DALLA GAVETTA A PESCARA A TIZIANO FERRO, IL PAROLIERE TENISCI ‘COSI’ SCRIVO PER I BIG’

di Rossella Papa

26 Dicembre 2016 10:00

Pescara -

CHIETI – Il profilo delicato del cantautore, ma la grinta rock di un giovane musicista appena affacciato nel panorama artistico e musicale: è Michael Tenisci, cantautore pescarese che ha scritto con Tiziano Ferro il nuovo singolo Potremmo ritornare, uscito lo scorso 2 dicembre.

Classe 1989, sangue abruzzese e un carattere gentile ma deciso: Tenisci si occupa di musiche e testi dei big della musica italiana.

Una giovane passione che lo spinge, fin dai 15 anni, a scrivere testi e musiche di proprio pugno; un campo vasto in cui, però, preferisce lavorare dietro le quinte piuttosto che sul palco. Un lavoro di penna e pensiero e poco di voce, nonostante i numerosi esperimenti anche da cantante.

Cresciuto in clima vintage, tra Lucio Dalla e vinili, Michael decide di tentare la carriera artistica come autore di testi: tra rifiuti e paure, dal 2015 collabora con lo studio di registrazione Upmusic di Enrico “Kikko” Palmosi (discografico di Modà, Emma Marrone, Dear Jack) e Sabatino Salvati (produttore e proprietario dell’etichetta discografica Rosso al tramonto).

Un anno dopo, il 15 gennaio 2016, viene pubblicato l’album Vivere a colori di Alessandra Amoroso: all’interno è presente il brano La vita in un anno scritto da Tiziano Ferro e proprio da Michael Tenisci.

Ma non finisce qui, qualche mese dopo viene pubblicato l’undicesimo album in studio di Francesco Renga, Scriverò il tuo nome. Insieme a Tony Maiello, Michele Canova Iorfida e Renga, Tenisci è autore proprio della titletrack.

Una scalata sorprendente, giunta proprio nel periodo in cui il cantautore credeva di dover mollare la presa.

Oggi ascolta i Thirty Second To Mars, ha scritto la musica e la melodia dell’ultimo singolo di Ferro e racconta ad AbruzzoWeb la fatica e la magia di voler essere un artista.

Oggi il tuo nome è affiancato a quello di Tiziano Ferro e Alessandra Amoroso, oggi sei un autore; ma come sei arrivato qui? Da che cosa sei partito?

Ho iniziato a suonare la chitarra e scrivere quando avevo 16 anni, dopo aver suonato in vari gruppi della zona ho capito che, in realtà, non mi piaceva la parte cantata, ma quella scritta. Mi piaceva scrivere. Ho fatto dieci anni di gavetta, dieci anni in cui ho scritto canzoni, ho fatto concorsi e tentativi. Ero arrivato al limite, nel dicembre 2014 ho mandato due cd con le demo a Tiziano Ferro: era l’ultimo tentativo. Dopo due settimane mi ha chiamato il manager di Tiziano per dirmi che lui voleva lavorare sulla mia demo. Mi sembrava quasi uno scherzo. Invece quella canzone poi diventò La vita in un anno di Alessandra Amoroso. C’è la mia musica e melodia, Tiziano Ferro ha scritto il testo. Era il mio periodo più difficile. È difficile che gli altri credano in questi mestieri. Quando arrivi sul fondo hai bisogno di una svolta, o resti fermo e cedi o risali. In quei momenti non pensi alla svolta, sei più incline alla fine. Ero al limite, era l’ultima mia spiaggia. Tiziano mi ha dato una bella spinta.

Quando ti chiedo “come sei arrivato qui”, come definisci questo punto? Una partenza, un arrivo, una semplice soddisfazione?





È un grande punto di partenza, questa piccola vittoria mi ha aperto tante porte. Mi ha portato anche in situazioni non prevedibili. Sono stato, per esempio, nel backstage di X-Factor un paio di settimane fa, ho incontrato il produttore di Fedez. Ho visto un ambiente che prima conoscevo solo da fuori. Ho parlato con Elio e Le storie tese, mi hanno fatto i complimenti e io da piccolo ascoltavo solo loro. Trovarsi in queste situazioni mi sembra surreale, ma credo che sia solo un punto di partenza e, sicuramente, una grande soddisfazione.

