DA RIVNE ALL’ABRUZZO, IN FUGA DALL’UCRAINA. “SENZA LIBERTÀ NON CI SARÀ PACE PER NOSTRA TERRA”

INCONTRO CON LE FAMIGLIE DI PROFUGHI ACCOLTE NEI MAP POST-SISMICI DI FONTECCHIO, IN PROVINCIA DELL'AQUILA: LA RICONOSCENZA PER LA SOLIDARIETA' RICEVUTA, IL DOLORE LA RABBIA PER IL PAESE DEVASTATO. "MEGLIO MORIRE CHE DIVENTARE SUDDITI DI PUTIN, NOI VOGLIAMO L'EUROPA E LA DEMOCRAZIA"

di Filippo Tronca

2 Maggio 2022 07:45

Regione - Abruzzo, Politica

L’AQUILA – “Qui è bello. C’è tanto verde, i boschi. Ci sono le montagne e le valli. Da noi è tutta pianura e anche la nostra terra è tanto bella, dovresti vederla, quando diventa tutta d’oro, coperta di grano, sotto il cielo azzurro”.

Oksana, 55 anni, è appena arrivata davanti alla casetta prefabbricata nel villaggio post-sismico, dopo una lunga passeggiata assieme ad una vociante paranza di bambine e bambini.

La primavera sta esplodendo a Fontecchio, in provincia dell’Aquila, lungo la valle dell’Aterno. Oksana passeggia da oltre un mese, almeno due volte al giorno, portandosi dietro un fardello di cupi pensieri, l’accoramento per il destino della sua terra, delle persone care rimaste in Ucraina, sotto le bombe,  tra i palazzi sventrati, l’odore della polvere da sparo e della morte e dove tanto grano, quest’anno, rischia di non essere  raccolto.

E’ tornata in Abruzzo, a Fontecchio, dove aveva in passato lavorato come badante. Costretta ad andare via, con prima tappa la Polonia, a fine febbraio, dalla regione di Rivne, importante nodo ferroviario ucraino e sede di una centrale nucleare, a ovest di Kiev e al confine con la Bielorussa, stato vassallo della Russia. Con lei a Fontecchio è approdata la figlia Yulia, 34 anni, con i due figli di 14 anni e appena 6 mesi. Alina, 25enne, la moglie del figlio di Oksana, con il suo piccolo di 3 anni. E ancora Valentin e Vittoria, entrambi 34enni, con i loro tre figli di 3, 6 e 8 anni.

I mariti di Yulia e di Alina sono rimasti invece in Ucraina, e supportano come volontari l’esercito e i civili.

Sono stati accolti con calore ed efficienza dall’amministrazione comunale, guidata dal sindaco Sabrina Ciancone, e dalla cittadinanza tutta, ospitati in un map e in una casa messa a disposizione a titolo gratuito da generosi proprietari privati, nella vicina frazione di San Pio. I paesani si sono autotassati e si sono fatti carico dei costi, che non saranno rimborsati da nessuno, per fare la spesa, acquistare beni di prima necessità e  per far fronte alle varie esigenze degli ospiti, per pagare le utenze.

Al cronista in visita, la famiglia allargata spalanca la porta del map. Per anni qui hanno vissuto gli sfollati del terremoto del 2009. Ora il paese in buona parte è stato ricostruito., e numerose gru svettano sopra i tetti a completare l’opera. Gli offrono una calda tisana con i pasticcini. La televisione è spenta, nelle ore in cui cresce l’apprensione per l’escalation bellica, si acuiscono gli scontri e le divergenze d’opinione sulle conseguenze delle sanzioni alla Russia del plutocrate Valdimir Putin, e della fornitura d’armi agli ucraini, sul ruolo degli Stati Uniti che soffiano sul fuoco e l’Europa, ancora una volta, nel ruolo di vaso di coccio e che rischia di trovarsi letteralmente alla canna del gas.





