CHIETI – ‘Non volevo fuggire, i bagagli pronti erano per il carcere’. È quanto avrebbe detto Giovanni Carbone questa mattina, nel carcere di Lanciano dove è rinchiuso dopo aver ucciso la moglie Eliana Maiori Caratella, 41 anni, con un colpo di pistola alla testa intorno alle 8 dello scorso 19 dicembre a Miglianico.
Questa mattina in carcere si è recato il suo difensore di fiducia, l’avvocato Franca Zuccarini, nel corso dell’interrogatorio di convalida svoltosi in video conferenza con il Gip del Tribunale di Chieti, Luca De Ninis.
Carbone avrebbe anche detto di aver acquistato la pistola per difesa personale e che non aveva intenzione di fuggire: aveva preparato un paio di bagagli perché sapeva che una volta costituito, lo avrebbero arrestato. Il giudice si è riservato l’ordinanza. Carbone è accusato di omicidio volontario, di detenzione e porto illegale della pistola in luogo pubblico e di ricettazione dell’arma stessa.
Le accuse sono pesantissime a carico di questo 39enne pugliese, persona nota alle forze dell’ordine, visto che il il pm Marika Ponziani contesta l’omicidio volontario, e poi l’aggravante di aver, al fine di commettere il delitto, detenuto e portato illegalmente, una pistola di marca Beretta calibro 9 per 21. E la ricettazione dell’arma, in quanto provento di furto, con la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale.
Ieri anche la notizia di una denuncia per minacce. Insomma ci sono tutti gli elementi per arrivare a una condanna all’ergastolo per questo femminicidio.
Oggi l’indagato, se non si avvarrà della facoltà di non rispondere, potrebbe spiegare il reale movente del gesto che secondo gli investigatori risiede nella probabile decisione della vittima di troncare la relazione con quell’uomo, di cui inizialmente non aveva capito la natura estremamente violenta, forse affiorata solo in un secondo momento.
“Una cosa è certa: ha fallito ancora una volta lo Stato”. E’ quanto afferma la Presidente della Commissione Pari Opportunità della Regione, Maria Franca D’Agostino commentando il delitto. “Non ho voluto finora rilasciare dichiarazioni – prosegue – in quanto ho ritenuto doveroso accertarmi di quanto accaduto. Mi risulta risalire a un anno fa una denuncia nei confronti del 39enne, avente ad oggetto una minaccia con arma da fuoco che lo stesso aveva fatto nei confronti dei querelanti, denuncia che non sembra aver avuto seguito.
“Mi chiedo come mai l’uomo continuasse a detenere l’arma nonostante, come apparso su alcuni organi di stampa, avesse vari precedenti penali: aveva forse un regolare porto d’armi e se è così, come mai a seguito della denuncia questo non era stato revocato?”.
“Mi chiedo, inoltre – continua l’avv. D’Agostino – che ruolo abbiano avuto i servizi sociali in tutto questo. Voglio augurarmi che gli stessi non fossero stati informati dalla vittima di episodi di violenza, anche se, considerata la specificità della materia, qualora ciò fosse avvenuto, non sarebbe stata di loro competenza la gestione del caso. Competenza che, invece, in Italia è dei centri antiviolenza (Cav) con i quali i servizi sociali dovrebbero rapportarsi. In Abruzzo esistono 13 centri antiviolenza riconosciuti, ma ci sono, anche associazioni che si presentano come Cav senza averne titolo”
” Il legislatore”. ha aggiunto, “ha ritenuto che i centri antiviolenza abbiano requisiti tassativi per poter essere considerati tali, proprio per la delicatezza della materia, e non è più tollerabile che una donna che si rivolge a un centro antiviolenza per essere supportata non lo sia per l’incompetenza di chi, invece, dovrebbe sostenerla e supportarla nel percorso di “rinascita”. Sicuramente nell’attuale ordinamento che coinvolge la gestione della conflittualità nei rapporti famigliari e nelle famiglie allargate, come nella vicenda di Miglianico, esiste un Vulnus che è necessario sanare”.
“Al riguardo” conclude, “ho provveduto a convocare una riunione della Commissione Pari Opportunità della Regione per giovedì 22 , anche per discutere proposte di legge e/o protocolli da portare in Consiglio Regionale e in sede nazionale, anche in collaborazione con il Garante regionale dell’Infanzia”.
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