L’AQUILA – E se la madre di tutte le battaglie, l’epocale abolizione retroattiva delle leggi mancia sia sostanzialmente inutile, perché tanto quei 22 milioni distribuiti a piene mani e da tutti i consiglieri nella manovra di bilancio di fine 2023 non potranno essere in alcun modo erogati comunque?
Davanti a questo interrogativo, più di un alto dirigente regionale non ha dubbi, e la sua risposta è affermativa: ad ad impedire l’erogazione sarebbe l’intervento della Corte dei conti, e ancor prima del tavolo di monitoraggio del Ministero della Sanità.
E questo perché quei fondi sono stati solo “promessi”, e condizionati alle “maggiori entrate tributarie ed extratributarie”. E chi ha contezza della disastrosa situazione finanziaria delle casse regionali, a causa dell’esplosione del debito sanitario, che quest’anno potrebbe arrivare ai 200 milioni, fa osservare che tutto quello che eventualmente si potrà registrare come maggiore entrata non potrà essere certo speso per feste, sagre e piccoli interventi non prioritari. Ma appunto per coprire il buco della sanità.
Eppure a tenere banco, in questa calda estate politica, e a connotare l’offensiva in consiglio regionale lanciata dalle opposizioni del campo largo e in prima persona dal consigliere già candidato presidente, il professor Luciano D’Amico, è proprio l’abolizione dei famigerati 22 milioni di fondi a pioggia elargiti a piene mani e a totale discrezione da tutti i consiglieri regionali, previo accordo bipartisan, con gli emendamenti appiccicati notte tempo a fine dicembre scorso, a beneficio di oltre 2.300 tra comuni, associazioni, proloco, eventi e iniziative ludiche e culturali. L’emendamento di cancellazione doveva essere presentato nella seduta di martedì, poi si è deciso di rinviare il tutto a dopo le vacanze, nella seduta del 27 agosto.
A brandire la mannaia contro il “malcostume” delle leggi mancia, anche i consiglieri del centrosinistra rieletti il 10 marzo, che come i colleghi del centrodestra di Marco Marsilio di Fdi, riconfermato per uno storico mandato, hanno avuto il loro budget da distribuire a piacimento a vantaggio dei propri collegi elettorali e bacini di consenso. E anche questo è stato determinate per la loro rielezione.
E c’è dunque chi maligna all’Emiciclo, è proprio la consapevolezza che quei fondi non arriveranno mai ai beneficiari, ad essere l’elemento determinante che ha spinto ad accettare di buon grado la linea dura imposta dal professor D’Amico, ligio ad uno dei punti centrali della sua campagna elettorale, ovvero la cancellazione della legge mancia del 2023, retroattivamente e senza eccezione alcuna. Come a dire: tanto la figuraccia con le associazioni e comuni amici sarà comunque assicurata. E allora tanto vale imbracciare la bandiera della sobrietà politica e della lotta all'”amichettismo”, per usare un termine coniato dal deputato dem Luciano D’Alfonso.
Del resto, lo scenario contabile e dunque dell’azione politica della Regione Abruzzo è completamente mutato, ora che c’è da affrontare il macigno enorme del debito sanitario.
Restando ai numeri forniti dagli stessi direttori generali delle quattro Asl, obbligati a presentare piani di rientro, (tutti rispediti al mittente per non poche criticità dall’assessore regionale alla Salute, Nicoletta Verì, non eletta nella lista del presidente e riconfermata come esterna), a dicembre prossimo il debito complessivo sarà nella migliore delle ipotesi, con il risanamento coronato da successo, di 109 milioni, nella peggiore delle ipotesi si avvicinerà alla cifra monstre di 200 milioni. In ogni caso un salasso. Anche perché poi bisognerà pure rimettere in cassa i fondi temporaneamente sottratti dal Tfr dei dipendenti regionali, e delle imposte regionali da girare al governo, utilizzati una tantum nel piano di rientro approvato nel consiglio regionali di giugno, per coprire parte dei 122 milioni di euro di debito sanitario macinato nel 2023.
E sarà davvero difficile onorare ora tutti quei piccoli impegni di spesa dei fondi a pioggia. Anche perché, questo ragionamento del burocrati ed anche dei consiglieri consapevoli della gravità della situazione, tutto ciò che potrà essere risparmiato o incassato in aggiunta, non potrà che andare al capitolo sanità, se si vuole evitare il commissariamento da cui l’Abruzzo è faticosamente uscito nel 2016, dopo anni di tagli e risparmi, e l’aumento ai massimi consentiti delle tasse regionali.
In caso contrario la Corte dei Conti è lì in agguato, assieme al tavolo di monitoraggio, che seppure espressione del governo amico di centrodestra di Giorgia Meloni, non potrà fare sconti all’Abruzzo di Marsilio, perché i numeri sono numeri, a maggior ragione in un Paese gravato da un debito pubblico tra i più alti in Europa.
C’è anche chi osserva che il provvedimento della legge mancia è in sé giuridicamente debole, anzi per qualcuno addirittura illegittimo. Perché come recita l’articolo 81 della Costituzione, “ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”, e non possono esserci coperture solo ipotetiche ed eventuali. E di fatto la famigerata legge mancia abruzzese non aveva una copertura certa, tanto che nella legge di Bilancio approvata a dicembre, si scrive a chiare lettere che per essa “si provvede con le risorse derivanti dall’accertamento delle maggiori entrate tributarie ed extra-tributarie, ovvero dai trasferimenti erariali compensativi, ovvero ancora dalle maggiori stime di entrata disponibili”.
In tempi di vacche grasse provvedimenti del genere passerebbero senza problemi anche perché il profilo di incostituzionalità emerge solo se il Consiglio dei Ministri impugna la legge regionale, e negli anni non è mai avvenuto, né in Abruzzo né in altre regioni, abituate ad utilizzare questa modalità di distribuzione dei soldi pubblici per le vie brevi. Ma in una regione come l’Abruzzo sull’orlo del commissariamento per l’eccessivo debito sanitario, lo scenario sarebbe ben diverso.
A rimanere, “cornuti e mazziati”, saranno così i beneficiari di quei fondi a pioggia, oltre 2.300 tra associazioni culturali, sportive, di volontariato, di protezione civile, organizzatrici di piccoli eventi di ogni genere, come convegni, sagre e feste padronali, e ancora parrocchie, circoli nautici, centri studio, bocciofile, Pro loco, bande musicali, comitati feste e anche tanti Comuni, ma non tutti, per opere pubbliche di non alto importo.
Tutte realtà che su quei fondi, anche per poche migliaia di euro, contavano per portare avanti le loro meritorie attività e che magari hanno già anticipato l’importo.
Ma per loro è preclusa anche la strada di eventuali ricorsi. Visto che non ci sono comunicazioni ufficiali e formali dell’erogazione da parte degli uffici regionali. Ma solo appunto una legge regionale che condiziona il finanziamento, come detto, alle maggiori entrate e eventuali risparmi. In ultima analisi, c’è ad oggi solo la parola, che non ha cogenza giuridica, dei consiglieri firmatari degli emendamenti, che avevano garantito che quei soldi sarebbero comunque arrivati, a maggior ragione se rieletti. Un po’ poco, anzi nulla, per fare causa alla Regione.
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