L’AQUILA – “Le truffe sono solo una parte di un sistema malato ben più complesso che riguarda pratiche consentite che vengono attuate con meccanismi perversi, al limite della legge, e che provocano danni economici e sociali alle nostre montagne. Il processo è sicuramente lungo e articolato, perché bisognerebbe partire cambiando la normativa europea, ma è necessaria una forte iniziativa politica”.
A lanciare l’appello in una forte testimonianza è un giovane allevatore dell’Aquilano che preferisce mantenere l’anonimato, per timore di ritorsioni, intervistato da AbruzzoWeb il giorno dopo l’inchiesta che ha portato al sequestro preventivo per 17,2 milioni di euro e alla denuncia alla Procura Europea di Venezia, per associazione a delinquere e truffa aggravata, di 48 imprenditori agricoli ritenuti responsabili di aver realizzato un articolato sistema di frode per beneficiare indebitamente, tra il 2017 e il 2022, di contributi del Fondo Europeo Agricolo di Garanzia per oltre 20 milioni di euro. (Qui il link)
Tra gli indagati, domiciliati in tutta Italia, anche imprenditori dell’Aquilano, dove la sentita grave problematica della cosiddetta “mafia dei pascoli” nel 2023, dopo due anni di indagini, ha già fatto scattare la maxi–operazione “Transumanza”, condotta dalla Guardia di Finanza di Pescara, diretta e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia (D.D.A.) della Procura dell’Aquila. L’Abruzzo, infatti, è la regione d’Italia con il maggior numero di terre destinate al pascolo, gestite dai Comuni che attraverso delle aste le dovrebbero mettere a disposizione degli allevatori locali per far pascolare gli animali, ma da diversi anni i terreni di questa regione vanno quasi esclusivamente a imprenditori del nord.
Spiega il giovane allevatore: “Il meccanismo noto come ‘mafia dei pascoli’ si origina con lo spregiudicato utilizzo di norme europee e nazionali, che prevedono l’erogazione di contributi per chi fa mero pascolamento, in base a titoli, di valore variabile, da calare su ciascun ettaro di pascolo. Titoli che, in base a vari meccanismi, può arrivare anche a 2mila euro a ettaro. Sono milioni di euro che vengono erogati come contributi, senza che si debba produrre nulla – carne, latte, lana – ma solo tenendo animali al pascolo, anche malati. Non si premia paradossalmente la competitività, l’imprenditorialità, la rendita”.
Un fenomeno per il quale nel tempo, nell’ambito del monitoraggio sul rischio di infiltrazioni criminali nel settore dell’agricoltura e della pastorizia, è stata disposta l’adozione di misure specifiche attraverso un’articolata attività istruttoria del Gruppo Interforze Antimafia con l’applicazione di un sistema di vigilanza prescrittiva esterna sull’organizzazione aziendale delle imprese. Nei mesi scorsi il prefetto, Giancarlo Di Vincenzo, ha adottato sei misure di prevenzione collaborativa, ciascuna della durata di sei mesi, nei confronti di altrettante imprese, individuali e collettive, attive nella provincia dell’Aquila.
“Per accedere ai contributi è necessario il semplice mantenimento degli ambienti a pascolo – sottolinea l’allevatore – questo perché l’Europa incentiva la tutela dell’ambiente a pascolo e, visto che è poco conveniente svolgere queste attività, mette a disposizione contributi per consentirne il mantenimento”.
“Accade così – aggiunge – che c’è chi affitta grandi superfici di pascolo, dichiarando di portare gli animali solo per poter ottenere i finanziamenti europei, ma gli animali si tengono in stalla. I Comuni nel tempo hanno cominciato ad attenzionare la questione attraverso controlli, e allora si è verificato un altro fenomeno: hanno iniziato a portare al pascolo solo animali di ‘copertura’, come asini comprati a 100-200 euro a capo, mucche e pecore a fine carriera, improduttive e talvolta malate, da buttare sulle le montagne, mettendoci un custode, ma anche lasciando questi animali incustoditi”.
“Il punto – sottolinea – è che molte di queste società non hanno problemi di soldi: i titoli sono come un assegno che si posizione sopra un ettaro di terreno a pascolo, e dà diritto a contributi pubblici. Non tutti i titoli hanno lo stesso valore, dipende dall’attiva agricola, dal tipo di coltura, dal valore che era stato deciso per chi ai tempi era rimasto vittima della vicenda delle quote latte e ottenne i titoli come una sorta di risarcimento. Insomma, ci sono tante variabili, un titolo calato su un ettaro vale in media 160 euro, ma può arrivare anche a 2.000 euro. È chiaro dunque che chi ha titoli più pesanti, di solito società del Nord, dove c’è agricoltura industriale ed intensiva, è molto più competitivo, rispetto a un piccolo agricoltore locale. Ecco spiegata l’invasione da altre regioni. Nel 2014 c’è stata una riassegnazione dei titoli ed è partita, questa una buona notizia, una convergenza, stanno cercano di portare tutti i titoli pascolo ad uno stesso valore”.
Prosegue l’allevatore: “Poi queste aziende arrivano, trovano magari un agricoltore locale, che ha una stalla libera, e gli dicono: ‘io ti porto 50 asini, tu tienili in stalla per due mesi’, i tempi minimi di pascolamento secondo la normativa. Così il proprietario guadagna qualche soldo e loro i contributi per aver tenuto in stalla due mesi una cinquantina di asini, senza aver prodotto nulla”.
“Quando i Comuni hanno cominciato ad intervenire, dando precedenza alle aziende locali, in qualche modo ai residenti, allora le aziende di fuori hanno cominciato a fare false residenze, a cercare prestanome, con chi poi si è ritrovato nei guai dopo essersi fatto ingolosire dal guadagno facile. In altri casi si sono ritrovati animali in stalla per i quali non era stato pagato l’affitto, non hanno ricevuti i soldi promessi. Si è instaurato una sorta di conflitto di gestione del sistema che è di fatto ‘malavitoso'”.
“Così si inquina tutto – avverte l’allevatore -: sono state anche le aziende locali che hanno cercato di adeguarsi. Il punto è che, in questo modo, il sistema è malato, perché non si premia la produttività. Se ho 100 capi generici e a fine anno non produco niente, li uso soltanto per tenerli al pascolo, vengo premiato alla pari di un’azienda che ha 100 capi e produce, crea lavoro, indotto, fa davvero agrifood”.
“Quindi non serve più produrre un quintale di formaggio – osserva -, non devo essere un bravo allevatore. È più bravo chi si approfitta di questo meccanismo malato”.
Un’unica soluzione: “Cambiare le leggi. Nel tempo hanno lavorato per degli adeguamenti ma è necessaria la reale attenzione della politica, la concreta volontà di cambiare le cose”, conclude.
“IL SISTEMA MALATO” DEI PASCOLI: ALLEVATORE, “DANNI ECONOMICI E SOCIALI, CAMBIARE LEGGI”L'AQUILA - "Le truffe sono solo una parte di un sistema malato ben più complesso che riguarda pratiche consentite che vengono attuate con meccanismi ...