Tiziano Ferro e Alessandra Amoroso tra i big dell’attuale panorama musicale italiano; sono tra quelli con cui sognavi di collaborare o, invece, incrociare le loro carriere è stato un caso?

In realtà sono stato molto fortunato, in Italia sono tra i due che preferisco. Ho sempre ascoltato musica straniera, ho iniziato a suonare la chitarra per i Red Hot Chili Peppers, in famiglia sono cresciuto tra i vinili dei Pink Floyd, Rino Gaetano, Renato Zero. Alessandra, attualmente, era quella che preferivo più di tutti, così come Tiziano. È una cosa che non mi aspettavo, è davvero una grande soddisfazione. La Amoroso l’ho conosciuta quando è venuta a Megalò qui a Chieti, siamo stati a parlare una buona mezz’ora. E anche in altre due occasioni per i concerti a Milano. È molto alla mano, molto modesta. Tiziano non l’ho incontrato ancora, dato che vive a Los Angeles. Sarà possibile incontrarlo a breve, per la promozione dell’album. Ma quando parli con loro è un dialogo spesso indiretto, so che quello che mando arriva direttamente a loro, ma è difficile avere un contatto diretto. Tiziano nell’ultimo disco ha raccolto in squadra molti giovani autori, c’è anche Davide Simonetta.

Il cantautorato è un po’ una doppia arte. Se dovessi scegliere, però, tra la penna e la voce: autore o cantante?

Suonare mi piace tanto, cantare, invece, è un blocco. Non mi sento a mio agio. All’inizio ho provato a farlo ma, nel momento in cui sono sotto il riflettore, non mi sento realmente me stesso. È una mia attitudine, è una scelta.

Eppure hai stoffa anche in quello. Se un giorno ti dovessero fare un’offerta allettante, per stare sul palco? Accetteresti, piegando la tua inclinazione naturale, oppure resteresti coerente con ciò che più ti rispecchia?

Non ci ho mai pensato, ma credo che, per ora, direi di no. Non è per la fama, né ho qualcosa contro i talent. Anzi, li promuovo e sorreggo con quello che faccio; ma cantare non è la mia naturale attitudine, scrivere sì. Magari tra due anni cambierò idea, entrando anche in quell’ambiente. Anche quello che faccio adesso è diverso da quello che credevo di poter fare: prima scrivevo in maniera disconnessa, seguendo uno schema molto inglese: frasi staccate, senza legami. Ora, invece, sto cercando di avere un filo. Ogni frase ha il suo senso.

Hai parlato di talent: come puoi definirli nel panorama artistico attuale?

Oggi è l’unico modo per uscire, sono una vetrina. È giusto anche adattarsi ai nuovi strumenti. Il problema è che, a differenza dei talent americani in cui, una volta usciti hai la tua strada indipendente, in Italia c’è un sistema più legato. Il talent sembra essere una tappa obbligata per avere successo. Comunque è un’opportunità che prima non c’era.

Non credi che dare la possibilità a tutti attraverso il talent comporti un sovraffollamento di aspiranti artisti, tra cui molti che spesso non hanno le carte in regola per definirsi tali?

È questo il problema dei talent, dare la possibilità a chiunque preclude la vecchia “selezione naturale”. Però sono dell’idea che chi, poi, dal talent continua ad avere successo e a durare è perché quelle carte in regola ce l’ha.

Passando alla parte pratica: scrivere una canzone. Quanto della tua vita c’è in quello che scrivi? Qual è il meccanismo che porta alla creazione di un testo?





Cerco sempre di metterci qualcosa di autobiografico, ma Stevenson non ha fatto nessuna spedizione con i pirati per scrivere “L’isola del tesoro”. Ci vuole una gran dose di immaginazione e fantasia. Sono poche le persone che sono riuscite ad avere la stessa vita che scrivevano, forse Hemingway o Bukowski ma noi non siamo né Hemingway né Bukowski. Per scrivere ci sono periodi, alcune sere in cui passi quattro ore con l’intento di scrivere una canzone e magari non arriva. Ogni volta che qualcosa mi ispira mi appunto una frase, poi magari arriva un momento in cui raccolgo tutto.

Scrivere è un processo piuttosto naturale e istintivo, per chi ama farlo. Qual è allora il passaggio difficile, se c’è, della scrittura di una canzone?

Se leggi il testo Il regalo mio più grande di Tiziano Ferro, sembra che Tiziano stia parlando proprio con te. La tecnica giusta per arrivare è parlare a tutti. Era anche quello che diceva Mogol, “devi parlare a una persona ma tutti devono potercisi rispecchiare”. La parte difficile di una canzone è la sintesi, con il senso di un testo potresti scriverci un libro eppure in pochi versi devi saper dire tutto. Ogni frase deve avere un senso profondo.

Da due anni circa, vivi quell’ambiente che prima potevi solo sognare: è come lo immaginavi?

In realtà lo descrivono anche peggio, tutta quella storia che nel backstage ci sia una vista sregolata in realtà non è vera. Ci sono persone, movimenti, è una vita normale. Forse il mito sbagliato lo gonfia chi non arriva al successo e indica come causa un ambiente sbagliato. Io credo che se vali alla fine arrivi. E vale per ogni mestiere. Se è quello che vuoi veramente, ce la fai. Bisogna perseverare però con moderazione, ascoltare anche il consiglio.

Hai scelto la musica, ma sei ben consapevole di quanto questo sistema sia variabile. Insomma, la musica cambia con i tempi. Sei un buon tradizionalista o credi nei moderni esperimenti?

La musica non è una moda, si adatta al progresso come ogni arte e sistema. Tutte le cose seguono i tempi, una canzone attuale vent’anni fa sarebbe stata futuristica. Bisogna anche adattarsi al progresso: se vale per la tecnologia e la comunicazione, deve valere anche per la musica. La musica è una sintesi dei tempi e delle evoluzioni. La settimana scorsa sono stata a uno spettacolo comico a Roma, di Giorgio Montanini, diceva che nel dopoguerra c’era Totò che faceva ridere tanto con le gag, perché la gente aveva bisogno di ridere, oggi non funzionerebbe. Anche il quadro di Fontana, probabilmente oggi non avrebbe senso. Ogni arte è il frutto dei cambiamenti del suo tempo. È giusto avere una radice, un’ispirazione del passato, però adattarlo al proprio tempo.

Hai intenzione di lasciare l’Italia in futuro, anche per seguire il lavoro, o preferiresti restare qui? Attualmente tu vivi a Pescara, dopo aver conosciuto più realtà urbane, ora ti piace ancora vivere lì o inizi a sentirla stretta?

Ho troppa paura dell’aereo per partire. A me piace tanto l’Italia. Ci credo. Farei volentieri esperienze all’estero, ma poi tornerei. Non sento il bisogno di andarmene come magari potevo sentirlo in passato, forse questo dipende da questa soddisfazione ottenuta. Probabilmente se non avessi iniziato a realizzarmi ne avrei avuto l’esigenza. Per quanto riguarda Pescara, in particolare, credo che sia più a misura d’uomo. Nelle grandi città, come Roma o Milano, una giornata lavorativa ti sembra durare un quarto d’ora, e in realtà sono già le otto di sera. In realtà qui c’è il giusto compromesso, vivere qui e spostarmi per i diversi luoghi di lavoro. Nonostante mi piaccia viaggiare, non con l’aereo!, è bello poi tornare qui. Le grandi città e quei mondi ti danno la possibilità di partecipare a grandi serate certo, ma vorrei che le occasioni speciali restassero occasioni e non abitudini. Altrimenti perdono la magia. È una scelta.

Dopo questa bella spinta, ora che cosa ti aspetta? Quali i progetti e gli obiettivi?

In questo momento tante offerte, tutti quelli che magari prima non mi rispondevano ora mi cercano. A gennaio inizio a lavorare con Skyline, una società di edizioni di Roma. Con loro lavoro come autore. Siamo in due, stiamo cercando di mantenere un profilo. Mi piacerebbe un giorno anche entrare nel campo della letteratura, perché no, ma per quello sono necessari molto tempo e molte esperienze. Cerco tutto quello che può essere per me una possibilità di crescita.

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