ROMA – “Senza la scuola in presenza, a cui si somma l’impossibilità di praticare sport e di vedere amici, i ragazzi sono a rischio di diventare sedentari, perdere motivazione o sviluppare anche stati depressivi. E la sindrome della capanna, quella per cui si tende a stare in casa percependola come un luogo sicuro, a differenza dell’esterno che viene percepito come un pericolo, è uno dei rischi in agguato della didattica a distanza. Al mattino ci si collega per lunghe ore al pc, con difficoltà a mantenere l’attenzione, il pomeriggio si rimane sempre a casa a guardare la tv o a giocare alla consolle. Anche il rendimento può calare fino al 50% in meno, in particolare nei più giovani, come dimostrato da uno studio olandese condotto su bambini tra i 7 e i 12 anni”.
Questo il quadro delineato all’Ansa dalla psicologa e psicoterapeuta Anna Oliverio Ferraris.
“Ci si abitua a fare questo tipo di vita così sedentaria e statica, e quando poi magari si potrà uscire i ragazzi non saranno nemmeno motivati a farlo – spiega Ferraris – Alcuni di loro si convincono che l’esterno sia un pericolo, una minaccia. Questo l’abbiamo già constatato con il primo lockdown, con i ragazzini che non volevano più uscire perché ormai si erano abituati a stare in casa. Poi c’è da dire che i ragazzi perdono i contatti con gli amici abituandosi semmai a contattarli per via virtuale. Non li si può lasciare un intero anno in queste condizioni”. “Bisognerebbe fare uno sforzo – conclude l’esperta – per fare andare i ragazzi a scuola almeno qualche ora alla settimana. Ad esempio un 60% a casa con la dad e un 40% a scuola in modo che non ci sia un distacco totale. Almeno prima di Natale si potrebbero prevedere un paio di giorni di ritorno a scuola in cui gli studenti si vedano con gli insegnanti, magari con la scusa di scambiarsi gli auguri, in modo da non lasciarli troppo isolati per periodi troppo lunghi”.