L’AQUILA – “L’attivismo insolito” di Giovanni Legnini nel ruolo di vice presidente del Consiglio superiore della magistratura sul caso della nave Diciotti e contro l’allora ministro degli Interni Matteo Salvini, legato al fatto che “stava giocando una partita personale per ingraziarsi i maggiorenti del Partito democratico nei giorni in cui si discutevano le liste per le imminenti elezioni regionali in Abruzzo”.
Il suo interessamento, non andato a buon fine e la successiva ira funesta, per la mancata nomina a procuratore generale della Cassazione di Giovanni Salvi, fratello dell’ex parlamentare e ministro del Pci e poi del Pd, Cesare Salvi.
La stessa sua nomina al Csm, frutto del gioco tra le correnti interne alla magistratura e al Pd, e all’ appoggio del sottosegretario Luca Lotti, braccio destro dell’allora premier “rottamatore” Matteo Renzi.
C’è anche l’ex vice-presidente del Csm, l’avvocato chietino Legnini, tra i protagonisti de “Il sistema”, la lunga ed esplosiva intervista resa ad Alessandro Sallusti, direttore responsabile de ‘Il Giornale’, da Luca Palamara, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), dal 2014 membro togato del Csm, per anni potente mediatore tra le varie correnti della magistratura. A fine maggio 2019, accusato dalla Procura di Perugia per presunti rapporti indebiti con imprenditori e politici. Diventato l’emblema del malcostume giudiziario, espulso prima dall’Anm, e poi nell’ottobre 2020 dalla magistratura. Decisione impugnata dallo stesso Palamara.
I fatti al centro dell’inchiesta, e le copiose intercettazioni ottenute con un trojan inserito nel cellulare di Palamara, sono successivi al termine del mandato di Legnini al Csm, durato dal settembre del 2014 al settembre 2018, in quota Partito democratico, vetta più alta raggiunta dal 62enne politico abruzzese, che ancor prima è stato sottosegretario dem con il governo di Enrico Letta e poi nel governo Renzi. E in seguito candidato presidente della Regione Abruzzo a capo di una ampia coalizione di centrosinistra nelle elezioni del febbraio 2019, sconfitto dal centrodestra di Marco Marsilio di Fratelli d’Italia. Legnini però a fare il consigliere regionale di opposizione è rimasto appena un anno ed è stato nominato nel febbraio 2020 commissario straordinario alla ricostruzione post-sisma 2016, riuscendo in pochi mesi a imprimerne una accelerazione delle pratiche e dei cantieri per anni al palo.
Al centro del racconto di Palamara appunto il presunto “sistema” delle correnti che dominano all’interno della magistratura e attraverso le quali vengono fatte le nomine che contano e vengono orientate le scelte, con una forte ingerenza della politica, in particolare, sottolinea l’ex magistrato, di quella schierata a sinistra. Per usare le sue parole “il potere della magistratura che non può essere scalfito: tutti coloro che ci hanno provato vengono abbattuti a colpi di sentenze, o magari attraverso un abile cecchino che, alla vigilia di una nomina, fa uscire notizie o intercettazioni sulla vita privata o i legami pericolosi di un magistrato”.
E suo malgrado nel libro non poteva non esserci Legnini, una presenza legata al suo ruolo di vertice della magistratura e, va detto con chiarezza, per vicende che nulla hanno a che fare con i reati contestati nell’inchiesta della procura di Perugia, dove Legnini non è indagato.
Nel libro Palamara si restituisce in ogni modo l’immagine di un Legnini pienamente inserito, seppure non certo in prima linea, in quel gioco di rapporti di forza, scontri e alleanze tra le varie correnti della magistratura, con una forte ingerenza della politica.
Legnini era già finito sulla graticola, allorché sono state pubblicate le intercettazioni dell’inchiesta di Perugia in cui l’oramai ex vicepresidente del Csm era semplice consigliere regionale abruzzese, nel maggio 2019 parlava con Palamara, già inquisito, proponendosi di fare pressione sul quotidiano La Repubblica e in particolare sul giornalista Claudio Tito, al fine di favorire una, linea editoriale non colpevolista, e piuttosto incentrata sulla linea della “vendetta” nei confronti di Palamara.
Legnini ha poi fatto mea culpa, sostenendo di aver pronunciato una “frase infelice”, ricordando che “a quella conversazione non venne dato alcun seguito, come risulta dagli atti”, e scaricando di fatto Palamara, ha affermato che “le carte di Perugia hanno dimostrato che non c’era alcun complotto. Era soltanto cronaca, purtroppo”.
