“FERMARE PRIVATIZZAZIONE SANITA’ ANCHE IN ABRUZZO”. MASSIMINI-DE AMICIS, “SALUTE NON E’ UNA MERCE”

8 Gennaio 2023 09:25

Italia - Lavoro, Politica, Sanità

Da Tina Massimini e Alfonso De Amicis, esponenti della sinistra antagonista aquilana, riceviamo e pubblichiamo.

L’AQUILA – Qual è la causa principale che sta dietro la demolizione delle principali strutture sanitarie anche nel nostro territorio?

Questa è la domanda necessaria da porsi. E la nostra risposta è che alla base di tutto c’è il processo di aziendalizzazione della sanità pubblica, processo che fa della malattia una merce e che nella logica privatistica subordina la salute ai bilanci aziendali.





Riteniamo sia fuori da ogni dubbio che la nostra salute è da anni sul mercato, in un sistema sempre più spietato nel quale le risorse per il pubblico vengono continuamente falcidiate a vantaggio del profitto privato.

Ricordiamo che nel dicembre del 1996 venne firmato l’accordo Stato-Regioni sui requisiti di accreditamento delle strutture sanitarie, che viene recepito dal Governo guidato da Romano Prodi – ministro della Sanità Rosy Bindi – che costituisce la vera pietra miliare della privatizzazione della sanità nel nostro Paese. In questo decreto vengono approvati “i requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi richiesti per l’esercizio delle attività sanitarie delle strutture pubbliche e private”.

In sostanza viene ratificata la filosofia dei decreti precedenti: pubblico e privato sono sullo stesso piano. E non può che mettere tristezza leggere in quel decreto che “il regime di concorrenzialità tra strutture pubbliche e private debba essere finalizzato alla qualità delle prestazioni sanitarie e si svolga secondo il criterio dell’uguaglianza dei diritti e dei doveri delle diverse strutture, quale presupposto per la libera scelta dell’assistito”.

Nella realtà, è evidente, questo regime di concorrenzialità non è mai esistito: il servizio pubblico è sempre stato soggetto alla tagliola delle finanziarie (basti pensare alle difficoltà di acquisire nuove strumentazioni, al taglio del personale medico, sanitario e amministrativo e alla costosissima esternalizzazione dei servizi), mentre il privato, sulla base proprio delle richieste che il pubblico non riesce più a evadere, ha costruito le sue fortune. Ed è altrettanto evidente che la sanità pubblica non possa essere equiparata alla sanità privata la quale, nella sua logica privatistica, subordina la salute ai bilanci aziendali.





Il meccanismo di cui abbiamo parlato, iniziato nel 1996, si è perfezionato – in senso peggiorativo – grazie alla modifica costituzionale del Titolo V del 2001 a cura del governo di centrosinistra guidato da Giuliano Amato. Con questa riforma, la sanità è stata regionalizzata creando 21 aziende sanitarie diverse senza, peraltro, migliorare la qualità della vita dei cittadini. In compenso si è registrato un deciso aumento della spesa pubblica rispetto al passato per cui lo Stato ha “reagito” con nuove tasse e con tagli lineari.

Chi ci rimette, allora, in questo tipo di politica? In generale tutti i cittadini ed in particolare gli abitanti dei territori dell’Appennino. Bisogna prendere atto che, se non si azzera poiché non riformabile, l’impianto normativo iniziato con la Bindi e confermato da tutti i successivi governi, il futuro del sistema sanitario nazionale, in quanto servizio pubblico, è drammaticamente segnato.

Nell’attesa che si cancelli il concetto di “Azienda” e si ritorni ad una organizzazione sanitaria nazionale, universalistica e pubblica, proponiamo una serie di provvedimenti: valorizzare e implementare la sanità pubblica potenziando il numero del personale di Pronto Soccorso e di tutti i reparti con assunzioni qualificate e a tempo indeterminato, senza più fare ricorso alle esternalizzazioni; eliminare il numero chiuso per la facoltà di Medicina; stabilizzare ed internalizzare, come ad esempio accaduto in Puglia, i lavoratori che sono utilizzati per molteplici funzioni tramite le cooperative; aumentare i presidi, anche recuperando le vecchie strutture, per la realizzazione della “medicina del territorio” che tanto è mancata in occasione della pandemia.

Ma è possibile fare tutto questo uscendo senza se e senza ma dalla logica della sanità gestita come un’azienda, per evitare, nell’ambito della impostazione neoliberista che ci impone l’Unione Europea, di finire come negli Stati Uniti, dove i disastri della privatizzazione della sanità non vengono visti soltanto da chi non li vuole vedere.

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