DAL PALCO DEL TEATRO STABILE A MINISTRO D’ONOFRIO, ”L’AQUILA HA LA STORIA, RINASCERA”’

di Erminio Cavalli

13 Ottobre 2012 07:51

Regione -

L’AQUILA – Da attore nei panni del cardinale Richelieu a ministro dell’Istruzione.

AbruzzoWeb ha incontrato il senatore Francesco D’Onofrio, componente del primo governo Berlusconi nel 1994, una carriera di uomo politico come rappresentante di spicco della Democrazia cristiana e poi dal 2008 componente della Costituente di centro promossa dall’Udc.

È nato a Salerno, le sue origini non sono dunque abruzzesi. Eppure dalla piacevole chiacchierata è spuntata fuori la scoperta di un profondo legame con la terra d’Abruzzo. E tra i suoi ricordi anche l’inattesa confessione di una grande, curiosa vocazione.

“LA MIA VOCAZIONE ERA IL TEATRO”: DA RICHELIEU A MINISTRO

Lei è campano di origini. Da cosa nasce il suo legame con l’Abruzzo?

Pur non essendo di origini abruzzesi, ho avuto nel corso della mia storia familiare diversi e ben precisi motivi di legami con questa regione. Tanto per cominciare mio nonno Francesco era provveditore in Abruzzo, mio padre ha svolto lo stesso incarico a Pescara. E poi il mio primo impegno universitario come docente l’ho avuto a Teramo. Da allora, anche se la mia vita politica mi ha comunque allontanato da questa terra, sono sempre tornato in questi posti con particolare gioia e gradimento. E comunque è rimasta sempre nei miei pensieri. Ogni volta che mi invitano a L’Aquila, in Abruzzo, ci vengo volentieri.

C’è un episodio del suo periodo abruzzese che vorrebbe ricordare?

La cosa più singolare di tutte è che pochi sanno che Beppe Navello, a metà degli anni 80 regista di riferimento del Teatro stabile dell’Aquila, mi chiamò per partecipare ad una pièce teatrale. Si trattava di un adattamento del celebre romanzo di Alexandre Dumas I tre moschettieri.

Che parte recitava?

Ero stato scelto per interpretare il ruolo del cardinale Richelieu. Facemmo una rappresentazione di cui ho ancora, a distanza di anni, un bellissimo ricordo. Un personaggio davvero interessante, affascinante, che richiama l’antico rapporto tra papato e impero.

Che ricordo ha di questo personaggio?

Mi ha insegnato quanto potesse essere importante il legame tra ispirazione cristiana e politica attiva. L’Europa in fondo, lo sappiamo, è nata per ispirazione cristiana.

Sì, ma fede e ragione sono due aspetti spesso non conciliabili…





Vero, esiste una reale difficoltà di combinare questi due aspetti. Mi rendo conto che quanto non sia semplice. Eppure la Francia, vero baluardo dei principi di laicità, ci ha consegnato con la rivoluzione francese una profonda lezione sul tema dei diritti umani. La Francia poi ha un’idea di natura che parla di cultura…

Tornando in Abruzzo e più in particolare all’Aquila. Come mai non coltivò questa vocazione per il teatro?

Per la verità era il periodo in cui la Democrazia cristiana, a cui facevo parte, decise di chiamare a sé 75 persone in Italia scelte in mezzo alla società civile e che soprattutto avessero una cultura e un’educazione cristiana. Dissi a malincuore a Navello che sarei passato dal teatro al ‘teatrino’ della politica.

E si è pentito?

No, ma sicuramente fu una scelta difficile. E oggi, a distanza di anni, penso sempre a questa mia autentica ispirazione teatrale, che avrei piacere di coltivare ancora.

IL TSA: “IN QUEI TRE MOSCHETTIERI CHIEDEMO UN CAMEO AD ANDREOTTI!”

“In quegli anni il Teatro stabile dell’Aquila viveva un periodo davvero difficile – questa la testimonianza data ad AbruzzoWeb da Roberta Gargano, responsabile comunicazione del Tsa – e per più di un anno ha sofferto una crisi profonda”.

