CINECRITICA: LO SCIACALLO, FASCINO PERVERSO DEL CRONISTA IMMORALE

di Luca Fabbri

14 Dicembre 2014 10:50

Regione -

L’AQUILA – “Nel bene non c’è romanzo”, scriveva Oscar Wilde. Concetto difficile da digerire, ma bisognerà pur farsene una ragione.

Catturano, seducono e corrompono le storie degli uomini senza morale, con il buio dentro, nei cui occhi si legge l’inutilità della vita moderna, ai quali tutto sembra scivolare addosso, che finiscono per corrodere chi li circonda.

Lo Sciacallo fa veramente incazzare, sconvolge, provoca, prende a calci negli stinchi la sopportazione dello spettatore e, per questa ragione, funziona, perché è un monumento alla scorrettezza, ai limiti della censura.

Per il mondo si aggira gente come Lou Bloom, interpretato da Jake Gyllenhaal: zero interessi, zero amici, zero legami, di ragazze neanche a parlarne, eppure sembra che non gliene importi un accidenti della propria condizione, perché in fondo disprezza le persone.

Lou vive in un presente scandito da giornate senza progetti. Passa il tempo in un buco di appartamento, con la tv accesa e la piantina da innaffiare, davanti al computer a leggere, senza un minimo di criterio, qualsiasi contenuto gli capiti a tiro sul web, dai corsi di motivazione del personale a quelli di economia aziendale. È un corpo che vaga nello spazio.





Come buona parte dei ragazzi nati dagli anni ‘80 in avanti, Lou colleziona colloqui per posti di lavoro che non ha mai sognato, sottoponendosi alla valutazione di persone, spesso assunte in tempi di vacche grasse, che, con ogni probabilità, avranno sì e no la scuola dell’obbligo.

Certo, Lou ci mette un bel po’ di suo per farsi scartare, perché punta tutto sulla ruffianeria senza ritegno e su frasi da bignami delle risorse umane in stile “vorrei tanto sviluppare la mia professionalità all’interno della vostra azienda…”, “è una stimolante opportunità di crescita…”. Morale: un fiasco dietro all’altro.

Poi, la svolta: il nostro si imbatte per strada in un incidente ripreso in diretta da un cameraman e vede il futuro scorrergli davanti. Ovvero, filmare tutto quello che gli altri non filmerebbero mai e rivenderlo a peso d’oro alle televisioni locali.

Sangue, violenza, disperazione, corpi senz’anima. Nulla ha più successo dell’eccesso. Vadano pure a quel paese la privacy, la riservatezza nei confronti dei minori, la tutela del domicilio, la deontologia, i sentimenti umani, il buon gusto e, se necessario, la stessa vita altrui.

E se la realtà non basta a riempire lo stomaco di un pubblico in preda a bulimia da cronaca nera? Che problema c’è, i fatti possono essere sempre montati ad arte.

Roba da far venire un attacco di cuore ai soloni dell’Ordine dei giornalisti, meno male che l’America è la terra delle libertà, altrimenti, fosse stata ambientata in Italia, la storia sarebbe finita alla prima scena. Con tanto di raccolte firme sui quotidiani, sospensioni dall’albo e cori di indignazione contro macchine del fango.





Insomma, lo Sciacallo trionfa per l’attualità della sceneggiatura. Un caso umano del genere, che si distingue per non avere nessuna qualità, se non una faccia di bronzo e un’ambizione da far invidia a Fabrizio Corona, a pensarci bene ha tutte le carte in regola per sfondare perché, in nome dell’unico valore oggi universalmente riconosciuto oltre all’iPhone, il Dio denaro, è disposto a lasciare sul campo morti e feriti. In tutti i sensi.

Onore al merito alla regia di Dan Gilroy, debutto migliore non poteva fare: grazie alla velocità da capogiro impressa alla narrazione, in quasi due ore non ci si annoia mai.

Applausi per la prova di Gyllenhaal, attore dall’aria di uno che è appena stato buttato giù dal letto e che qui invece ha sempre gli occhi fuori dalle orbite e lo sguardo di chi non ha mai avuto niente da perdere.

Altro guizzo di originalità del film: raramente si è visto un protagonista che si vorrebbe così tanto sopprimere.

Voto: 8/9

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