Nelle stesse ore in cui si riferisce dei massacri di Bucha, ad opera dei soldati regolari e mercenari al soldo dei russi e dove il sindaco ha stimato recentemente fra i 5 e i 10 mila cittadini uccisi. Di Mariupol rasa al suolo dai bombardamenti, dell’arresto in Russia della giornalista Maria Ponomarenkpo, che rischia dieci anni di carcere perchè “non si può tacere, sapendo della morte di migliaia di persone innocenti”. Mentre in Italia, opinionisti e tuttologi all’ultimo grido e ben pagati,  nella comfort zone dei salotti televisivi in prima serata, lanciano anatemi contro la censura e la disinformazione delle tv, giornali e “giornalai” italiani, ovviamente “servi della Nato”.

La tv è comunque spenta. L’Ucraina dista oltre 2mila chilometri. Ma la guerra è un convitato di pietra, ad ogni ticchettio di orologio che scandisce la giornata. Alle pareti del map i disegni dei bambini, che ritraggono un carro armato, su cui garrisce una bandiera ucraina, un aereo che lancia missili. Alla finestra una bandiera italiana e una ucraina colorate con i pastelli.

A rompere il ghiaccio, e iniziare a raccontare, con voce ferma e intensa è Vittoria, che di professione è giornalista, componente dell’Unione nazionale dei giornalisti dell’Ucraina.

“Era un giorno di febbraio, e quel giorno per noi non è ancora finito. La nostra casa è vicina all’autostrada, e vedevamo passare in continuazione e con sempre maggiore frequenza mezzi militari del nostro esercito, in direzione di Kiev. Poi un messaggio al telefono, di un  mio collega: la Russia ci aveva attaccato. Dovevamo decidere cosa fare, e pure in fretta. I miei genitori hanno insistito in lacrime per trasferirsi da loro, nel loro villaggio, non distante dal nostro. E ci siamo trasferiti. Lì sono arrivati ​​altri parenti, da Kiev, che sono fuggiti quando i russi hanno cominciato a lanciare i razzi. Poi c’è stata un’esplosione all’aeroporto di Rivne, e poi un’esplosione vicino al nostro villaggio. Un missile nemico ha colpito la torre della televisione. E poi ancora bombe. Sembrava che la casa si fosse alzata per qualche metro, per poi riatterrare. Nella torre della televisione sono morte 21 persone.  Le sirene antiaeree suonavano ogni giorno, e ogni notte. I russi hanno cominciato sempre di più a bombardarci, i missili partivano dalla Bielorussia. Per interminabili giorni non facevamo che correre, con i bambini piccoli, gli anziani e i malati, nei seminterrati, appena si sentiva l’urlo di quella sirena. Ci sono bambini a cui sono diventati per il terrore tutti i capelli bianchi. Siamo qui per la salute mentale dei nostri figli, per garantire almeno un po’ di pace ai nostri genitori”.

Il marito Valentin è invece un manager di una società che opera nel settore pulizia e sanificazione ed è anche un talentuoso fotografo. A Rivne si è arruolato come volontario a inizio marzo, con convinzione, e senza che nessuno lo costringesse. Preparava i “ricci” e altre barriere fisiche per ostacolare una possibile intrusione di mezzi militari russi via terra. Anche i bambini e gli anziani hanno cominciato a tessere le “reti mimetiche”. Ha organizzato le raccolte di viveri e vestiti, per chi era rimasto senza nulla. Valentin poi ha però deciso di andare via, per prendersi cura dei tre figli.

Ci mostra una foto, di grande bellezza, che ha scattato alla fontana trecentesca della piazza di Fontecchio. Poi il pensiero torna alla sua terra. E come un vulcano esplode.

“Putin è solo un criminale, è da quando è al potere che fa le guerre, che fa stragi di innocenti, che rade al suolo città e paesi  – si accalora Valentin -, che distrugge e uccide in nome del suo delirio di onnipotenza. Sono anni che fa ammazzare gli oppositori al suo regime personale. Lui odia le democrazie. Noi ucraini non siamo dei pazzi, non siamo irresponsabili, quando chiediamo la ‘no fly zone’, quando chiediamo armi. E’ una legittima difesa, contro chi ci sta uccidendo, contro gli aerei, contro i missili che ci piovono addosso, che stanno giorno dopo giorno rendendo l’Ucraina un deserto di macerie. Chiunque al posto nostro chiederebbe aiuto, rinforzi”.

