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DA REPUBBLICA A TISCALI PASSANDO PER RETE8 L’INFORMAZIONE 2.0 SECONDO CAPORALE

di Eleonora Marchini

25 Settembre 2016 08:30

L'Aquila -

L’AQUILA –  Passare dalla televisione alla carta stampata e infine al web, con nel mezzo due grandi inchieste aquilane: le intercettazioni tra Guido Bertolaso e Daniela Stati, nodo centrale nel processo bis alla Commissione grandi rischi e le vicende legate alla ricostruzione-scandalo post-sisma del 6 aprile 2009 all’Aquila.

Si può riassumere così, certo brevemente, il percorso professionale di Giuseppe Caporale, 43enne giornalista professionista, abruzzese, a dicembre dello scorso anno approdato alla direzione del portale di informazione Tiscali News.

Già firma per il quotidiano La Repubblica, per il quale ha seguito gli avvenimenti di cronaca di Abruzzo, Marche, Molise e Umbria, è stato inviato all’Aquila nei tristi giorni del terremoto, e direttore editoriale per sette anni dell’emittente televisiva abruzzese Rete 8.

In un periodo di crisi generalizzata per l’informazione, sia essa carta stampata o digitale o video, Giuseppe Caporale è passato attraverso queste tre forme profondamente diverse di comunicazione che definisce comunque “complementari, per quanto possibile. Si possono distinguere contenuti per la tv, per il web o per la carta stampata. Ma un contenuto è un contenuto. Il linguaggio può sembrare diverso ma non lo è” spiega lo stesso Caporale ad Abruzzoweb che lo ha intervistato.

Come hai dovuto cambiare il tuo modo di fare informazione, quindi, nel corso degli anni, e approdando infine alla direzione di un quotidiano on line come Tiscali News?

Tutti i modi di fare informazione inseguono risultati di audience e quindi di rapporto con il pubblico. Tutti sono paradossalmente in difficoltà, come ci dicono i dati, e anche il digitale non brilla per la raccolta pubblicitaria. La carta stampata si è ricavata un ruolo di approfondimento come dire per mantenere una funzione più alta, la tv lavora molto sul momento, sul dare la notizia. Il digitale dovrebbe fare tutte queste tre cose insieme. Lo considero il mezzo di informazione più completo di tutti, perché riesce a veicolare tutti e tre i contenuti, cioè approfondire, dare la notizia, raccontare il momento, nel concetto suo proprio di essere una piattaforma multimediale.

Ho preso atto che nel momento in cui viviamo, bisogna produrre informazione di qualità. Tenendo presente che il mondo sta cambiando e dobbiamo considerare il sempre maggiore numero di persone che si informa attraverso i social media. Il problema è che nei social media devono circolare notizie corrette.

Quando dietro la notizia c’è un giornalista, l’errata informazione teoricamente non dovrebbe accadere. Il grande tema è quindi la figura del professionista. Abbiamo la fortuna di avere, in Tiscali, 16 grandi professionisti oltre a uno staff efficiente e qualificato. Sicuramente è lì il punto di svolta: il ruolo del giornalista nell’informazione digitale, che deve essere un ruolo rispettoso delle regole deontologiche fondamentali.





Che poi il rischio di commettere errori lo corrano anche gli iscritti all’Ordine, è indubbio. Però seguire delle regole, delle norme, dovrebbe fare la differenza.

Tiscali ti ha chiamato a dirigere il portale Tiscali Notizie. Questo rientra sicuramente nell’ottica di un restyling che l’azienda ha voluto per il suo sito di informazione, proprio per puntare sulla qualità delle notizie. C’è l’impronta di Giuseppe Caporale oggi nel portale, a distanza di quasi un anno?

Nessuno fa nulla da solo. Diciamo che il mio ruolo è stato quello di puntare la rotta verso l’informazione in maniera più netta, con maggiore forza, determinazione e coraggio. Credo che lo stiamo facendo, e questo è possibile grazie soprattutto ai giornalisti che lavorano qui e che hanno fatto la storia di questo portale. Giornalisti che sono riusciti a mantenere negli anni un rapporto e a stabilire una fidelizzazione con il pubblico. 

