ROMA – Enrico Letta, dopo l’addio di Azione, è determinato a recuperare il tempo perduto.
Così, da Marcinelle – il luogo della tragedia che nel 1956 costò la vita a 262 minatori, di cui 136 italiani – fa partire la campagna elettorale: una maratona da disputare sui territori che avrà come mantra la scelta tra il centrosinistra da una parte e il centrodestra, con Giorgia Meloni premier, dall’altra.
A livello pratico, lo strappo di Carlo Calenda potrebbe avere come conseguenza il venir meno del veto a candidare negli uninominali i leader delle forze politiche inizialmente considerati divisivi, come Luigi Di Maio, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. Ma, su questo, ancora non sono state prese decisioni.
E ci sarà la necessità di rimodulare quel 24% di collegi previsti per la federazione Azione-Più Europa. Ma il clima è disteso e un primo confronto potrebbe essere intavolato con il partito di Benedetto Della Vedova, dopo che la direzione avrà ufficializzato la scelta di rimanere al fianco del Pd. La rotta è tracciata: “Riconosciamo e confermiamo l’importanza dei contenuti” dell’accordo col Pd, ha detto il presidente di Più Europa Riccardo Magi. Ed Emma Bonino è sulla stessa linea: “A me sembra che Letta abbia rispettato il patto, dal momento che era noto a tutti che aveva intese anche con Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli, Luigi Di Maio e Bruno Tabacci“.
Il grande obiettivo di Enrico Letta di costruire il campo più largo possibile, per contrastare alle urne un centrodestra unito e dato come favorito nei sondaggi, esce inevitabilmente ridimensionato dal dietrofront di Calenda. I dem dovranno vedersela anche con un potenziale terzo polo che potrebbe drenare voti sia a destra, sia a sinistra.
Ma, nonostante le avversità (previste e non), la determinazione è forte: “Siamo già in campagna elettorale sui territori – dicono alcuni parlamentari Pd -. Le ultime due tornate elettorali ci hanno premiati, ora bisogna mettere in campo i migliori candidati possibili, quelli più forti agli uninominali”. Al Nazareno non nascondono il rammarico per “la lunga sfilza di menzogne” di Calenda, ma al contempo sottolineano come “a smascherarle siano stati Magi, Bonino, Della Vedova”.
Ora, il mandato del partito è “non rispondere sui social” al leader di Azione per “non alimentarne” quella che viene bollata come “bulimia narcisistica”, “una nuova variante, dopo Renzi, di populismo d’élite”. Intanto, lo schema a trazione democratica è definito: il Pd, che presenterà un simbolo con all’interno la dicitura “democratici e progressisti” (il listone dove confluiranno, tra gli altri, esponenti di Psi, Demos e Articolo Uno); Verdi-Sinistra Italiana; Impegno civico di Di Maio e Tabacci; e +Europa.
Il programma, in via di definizione, avrà alcune parole d’ordine: tutela della Costituzione, diritto al lavoro, ambiente, lotta alla povertà, alle disuguaglianze e al precariato, sostegno alle famiglie e alle imprese. L’esito della battaglia elettorale si giocherà sui temi e sulla credibilità politica dei contendenti. Stefano Bonaccini punta il dito contro Carlo Calenda accusandolo, con il suo strappo, di “lasciare il campo alla destra sovranista e populista”.
Da Marcinelle, invece, il segretario dem si scaglia direttamente contro la leader di FdI: “È grave dividere morti di serie A e di serie B”. La miniera di carbone in Belgio, sottolineano dal Nazareno, è la testimonianza “di un Paese che si è rimesso in piedi dopo la guerra attraverso il lavoro e il sacrificio” e “la scelta di abbandonare la propria terra per una opportunità di realizzazione. La Meloni specula perfino su questo”.
Intanto sul fronte centrodestra: “Perché no?” Anzi, “Certo, presumo di sì”. Con una domanda che suona retorica seguita per la prima volta da una risposta netta, Giorgia Meloni esce allo scoperto sul nodo della premiership che arrovella il centrodestra. La leader di Fratelli d’Italia ammette che se il 25 settembre il suo partito otterrà il maggior numero di voti nella coalizione, proporrà il suo nome per Palazzo Chigi.
“Certo, io presumo di sì, perché non dovrebbe esserlo? Qual è la ragione per dire ‘Meloni no’ e si dovrebbe indicare un altro?”, insiste aggiungendo per paradosso: “Immagino che la gente che vota FdI, voti in quest’ottica e non per trovarsi un Giuseppe Conte“.
Un punto fermo ora (in parte anticipato a Fox news, giorni fa schermato dal “grande onore” di poter guidare l’Italia) che stride però con la frenata di Matteo Salvini: “Non ci sono ministri adesso, premier, sottosegretari: aspettiamo il 25 settembre”, taglia corto il leader leghista. Ma è sul cavallo di battaglia delle tasse che Salvini spinge oggi l’acceleratore: “Vogliamo estendere la flat tax al 15% anche ai lavoratori dipendenti”, annuncia a Radio Montecarlo, sicuro che “nell’arco dei 5 anni si può fare”. Dunque, tassa piatta non solo per le partite Iva ma anche per il bacino larghissimo dei dipendenti, è la novità di giornata della Lega. Diversa dall’aliquota del 23% “per tutti, famiglie e imprese” ,proposta da Silvio Berlusconi.
Su questa scia, arriva la “pillola” quotidiana del presidente di Forza Italia che attacca i Dem sul fronte della ‘patrimoniale’. Nel video diffuso sui social, il Cavaliere se la prende con la proposta di una tassa “sui nostri risparmi” rilanciata da Enrico Letta. Berlusconi assicura: “Non approveremo mai, in modo assoluto, un’imposta patrimoniale sulla casa, un’imposta patrimoniale sui risparmi, un’imposta sulle successioni e sulle donazioni”.
Silenzio assoluto, invece, sulla “gara” per la presidenza del Consiglio: per FI la questione sembra relegata alle solite schermaglie fra gli alleati più giovani, acuite ora dai tempi stretti della campagna elettorale. Per gli azzurri, il nome in pole per Palazzo Chigi sarebbe quello di Antonio Tajani, ex presidente del Parlamento europeo e forte della ‘benedizione” del Ppe fuori dall’Italia. Posizione diversa per la Lega e il suo ‘capitano’ che non rivela la scelta del candidato premier – se superasse FdI nei voti fra un mese – ma nemmeno nasconde la l’ambizione di essere pronto ad assumersi “l’onore e l’onere di prendere per mano questo Paese”.
Nel frattempo, la coalizione va avanti sul programma e la partita dovrebbe chiudersi in settimana.
“Io l’ho letto, è sostanzialmente pronto al 99%, tranne qualche limatura”, spiega Salvini. Ed elenca – alla voce sicurezza – quei decreti che portano la sua firma da ministro dell’Interno e voluti per arginare gli sbarchi dei migranti che il leghista definisce “assolutamente efficaci”. Bastano quelli – sembra dire a Meloni – anziché il blocco navale su cui però la leader Fdi resta ferma, essendo “la soluzione migliore”, ripete. Ma per ora nessuno scontro aperto fra i leader.
Un nuovo vertice fra i big dovrebbe esserci dopo Ferragosto. Al contrario, le acque sono ancora agitate sulla ripartizione dei collegi elettorali dopo le recenti mosse dei “centristi” e il patto tra l’Udc e Coraggio Italia. In ballo ci sarebbero i collegi per l’Udc, inizialmente ‘presi in carico’ da FI e ora in via di definizione, per valutare se il partito di Lorenzo Cesa dovrebbe rientrare negli 11 ‘posti’ assegnati a luglio alla formazione di Maurizio Lupi e Luigi Brugnaro. FdI sarebbe pronta a ‘cedere’ altri 2 collegi e metterli a disposizione dei ‘piccoli’, ma la partita non è chiusa.
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