E come un fiume in piena aggiunge: “l’occidente ha messo le sanzioni, per provare a fermarlo, ma Putin è un ladro, un cleptomane, è uno degli uomini più ricchi del mondo, ha nascoste in mezzo mondo immense ricchezze. A lui le sanzioni gli fanno un baffo, e del suo popolo, che invece ne subirà le conseguenze, se ne è sempre fregato. Come se ne frega dei russofoni che vivono in Ucraina. Te lo assicuro, anche loro ora odiano la Russia, anche loro vengono uccisi, anche loro scappano. La propaganda di Putin, che dice che vuole tutelare e difendere i russofoni in Ucraina, blaterando di denazificazione, si scioglie come neve al sole, davanti ai corpi di cittadini innocenti e indifesi, massacrati dai soldati russi a sangue freddo, con un ghigno di odio sul volto, lasciati per strada, gettati nelle fosse comuni”.





E conclude, “lo ammetto, sono arrabbiato anche con tanti russi, mi sarei aspettato un’opposizione più forte nel loro Paese, una diserzione di massa da questa folle guerra, una ribellione contro il loro dittatore”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Yulia, laureata in lingue. “Noi ucraini vogliamo entrare in Europa, vogliamo la libertà e i diritti che l’Europa garantisce. Il nostro presidente Volodymyr Zelenskyj lo abbiamo democraticamente eletto, ci siamo ribellati contro presidenti burattini di Mosca venuti prima di lui, che volevano spingerci nelle braccia della Russia. Vogliamo la pace, non vogliamo diventare sudditi di un dittatore come Putin. Prima di questo incubo stavamo bene, vivevamo in pace. Non si può essere felici in una dittatura, meglio morire da persone libere”.

Ha scritto il filosofo Georg Wilhelm Friedrich Hegel che “se non ci fossero le guerre, i libri di storia sarebbero una raccolta di pagine bianche”, segno che l’uomo non è ancora uscito dalla  preistoria, bestia era e bestia è rimasta, altro che trionfale e dialettico progresso dello Spirito nel corso dei secoli, a cui lo stesso Hegel credeva.

Oltre però tutte le guerre, il veleno  nazionalista e sovranista, la maledizione dell’idolatria dei confini e del suolo patrio, degli imperialismi occidentali od orientali, c’è invece questa accoglienza in un piccolo paese in Abruzzo, che come tanti altri paesi e città in Italia, hanno assicurato a queste persone un approdo sicuro, un po’ di serenità, calore umano. Ci sono le relazioni che giorno dopo giorno vengono tessute di reciproca conoscenza ed empatia tra gli ospiti ucraini e gli autoctoni, compaesani di un unico pianeta.

“Siamo incredibilmente grati alla signora Sabrina Ciancone, e alla popolazione locale – riprende la parola Vittoria -. Cercano di sostenerci moralmente, ci aiutano a non sentirci alienati. Questo amore e questa gentilezza creano un un nuovo equilibrio tra il bene e il male che abbiamo subito. Non lo dimenticheremo mai e sapremo contraccambiare con riconoscenza”.

Alina preferisce non parlare, coccola il figlio e guarda la finestra. I suoi occhi profondi come il mare, velati dalla tristezza, dicono già tutto. Oksana porta un dolcetto al nipotino, gli accarezza la testa.

“Io lavoro da una vita, ho fatto tanti sacrifici. Questa guerra mi ha fatto comprendere che di quello che possiedi, di quello che hai costruito, contano solo le persone care che puoi prendere per mano e che possono venire con te, conta solo ciò che puoi portarti dietro dentro una borsa. Noi ucraini siamo grandi lavoratori. Ricostruiremo il nostro Paese, tutto quello che hanno distrutto, noi lo ricostruiremo”.

Commenti da Facebook

RIPRODUZIONE RISERVATA
Download in PDF©


    Ti potrebbe interessare:

    ARTICOLI PIÙ VISTI: