L’AQUILA – La crisi economica, aggravata dagli effetti della pandemia, ha prodotto la perdita di circa 450mila posti e intanto il 2021 potrebbe essere l’anno “d’oro” per il lavoro nero. Solo in Abruzzo, prendendo in considerazione gli ultimi dati disponibili del 2018, i lavoratori in nero sarebbero almeno 77.500, con un tasso di irregolarità pari al 14.2%, oltre la media nazionale che si attesta al 12.9%.
Secondo i dati elaborati dall’Ufficio studi della Cgia, con le chiusure imposte a causa delle misure anti contagio, a tanti di questi disoccupati si sono aggiunti molti addetti del settore alberghiero e della ristorazione e altrettante finte parrucchiere ed estetiste che quotidianamente si recano nelle case degli italiani ad esercitare irregolarmente i servizi e le prestazioni più disparate. Un numero di invisibili difficilmente quantificabile, anche se secondo gli ultimi dati stimati qualche anno fa dall’Istat, quindi ben prima dell’avvento del Covid, i lavoratori in nero presenti in Italia erano molti: circa 3,2 milioni.
“Nei prossimi mesi, purtroppo, la situazione è destinata a peggiorare – sottolinea la Cgia – Con lo sblocco dei licenziamenti previsti dapprima a fine giugno, per coloro che lavorano nelle Pmi e nelle grandi imprese, e successivamente in autunno, per quelli che sono occupati nelle micro e piccolissime aziende, c’è il pericolo che il numero dei senza lavoro aumenti in misura importante. Stiamo parlando di quelle persone che non riuscendo a trovare una nuova occupazione saranno costrette a optare per un lavoro irregolare o si improvviseranno come abusivi per integrare le magre entrate familiari”.
E le chiusure in “zona rossa” fanno crescere questa piaga: “Non meno impattante è l’effetto chiusura imposto dal governo nelle ultime settimane a bar, ristoranti, negozi, massaggiatori, parrucchieri e centri estetici. Soprattutto nei territori più provati dalla crisi, non sono pochi, ad esempio, i camerieri che in attesa di tornare ad esercitare la propria professione si stanno improvvisando edili, dipintori, idraulici, giardinieri o addetti alle pulizie. Eseguono piccoli lavori pagati poco e in nero che, tuttavia, consentono a queste persone di portare a casa qualche decina di euro al giorno, permettendo così a molte famiglie di mettere assieme il pranzo con la cena. In questo momento così difficile, chi lavora irregolarmente per
necessità non va assolutamente criminalizzato; ci mancherebbe. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che chi opera completamente o parzialmente in nero fa concorrenza sleale, altera i più elementari princìpi di democrazia economica, danneggiando chi lavora nel rispetto delle leggi e paga le imposte e i contributi previdenziali fino all’ultimo centesimo”.
Come evidenziato a marzo dalla Confesercenti, in Abruzzo oltre 1.300 imprese sono a rischio chiusura, 385 solo nel comparto moda, e se la media nazionale dei giorni di chiusura degli esercizi pubblici, che sono stati costretti ad abbassare le saracinesche a causa delle restrizioni imposte dalle misure anti-covid, è di 119 giorni, in Abruzzo il totale sale a 146, in un contesto che va da un minimo di 69 ad un massimo di 154.
Particolarmente diffusa, su tutto il territorio nazionale, l’attività svolta da “finti” parrucchieri, estetisti e massaggiatori abusivi che a seguito delle chiusure di queste attività, causa Covid, stanno imperversando, soprattutto nella settimana di Pasqua, recandosi nelle abitazioni dei/delle clienti per il taglio, la messa in piega, il massaggio ayurvedico, la depilazione o la pulizia del viso.
“Una decisione – quella presa dal governo Draghi di chiudere in ‘zona rossa’ tutto il settore benessere – ritenuta immotivata. Le attività di acconciatura e di estetica – tiene a sottolineare la Cgia – dal maggio dell’anno scorso hanno applicato con la massima diligenza le linee guida dettate dalle autorità sanitarie e dal Governo precedente, intensificando le già rigide misure previste dal settore sul piano igienico-sanitario e si sono riorganizzate per garantire la massima tutela della salute degli imprenditori, dei loro collaboratori e dei clienti. Lavorando su prenotazione e avendo investito notevolmente in prevenzione, non risulta che in nessuna parte del Paese si siano verificati dei focolai di contagio presso queste
attività tale da giustificare la decisione di chiudere tutto”.
Ad “ammortizzare” una parte dei posti di lavoro persi a causa dell’emergenza sanitaria ci sta pensando l’economia sommersa. Gli ultimi dati disponibili ci dicono che in Italia ci sono oltre
3,2 milioni di occupati in nero, il tasso di irregolarità è del 12,9 per cento e tutte queste persone producono un valore aggiunto in nero di 77,8 miliardi di euro. Il dilagare del lavoro irregolare non comporta un danno solo alle casse dell’erario e dell’Inps, ma anche alle tantissime attività produttive e dei servizi, le imprese artigianali e quelle commerciali che, spesso, subiscono la concorrenza sleale di questi soggetti.
I lavoratori in nero, infatti, non essendo sottoposti al prelievo previdenziale, a quello assicurativo e a quello fiscale consentono alle imprese dove prestano servizio – o a loro stessi, se operano sul mercato come falsi lavoratori autonomi – di beneficiare di un costo del lavoro molto inferiore e, conseguentemente, di praticare un prezzo finale del prodotto/servizio molto contenuto. Condizioni, ovviamente, che chi rispetta le disposizioni previste dalla legge non è in grado di offrire. Inoltre, non vanno nemmeno sottovalutate le condizioni lavorative a cui sono sottoposti gli irregolari: spesso a queste persone vengono negate le più elementari tutele previste dalla legge in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e in queste condizioni, gli incidenti e le malattie professionali rischiano di essere molto frequenti.
A livello territoriale sono le regioni del Mezzogiorno ad essere maggiormente interessate dall’abusivismo e dal lavoro nero. Secondo l’ultima stima redatta dell’Istat e relativa al 2018, in Calabria il tasso di irregolarità è pari al 22,1 per cento (136.200 irregolari), in Campania al 19,4 per cento (362.500 lavoratori in nero), in Sicilia al 18,7 per cento (283.700), in Puglia al 16,1 per cento (222.700) e in Sardegna del 15,7 per cento (95.500). La media nazionale è pari al 12,9 per cento. Le situazioni più virtuose, come sottolineavamo più sopra, si registrano nel Nordest. Se in Emilia Romagna il tasso di irregolarità è al 9,8 per cento (211.700 irregolari), in Valle d’Aosta è al 9,6 per cento (5.900), in Veneto al 9 per cento (207.300) e nella Provincia autonoma di Bolzano si attesta all’8,9 per cento (27.000).
L’attività in nero di queste 3,2 milioni di persone genera un valore aggiunto pari a 77,8 miliardi di euro all’anno, di cui 26,7 miliardi sono prodotti nel Sud, 19,8 nel Nordovest, 17 nel Centro e 14,3 nel Nordest. A livello regionale in termini assoluti il Pil in “nero” più importante si riscontra in Lombardia (12,6 miliardi), seguono il Lazio (9,4 miliardi), la Campania
(8,3 miliardi) e la Sicilia (6,2 miliardi).
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