizia penitenziaria, ne mancano più di 18mila, e assicurare il potenziamento dell’assistenza sanitaria, specie di natura psichiatrica. Parallelamente, va riformato l’intero sistema d’esecuzione penale, vanno reingegnerizzati il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e il Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità e va riorganizzato il Corpo di polizia penitenziaria. Non c’è più tempo”.
Per il segretario generale del sindacato autonomo Sappe, Donato Capece, si rendono sempre più necessari gli invocati interventi urgenti da noi richiesti, per fronteggiare la costante situazione di tensione che si vive nelle carceri italiane. Si potrebbe ipotizzare un nuovo sistema penitenziario articolato su tre livelli: il primo, per i reati meno gravi con una pena detentiva non superiore ai 3 anni, caratterizzato da pene alternative al carcere, quale è l’istituto della “messa alla prova. Il secondo livello è quello che riguarda le pene detentive superiori ai 3 anni, che inevitabilmente dovranno essere espiate in carcere, ma in istituti molto meno affollati per lo sgravio conseguente all’operatività del primo livello e per una notevole riduzione dell’utilizzo della custodia cautelare. Il terzo livello, infine, è quello della massima sicurezza, in cui il contenimento in carcere è l’obiettivo prioritario”.
“Nell’ambito delle prospettive future occorre dunque che lo Stato, pur mantenendo la rilevanza penale, indichi le condotte per le quali non è necessario il carcere, ipotizzando sanzioni diverse, ridisegnando in un certo senso l’intero sistema, anche perché il sovraffollamento impedisce di fatto la separazione dei detenuti. E la Polizia penitenziaria, che riteniamo debba connotarsi sempre più come Polizia dell’esecuzione penale oltreché di prevenzione e di sicurezza per i compiti istituzionali ad essa affidati dall’ordinamento, è sicuramente quella propriamente deputata al controllo dei soggetti ammessi alle misure alternative”, conclude Capece.
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