Tantissimi colleghi in gamba stanno portando avanti con me questo progetto, come Stefano Loffredo il vice direttore, Walter Ciancilla che è il caposervizio. Grazie all’impegno di tutti stiamo facendo un buon prodotto. Quello che ho potuto portare io è una visione nazionale da un punto di vista non solo di racconto ma anche di interpretazione delle notizie. Sono arrivati con me una serie di collaboratori, di firme, come Luca Telese, di editorialisti, come Nicola Porro, Giulio Borrelli, Giuseppe Turani solo per citarne alcuni. Ne sono tanti, una quindicina di grandi firme del giornalismo italiano. Il mio apporto è stato quello di andare oltre la pubblicazione delle notizie più importanti del giorno, e di puntare sull’interpretazione delle notizie, raccontarle, tenendo sempre il quadro dell’ultim’ora ma non essendo schiavi dell’ultim’ora. Forse questo può essere il cambiamento più importante che abbiamo fatto in questi mesi.

Ti definisci un giornalista d’inchiesta, hai diretto due workshop in proposito all’Università di Teramo, facoltà di Scienze della comunicazione e all’Università internazionale degli studi di Roma. Cosa vuoi trasmettere ai tuoi studenti?

Io mi definisco in realtà solo un giornalista. Poi sicuramente ho fatto e faccio spesso giornalismo d’inchiesta, anche perché ritengo che sia la forma più alta, più bella, più interessante di questo mestiere. Fare giornalismo d’inchiesta significa non fermarsi a una informazione ma incrociare tutte le informazioni, elaborare un’analisi di ciò che si sta raccontando e riuscire a vedere ciò che gli altri non ti consentono di vedere.

In un mondo di verità parziali, il problema è appunto che la verità è sempre un’altra cosa ed è sempre abbastanza lontana dai comunicati stampa, in sostanza. Quindi bisogna incrociare queste informazioni ed è quello che cerco di insegnare a questi studenti durante i workshop. Come diceva Giuseppe D’Avanzo, unire i puntini, mettere insieme tante fonti d’informazione, incrociarle, costruire un racconto, entrare nella verità da una porta diversa rispetto a quella da cui ti vorrebbero fare entrare gli altri, con la loro versione ufficiale. Questo vale per la Procura, per un ente pubblico, o nel caso di un incidente stradale che magari non è andato come ti raccontano.

È ancora possibile nelle redazioni di oggi, secondo te, trovare un lavoro di squadra che unisca approccio editoriale e metodo di verifica di fatti e dati? Esiste ancora la possibilità di fare vera inchiesta, anche alla luce della facilità con cui i giornalisti sono sempre più esposti al rischio di denunce e querele?

Questo è un tema paradossalmente economico. È un problema di crisi non dell’informazione ma dell’industria dell’informazione che, come abbiamo sotto gli occhi, è in grande travaglio e difficoltà. Superata questa situazione di crisi si tornerà sicuramente a ragionare sulla qualità del prodotto, anche se i grandi giornali italiani continuano a fare inchiesta, come continuano grandi firme del giornalismo.





La querela è un diritto della parte lesa. Anche se c’è purtroppo spesso un abuso, soprattutto da parte di esponenti della pubblica amministrazione, nell’uso della querela come arma di pressione. C’è da dire comunque che in Italia abbiamo buone leggi rispetto a tantissimi paesi, da questo punto di vista.

Il tuo nome è legato al post sisma dell’Aquila, eri inviato per Repubblica e hai poi raccolto le tue testimonianze e le tue inchieste nel libro L’Aquila Non è Kabul. Dalle new town, ai rischi ignorati, al paragone con il sisma del Molise nel 2002. Un’esperienza che ti ha cambiato?

Ho scritto diverse cose in merito, ho fatto un lavoro d’inchiesta importante. Prima di tutto un’esperienza che sicuramente ha segnato il mio percorso umano e professionale, anche se poi ognuno resta sè stesso. Ho provato a dare il mio contributo, per quello che erano le mie competenze, la mia professionalità. Penso di esserci riuscito, anche perché se oggi abbiamo dei punti fermi di verità sulla vicenda grandi rischi forse è dovuto anche a quel lavoro che ho fatto sulle intercettazioni di Bertolaso.

Penso di aver dato un contributo alla verità, con un lavoro d’inchiesta che è durato anni, dal 2009 al 2013. Devo dire grazie a Repubblica che me lo ha consentito, mi ha consentito di indagare. E anche a Rete 8, dove ho passato anni importanti della mia vita. Adesso se ne discute, se ne parla, ci sono delle sentenze, ma credo che ci siano dei fatti storici incontrovertibili che forse ho aiutato a mettere in fila.

Hai trascorso quasi otto anni come direttore editoriale dell'emittente abruzzese Rete 8, che di recente ha perso il suo direttore Pasquale Pacilio. Se ti proponessero di tornare, accetteresti?

Ho trascorso, in Rete 8, anni importanti. Adesso sto seguendo un percorso professionale del tutto diverso. Troverei difficile rispondere.

Come si definisce GIuseppe Caporale?

Una brava persona.

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