Il nome di Legnini però nelle intercettazioni è ricorrente tanto che la bufera si è abbattuta anche su di lui, con il centrodestra e il M5S che hanno chiesto le sue dimissioni immediate da commissario alla Ricostruzione, accusato di non essere stato, come vice presidente Csm, neutrale e super partes.
Veniamo dunque alle nuove rivelazioni, e agli ulteriori elementi offerti su vicende già note, da parte di Palamara nel libro Il sistema.
Legnini compare innanzitutto nell’ambito della vicenda, che ha già anch’essa provocato veementi polemiche, della nave Diciotti, che nell’agosto 2018 aveva soccorso in mare 190 immigrati, di cui però l’allora leader della Lega, Matteo Salvini, ai tempi vice-premier e ministro dell’Interno, vietò lo sbarco per alcuni giorni. Luigi Patronaggio, procuratore di Agrigento ha così indagato Salvini ordinando lo sbarco immediato di tutti gli immigrati e suscitando l’ira del ministro degli Interni.
Racconta dunque Palamara nel libro: “Che si vada a uno scontro è chiaro fin dal primo avviso di garanzia, quello per la Diciotti. Il più veloce a saltare sul caso è il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, come tutti noi in scadenza di mandato. Il 24 agosto 2018, alle 21:07, mi manda il seguente messaggio: ‘Luca, dobbiamo dire qualche cosa sulla nota vicenda della nave, Area (corrente di sinistra, N.d.R.) è d’accordo a prendere l’iniziativa, Galoppi (Claudio Galoppi, consigliere Csm, N.d.R.) idem, senti loro e fammi sapere domani mattina’. E ancora: ‘Domani mattina dovete produrre una nota, qualche cosa insomma’ forse sapendo già che il giorno seguente Salvini riceverà l’avviso di garanzia”.
Palamara però spiega all’intervistatore che “qualcosa non gli torna”.
“Tanto attivismo non è da lui – afferma infatti Palamara -. In quattro anni di Csm non era mai capitato che ci dovessimo rincorrere sui telefonini da una spiaggia all’altra d’Italia. Perché tanta fretta? Ho il sospetto che Legnini stia giocando una partita personale per ingraziarsi i maggiorenti del Pd. Sono i giorni in cui si discutono le liste per le imminenti elezioni regionali in Abruzzo, e gira voce che lui intenda candidarsi a governatore con la sinistra, cosa che poi in effetti avverrà. Per il dopo Csm in realtà puntava ad andare all’Antitrust, aveva cercato una sponda al Quirinale – così mi confidò – ma gli avevano fatto sapere che non era aria”.
Palamara poi rivela che il giorno stesso ha ricevuto riceve un sms dal consigliere del Csm Nicola Clivio, che gli avrebbe spiegato che Legnini, “ci chiede di dire qualcosa sulla storia della nave, e noi lo facciamo volentieri, ma poi non si deve dire che lui comincia così la sua campagna elettorale. Chiaro lo schema? Non dire a nessuno che ti ho detto questo”.
E scrive nel libro Palamara. “io gli rispondo: ‘Esatto, lo chiede a tutti, anche a noi. Gli ho detto che ci devo riflettere, deve essere una riflessione di tutti coperta anche dai nuovi altrimenti la nostra diventa una cacchetta’”.
Il pomeriggio successivo la questione viene messo all’ordine del giorno del plenum del Csm e viene inviata una nota agli organi di stampa: “Le vicende relative al trattenimento a bordo della nave Diciotti, hanno fatto registrare interventi di esponenti del mondo politico e delle istituzioni, anche in relazione agli accertamenti giurisdizionali in corso. La verifica del rispetto delle norme è doverosa nell’interesse delle istituzioni”, si legge in un passaggio saliente.
Sallusti ricorda poi le perplessità del procuratore di Viterbo Paolo Auriemma, che in un messaggio a Palamara scrive: “Mi spiace dover dire che non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando. Illegittimamente si cerca di entrare in Italia e il ministero dell’Interno interviene perché questo non avvenga”. E ancora, “comunque è una cazzata atroce attaccarlo adesso, perché tutti la pensano come lui, tutti. E tutti pensano che ha fatto benissimo a bloccare i migranti, che avrebbero dovuto portare di nuovo da dove erano partiti.
E Palamara che per messaggio risponde algido: “No, hai ragione. Ma ora bisogna attaccarlo”.
Spiega dunque nel libro: “ll clima tra governo e magistratura è tornato quello di dieci anni prima, ai tempi della contrapposizione con Berlusconi. E noi torniamo ai metodi di dieci anni prima”.
