LAVORI ALLA STRUTTURA NECESSARI DOPO SISMA 2009 E CENTRO ITALIA. PROF REDI E FORGIONE, ''SCAVI ARCHEOLOGICI IMPORTANTI PER VALORIZZAZIONE TERRITORIO, E' UN PECCATO''

CHIESA SAN PAOLO DI BARETE: ”VENTI SECOLI DI STORIA RICOPERTI, VANIFICATI ANNI DI RICERCA”

di Giovanni Sfarra

5 Agosto 2019 07:30

L'Aquila - Gallerie Fotografiche

BARETE – Venti secoli di storia nascosti da una colata di cemento.

È la clamorosa decisione, destinata a far rumore all’interno della comunità culturale abruzzese, che ha portato a ricoprire completamente gli scavi archeologici della piccola chiesa di San Paolo di Barete, che si trova nell’omonimo comune della provincia dell’Aquila. 

Il luogo di culto, considerato uno degli edifici più antichi d’Abruzzo, anche per la presenza di un battistero risalente al sesto secolo, è stata interessata, tra il 2001 e il 2005, da una serie di scavi da parte dell’Università degli studi dell’Aquila, che hanno riportato alla luce secoli di storia, oggi nascosti sotto uno strato di cemento.

Al lavoro degli archeologi, durato 5 anni, ha fatto seguito la realizzazione del volume “Chiesa di San Paolo di Barete. Dallo scavo al restauro. Venti Secoli di storia riscoperti”, pubblicazione che riporta tutte le fasi dell’opera, curata da Fabio Redi, professore di Archeologia medievale dell'Università dell'Aquila, e dall'archeologo Alfonso Forgione, responsabile del Laboratorio di Archeologia del Dipartimento di Scienze umane.

L’opera testimonia l’importanza dei ritrovamento in termini culturali e storici: “L’attendibile definizione delle questioni e delle interpretazioni scaturisce dalla ottimale condizione di aver potuto compiere uno scavo stratigrafico estensivo, comprendente tutta l’area interna e ampi settori esterni, sul lato e sulla fronte della chiesa. Quasi 2000 anni di storia sono stati recuperati in una sequenza continua che riguarda strutture di II-III sec. d.C., V-VI, VII-VIII, IX-XI, XII, XIII, XIV, XV-XVI e successive che giungono fino ai tempi nostri. La chiesa di San Paolo di Barete contiene al suo interno e nelle adiacenze una stratigrafia e strutture murarie che illustrano la continuità di vita e insediativa del sito e restituiscono un quadro complesso, ma ben definito, del susseguirsi di popolazioni e culture diverse, delle quali sono oggi eredi e custodi gli abitanti e le autorità del paese”, si legge nel volume.

Gli scavi sono iniziati prima del sisma del 2009, ma dopo la scossa del 6 aprile si sono resi necessari dei lavori di adeguamento e consolidamento della struttura, che è tornata alla luce dopo 3 anni.





“La chiesa è stata inaugurata con il pavimento a vetro ed il solaio galleggiante, però dalle perizie tecniche è risultato il rischio di un collasso dell’edificio stesso. Un problema che, secondo i tecnici, sarebbe da ascrivere proprio agli scavi, che avevano indebolito le strutture e a seguito dei danni del terremoto del 2009, mai riparati a dovere”, ha spiegato ad AbruzzoWeb Forgione.

L’edificio, infatti, è stato interessato da due terremoti, quello del 2009 e quello del Centro Italia, che ha reso nuovamente inagibile la chiesa e ha reso necessari nuovi lavori, nell’ambito dei quali è stato scelto di ricoprire 1200 anni di storia. 

“Non c’è stata sicuramente la volontà di trovare un’alternativa, ma probabilmente si è preferita una soluzione più economica, progettare delle fondazioni da zero, mantenendo visibili gli scavi archeologici sarebbe stato, infatti, molto più oneroso”, ha proseguito Alfonso Forgione.

Da quanto appreso, la decisione è stata presa dal Comune di Barete e dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio senza interpellare l'Università dell’Aquila. 

Una serie di interventi per cui sono stati spesi, tra l’altro, anche soldi pubblici: le ricerche, infatti,  sono state finanziate dal Comune di Barete, dal Parco del Gran Sasso e Monti della Laga e dall’Università stessa, mentre la pubblicazione è stata finanziata da Mario Morano, costruttore edile di Barete. 

Forgione ha ammesso di essere venuto a conoscenza della scelta attraverso l’Archeoclub dell’Aquila e le associazioni locali: “Ho parlato con la Sovrintendenza chiedendo spiegazioni e del perché era stato coperto tutto senza almeno coinvolgerci o ascoltare il nostro parere, anche perché è uno degli edifici cristiani più antichi d’Abruzzo”.





Per una serie di fraintendimenti, “La ditta, avendo avuto l’ok ha proceduto con i lavori, senza pensare di contattare i  settori specifici, almeno questo è quanto sono riuscito a capire ricostruendo le dichiarazioni degli interessati, però non so come è andata a finire la cosa”, ha proseguito.

È indubbio che abbiamo perso un monumento enorme dal punto di vista materiale e culturale, ma anche come volano turistico. Valorizzare un edificio del genere sarebbe stato abbastanza semplice e in più l’importanza del sito avrebbe richiamato turisti, studenti e curiosi da tutto il mondo, invece abbiamo perso questa occasione”, ha concluso Forgione.

Non si tratta di un episodio isolato, ma spesso in Italia accadono situazioni come questa, a causa, nella maggior parte dei casi, di una mancata o errata comunicazione tra gli Enti e le lungaggini burocratiche.

“Qualcosa mi era stato anticipato dal sindaco – ha sottolineato il professor Redi – che aveva paventato, a suo tempo, la possibilità di ricoprire gli scavi, ma eravamo in una fase interlocutoria, nulla di certo, per cui avevo chiesto di aspettare e fare ulteriori riunioni per valutare come procedere, ma ad oggi siamo di fronte al fatto compiuto. Il tutto è inqualificabile, in termini di tempo e soldi buttati via”.

Se per i tecnici, gli ulteriori danni alla struttura sarebbero stati causati dagli scavi, per Redi non è così: “non credo che siano imputabili soltanto agli scavi e al sisma, perché in questi casi si tratterebbe di criticità recuperabili con facilità, ma credo che qualcuno abbia ritenuto opportuno ricoprire tutto. Su questo avevo fatto qualche rimostranza con l’amministrazione, ma mi è stato detto che diversamente non si sarebbe potuto fare, non sono più stato interpellato, quindi, francamente non ho saputo più nulla e mi dispiace per il risultato finale: è andato tutto perduto”.

“Sono comunque impotente di fronte a questa scelta, perché non sono né un ingegnere strutturista, né un architetto, ma davvero mi dispiace molto, perché resto convinto che quando c’è la volontà si può sempre trovare una soluzione, in questo caso senza ricoprire venti secoli di storia. Sono amareggiato soprattutto per le prospettive culturali e di valorizzazione che avevamo posto in passato, prospettive oggi vanificate”, ha concluso Redi.

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