CHIRURGIA RIGENERATIVA: AL CENTRO PIEDE DIABETICO POLICLINICO ABANO TECNICA CHE EVITA AMPUTAZIONE

29 Giugno 2022 08:28

Italia - Sanità

ABANO TERME – Al Centro per il Piede Diabetico del Policlinico Abano è stata introdotta, per la prima volta in Europa, un’innovativa tecnica di riparazione dei tessuti di pazienti con piede diabetico con gravi complicanze e candidati all’amputazione.

La struttura sanitaria di Abano Terme, in provincia di Padova, fa questo importante passo nell’ambito della chirurgia rigenerativa per offrire nuove opportunità di cura grazie all’utilizzo della Traslazione Tibiale Trasversale (anche detta TTT), tecnica derivata dagli interventi di allungamento dei segmenti ossei (Ilizarov). La TTT sfrutta la capacità naturale dell’osso di riparare le fratture per ottenere stimoli rigenerativi sui tessuti delle lesioni.

In un Centro di riferimento come quello di Abano, che tratta circa 900 soggetti diabetici con lesioni neuropatiche o neuro-ischemiche ogni anno, i soggetti che potrebbero essere sottoposti a tale trattamento, e in quanto tali già destinati ad amputazione, potrebbero essere almeno 50 l’anno. Il Centro fa parte del gruppo sanitario privato di proprietà dell’imprenditore pescarese Nicola Petruzzi.

Gli studi

“Da alcuni anni – spiega Enrico Brocco, direttore del Centro del Policlinico aponense – ricercatori cinesi hanno ipotizzato che, creando una condizione di frattura chirurgica parziale di parte della tibia, si possano innescare meccanismi di riparazione che vanno oltre la rigenerazione del tessuto osseo e stimolano anche la crescita dei tessuti vascolari e dei tessuti molli. In particolare, un lavoro scientifico molto recente – prosegue – evidenzia che il trattamento TTT su soggetti diabetici con piede diabetico e lesioni neuropatiche e neuro-ischemiche gravi ha indotto in gran parte di essi la guarigione”.





Da qui, dunque, è nato l’interesse dell’équipe del Centro a esplorare questa nuova frontiera per scongiurare la perdita dell’arto a pazienti diabetici con lesioni gravi e gravissime del piede e/o della gamba.

Nuove opportunità di cura

“Abbiamo provato questa tecnica per la prima volta in Europa, attualmente applicata solo in Cina e in India, nel mese di maggio su un soggetto settantenne, come ultima istanza prima di procedere a un’amputazione estremamente demolitiva”, spiega Brocco.

La tecnica è stata presentata al gruppo aponense, e a quello dei colleghi milanesi dottori Giacomo Clerici e Andrea Casini, dall’azienda tedesca Cybion (www.cybion.de), che ha reso disponibile il sistema di trattamento per alcune prove compassionevoli.

In Cina la tecnica è stata utilizzata dal 2018 in più di 1.200 pazienti. A tre anni dall’intervento i follow-up hanno evidenziato che le persone operate non hanno subito amputazioni.

L’intervento





La tecnica prevede il posizionamento di un piccolo impianto di fissazione esterna alla gamba.

“Questo impianto – specifica lo specialista – permette la traslazione verticale di una porzione dell’osso tibiale delle dimensioni di 2 x 5 cm che per 10 giorni viene allontanata dalla sua sede e per gli ulteriori 10 giorni viene riportata nella sede di origine, ricostituendo un unicum di superficie tibiale. Il sistema resta in sede in tutto per 45 giorni e poi viene rimosso lasciando solamente piccole cicatrici cutanee. L’intervento di applicazione dura circa 90 minuti”.

Gli specialisti del Centro del Piede Diabetico hanno potuto apprendere la metodica chirurgica grazie alla disponibilità del prof. Gang Li dell’Università di Hong Kong, inventore della tecnica, attraverso ripetuti workshop online e l’uso di sistemi di addestramento su manichino, per formarsi e imparare adeguatamente le varie fasi della procedura prima di applicarla al paziente 70enne.

I primi risultati

“Dopo quattro giorni, il paziente riferiva benessere e sensazione di miglior vitalità dell’arto e i tessuti molli della lesione mostravano già iniziali segni di riattivazione -, prosegue il dottor Brocco -. Dopo circa 20 giorni dall’impianto, i tessuti molli mostrano notevoli segni di guarigione. Nel frattempo abbiamo applicato la metodica a un secondo paziente, di 46 anni, in cui non si potevano proporre alternative terapeutiche che non fossero l’amputazione maggiore”.

“Qualora la tecnica confermasse le capacità rigenerative descritte dai colleghi cinesi, si aprirebbero interessanti possibilità di salvataggio di arti inferiori utili alla deambulazione in soggetti altrimenti candidati, per ischemia non altrimenti correggibile o per lesioni infette diffusamente destruenti, ad un’amputazione invalidante”, conclude Brocco.

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