L’AQUILA – La provincia aquilana come quella di Bergamo nel marzo scorso, la Marsica come “la Spoon River d’Abruzzo”. Impreparata alla seconda ondata del coronavirus, con pazienti, soprattutto all’ospedale di Avezzano (L’Aquila) nel caos, abbandonati a se stessi, su brandine e senza assistenza per ore, anche al pronto soccorso, dove passavano anche pazienti no-covid. E in due casi morti in attesa di essere ricoverati, fuori al nosocomio marsicano.
A raccontarlo il reportage di Rainews24 “La Pandemia, viaggio nella sanità abruzzese”, a firma di Manuela Lasagna, andato in onda oggi e che rappresenta di fatto un duro atto d’accusa per come, in particolare nell’ospedale di Avezzano, è stata gestita l’epidemia da ottobre quando i positivi sono passati da 680 a 11mila, di cui su 487 operatori sanitari, 195 solo ad Avezzano.
Drammatiche infatti le testimonianze raccolte dagli ex pazienti, e la stessa Rainews24 ricorda del resto come a finire nell’occhio del ciclone il direttore generale della Asl provinciale, Roberto Testa, ricostruendo le furibonde polemiche che hanno fatto seguito alla morte dei due persone, il 22 e 23 ottobre, in attesa di ricovero, arrivati fuori dall’ospedale in gravissime condizioni a causa dell’infezione del covid. Sulla vicenda la Procura dell’Aquila ha aperto inchiesta, e complessivamente si sono moltiplicati esposti e interrogazioni parlamentari. I sindaci sono arrivati a chiedere l’intervento dell’esercito, la realizzazione di un ospedale da campo, e il commissariamento della Asl.
Prima drammatica testimonianza degli ex pazienti covid ricoverati ad Avezzano quella di Giovanna Venditti: “c’erano anziani che si lamentavano e urlavano, letti ammassati. Io stavo male avevo febbre alta avevo bisogno di ossigeno, il tempo passava e non venivo ricoverata. Sono stata tre giorni su una barella del pronto soccorso, perché non c’erano letti, non c’erano coperte, né cuscini”.
Ancora la signora Venditti: “quando poi mi hanno ricoverata e suonavo, non sempre c’era personale pronto a venire. L’ago della flebo due volte l’ho dovuta togliere da sola”.
Si riferisce poi nel reportage: al pronto soccorso di Avezzano accedevano anche pazienti covid, in assenza di altri spazi. Racconta Tullio Buschi, altro ex paziente: “Mi hanno portato al pronto soccorso. Ad un cento punto è arrivata una ambulanza e ci hanno detto di spostarci perché doveva passare un paziente non covid. Ma io non avevo le forze. Sono rimasto al pronto soccorso per ore. Non mi hanno dato nessuna medicina, ho firmato una liberatoria e mi hanno rimandato a casa, anche se ero positivo”. Poi è stato ricoverato nuovamente, nell’area grigia, “sopra il pronto soccorsi, con 15 posti letto, senza un medico fisso e affidata ad un paio di infermieri, diventato di fatto un reparto covid di emergenza”, si dice nel reportage.
Viene poi affrontata la questione della mancanza di personale.
Accusa Antonio Santilli segretario Nursid L’Aquila: “hanno fatto un gioco delle tre carte perché hanno preso personale infermieristico ad Avezzano, perdendolo dall’ ospedale civile di Sulmona, poi però lo hanno preso e portato nell’ospedale dell’Aquila e la carenza è rimasta tale e quale”
Incalza il segretario Cgil funzione pubblica L’aquila Antony Pasqualone: “Altre Asl, altre Regioni si sono attivate prima della nostra per portare avanti procedure concorsuali, assunzioni anche a tempo determinato, per dotarsi del personale adeguato per far fronte alla seconda ondata che tutti sapevano che sarebbe arrivata. Questa Asl non lo ha fatto”.
Intervistato anche il dg Testa, che si difende a spada tratta, citando le 150 assunzioni, le 100 stabilizzazioni, e varie procedure concorsuali avviate.
“Non ci siamo adagiati sugli allori dopo la prima ondata. Io sono anche medico igienista, e non solo un manager so come lavorano gli operatori”. E aggiunge : “ci sono state segnalazioni di disfunzioni, anche al limite dell’inverosimile e l’azienda ha posto in essere le opportune verifiche, e questi fatti che in molti casi sono stati pubblicamente smentiti”.
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