“Fu in quell’occasione – ricorda – che il regista di riferimento dell’ente, Beppe Navello, ebbe l’idea di portare in scena, non a caso, un adattamento del romanzo di Dumas coinvolgendo personaggi di spicco della politica e della cultura di quel periodo”.

La Gargano conferma che “D’Onofrio interpretò la parte del cardinale Richelieu. Anche il senatore Giulio Andreotti fu invitato a recitare una parte, ma all’ultimo momento decise di non partecipare – svela – C’erano molti personaggi di rilievo, della politica e della cultura, che vennero coinvolti in questa rappresentazione. Interpretarono piccoli camei”.

“Era un modo per risvegliare l’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica”, conclude.

“L’AQUILA NON È UNA CASA CADUTA, MA UN PATRIMONIO CHE NON PUÒ CROLLARE”


Lei ha insegnato a Teramo nella facoltà di Scienze politiche. Come veniva vista anni fa la città dell’Aquila dall’altra parte dell’Abruzzo?

Si sentiva il forte primato storico della città capoluogo. Io lo sentivo tanto. Anche quando ero a Pescara. Ricordo che scoprii proprio qui per la prima volta il termosifone, che dalle mie parti non era così usato. Scoprii Pescara come una città molto umida, L’Aquila sicuramente fredda. Il calore umano degli abruzzesi, soprattutto degli aquilani, appartiene a una dimensione non climatica, ma antropologica. innegabile.





Lei è venuto all’Aquila per il corteo della Bolla?

Sì, nel 1994 partecipai come ministro del governo Berlusconi al corteo della Perdonanza Celestiniana e fu per me un’esperienza intensa, emozionante. Sono stato poi sempre attratto dalla figura di Celestino V, anche in relazione alle vicende attuali politiche della temporaneità degli incarichi. Celestino non si sentiva all’altezza del compito che gli era stato assegnato. Ma teologicamente questo aspetto è molto complesso.

Celestino è una figura storica molto discussa. E riscuote particolare apprezzamento anche da una certa cultura laica. Che ne pensa?

Esiste un concreto rischio che questa figura possa essere interpretata oggi come un fatto solo umano e non divino.

Sembrerebbe che L’Aquila sia stata scoperta da molti solo dopo la vicenda del terremoto. Prima persino la sua presenza sulla cartina geografica di molte ‘vetrine’ d’informazione veniva tacitamente ignorata.

Questo che dice è vero. Dopo il terremoto purtroppo c’è stata una scoperta dell’Aquila così come dell’Abruzzo. È stata una terra che ha vissuto nel tempo una serie di pregiudizi, come l’idea di una regione arretrata. Non è affatto vero. Non è mai stato così.

La sua esperienza politica è nata ed è maturata all’interno della Democrazia cristiana. Pensa che il partito della “Balena Bianca” abbia rivolto un’attenzione particolare alla rinascita dell’Abruzzo?

Senza dubbio. Penso a grandi uomini politici come Natali o Gaspari, veri leader che hanno favorito questa regione portando un vantaggio non consueto. L’Abruzzo può contare poi su una risorsa importante: l’incontro tra due caratteri abruzzesi come L’Aquila e Pescara: da un lato il patrimonio di un vissuto antico e irripetibile e dall’altro la storia artigiana e della modernità.

Come ha vissuto la notizia del terremoto dell’Aquila?

Con profondo dolore. Non ne ho sofferto come aquilano ma in ogni caso due volte, per ragioni artistiche e culturali, ma anche per motivi d’affetto nate dalla mia storia familiare.

Che percezione lei ha oggi dell’Aquila?

Questa città non è solo l’immagine di ‘una’ casa caduta. Ma c’è un’intera civiltà, un patrimonio immenso che esiste sempre, che niente potrebbe cancellare. L’Aquila rinascerà tranquillamente, ne sono certo. Noi tutti abbiamo bisogno di lei, di questo straordinario primato storico. Oggi esiste una grande rivalutazione culturale di questa realtà. A questo L’Aquila dovrebbe puntare. Occorre che ci si possa riappropriare di questa identità.

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