Per poi interrogarsi. “Le posizioni espresse dall’Anm e dal Csm sul caso Diciotti e più in generale sulla gestione dell’immigrazione clandestina sono legittime o costituiscono uno sconfinamento nell’area della politica? È giusto che nel 2018 si debba andare ancora in testa a un ministro per sostituire, integrare o rafforzare l’opposizione politica della sinistra al governo di turno da cui è esclusa?”.
Altro episodio in cui compare il nome di Legnini è quello relativo alla nomina a procuratore generale della Cassazione di Giovanni Salvi, fratello dell’ex parlamentare e ministro Cesare Salvi, e che per caldeggiare la propria candidatura avrebbe nel 2016 invitato Palamara, “su una splendida terrazza di un lussuoso albergo nei pressi di Corso Vittorio Emanuele”.
A sostenere Salvi, anche Legnini, il quale, racconta Palamara, “per blandirmi mi propone di presiedere la commissione, la quinta, che dovrà decidere su quella nomina”. Ma in realtà Palamara appoggiava Riccardo Fuzio, esponente di Unicost, la corrente di cui Palamara è stato leader indiscusso per un decennio.
Dice dunque Palamara: “Legnini intuisce le mie intenzioni e, in occasione di un nostro viaggio a Gerusalemme, mi avvisa: ‘Non facciamo scherzi, su Salvi ho preso un impegno con il Quirinale che chiede di andare in questa direzione’”.
E ancora: “La sera prima della votazione, mi chiama Legnini: ‘Domani devo andare da Mattarella, ti prego solo di una cosa, di non farmi fare una figuraccia con il presidente. Io devo sapere come finirà, comunque vada’”.
Il 14 dicembre 2017 viene però eletto Fuzio e la reazione di Legnini non si fa attendere.
“Dopo la votazione al Csm che incorona Fuzio raggiungo il vicepresidente Legnini a Chieti per partecipare a un convegno. Mi insulta, si sfoga: ‘Tu mi hai umiliato agli occhi del Quirinale, penseranno che io non conto nulla, non finirà qui’”.
Palamara parla infine a come si è arrivati alla nomina dello stesso Legnini a vicepresidente del Csm, nel settembre 2014.
“Io sapevo che dalle parti del Pd e di Magistratura democratica girava il nome di Massimo Brutti, persona molto stimata e qualificata, comunista della prima ora, più volte senatore del Pd, sottosegretario, già membro del Csm anni prima e responsabile per la giustizia del suo partito”, racconta Palamara e spiega poi il buon feeling che si era creato tra lui e l’allora potentissimo Lotti, sottosegretario alla presidenza del consiglio del governo Renzi, da poco insediato.
Ed è proprio Lotti a telefonare a Palamara dicendogli che “all’interno del Partito democratico abbiamo trovato una mediazione con l’ala bersaniana. Siete in grado di sostenere la candidatura
di Giovanni Legnini?”.
“Il nome mi diceva poco – commenta dunque Palamara -, sapevo giusto che era un politico del Pd cresciuto nell’ala bersaniana, poi sottosegretario sia nel governo Letta sia in quello Renzi. Studio la pratica e sondo Valerio Fracassi, leader della corrente di sinistra Area. Non mi sembra entusiasta, ma da altri segnali che ricevo mi faccio l’idea che la partita sia aperta e che la si possa giocare”.
Prosegue l’ex magistrato: “Una sera mi chiama Lotti e mi dice: ‘Io sto andando dal ministro della Giustizia Andrea Orlando per coinvolgerlo, tieni libero il telefonino’. Che poco dopo squilla: ‘Secondo te’, mi chiede Orlando che già da tempo conoscevo ‘davvero avete i voti per eleggere Legnini?’. Io lo rassicuro: ‘Si può fare, ministro'”.
Rivela ancora Palamara: “non mi risulta che lui sia stato contento della mia risposta, più probabilmente Lotti voleva solo metterlo davanti al fatto compiuto. Orlando capisce bene la situazione e non ci sta. Scatta un derby interno al Pd nel quale mi trovo involontariamente in mezzo. La risposta di Orlando alla scelta di Legnini sarà una professoressa napoletana,
Teresa Bene, che i meglio informati considerano molto vicina ai magistrati napoletani, tra cui Giovanni Melillo, capo di gabinetto del ministro Orlando. La sua esperienza al Csm
però sarà sfortunata: durerà solo pochi giorni perché sprovvista dei requisiti richiesti dalla Costituzione per entrare nel Consiglio”.
Alla fine dunque Legnini la spunta. “Quando il gioco di sponda viene bene la palla va sempre in buca”, spiega Palamara.
Download in PDF©