L’AQUILA – La politica in campagna elettorale, come è giusto che sia, promette ricette, più o meno miracolose, per il rilancio o l’ulteriore sviluppo economico, sociale, grandi infrastrutture, a comunicarle oramai dalla leggendaria velocizzazione della ferrovia Pescara-Roma, politiche finalmente, o ancor di più incisive per evitare lo spopolamento delle aree interne e dei paesi di montagna.
Poi ci sono i dati snocciolati dal ricercatore indipendente Aldo Ronci, che applicando all’Abruzzo le metodologie per calcolare gli andamenti demografici, sostiene che tra 19 anni, nel 2041 la regione passerà da 1.272.627 abitanti attuali, a 1.166.562 registrando un decremento di 106.065 abitanti, con una flessione dell’ 8,33% con un’intensità pari al doppio di quella dell’Italia che sarà del 4,83%.
Ma non solo, il dato che deve davvero allarmare è che in realtà la decrescita riguarda per 200.000 abitanti di età compresa tra 0 e 64 anni, mentre dall’altra parte ci sarà la crescita di 100.000 abitanti di età di 65 anni e oltre. Insomma 200mila persone in meno in età ancora lavorativa e produttiva, pari a quelli di una città come Pescara, e ancora più anziani che comportano una spesa sanitaria e sociale ancor maggiore, visto che l’età media,. per fortuna supera oramai gli 81 anni.
E con 100.000 abitanti persi l’Abruzzo tornerà indietro di un secolo, alla situazione demografica del 1925.
Abruzzoweb ha affrontato il tema con l’economista Nicola Mattoscio, per il quale, anche in Abruzzo, “la crisi demografica avrà pesanti ripercussioni sotto il profilo della crescita, del benessere, della tenuta del welfare state e del sistema pensionistico. Occorre dunque già da ora ripensare il sistema economico nel suo complesso, come pure la vocazione delle aree interne, le più soggette a spopolamento, che possono avere un futuro solo con una integrazione forte, sistemica, con le aree costiere e di pianura, quelle a maggior prodotto interno lordo”.
E ha aggiunto: “finora i modelli previdenziali sono definiti sotto il profilo tecnico e scientifico sulla base del lavoro di ricerca del nostro premio Nobel Mario Modigliani, ovvero sulla base dell’equilibrio intergenerazionale, sul risparmio delle giovani generazioni che devono finanziare i consumi delle generazioni anziane, che non solo non risparmiano più, ma che consumano non contribuendo più all’attività di produzione. Ora quel modello non regge più, andrà seppellito e pensare al altro”.
Venendo dunque allo studio: “l’indice di dipendenza strutturale, che è senz’altro il più importante, rappresenta il carico sociale ed economico della popolazione non attiva, ovvero da 0 a 14 anni e oltre i 65 anni su quella attiva, da 15 a 64 anni, passerà dal 59% odierno ad un indice dell’83%, cumulando uno spread di 24 punti percentuali mentre l’Italia, in media non supererà il 79%, cumulando uno spread di 22 punti percentuali. L’indice strutturale abruzzese dell’83% è un peso notevolissimo che la popolazione non attiva esercita su quella attiva. È un peso che deve far riflettere e non solo l’Abruzzo ma anche l’Italia che, con il 79%, non è molto distante”.
Focalizzando poi l’attenzione sulle città principali, secondo in calcoli demografici dell’economista, l’unico capoluogo che registrerà una crescita sarà L’Aquila che passerà da 69.659 abitanti a 70.809 1.150, con un incremento piccolo ma in controtendenza del +1,65%
Negli altri capoluoghi le flessioni saranno a Pescara di 4.520 abitanti (- 3,8%), a Teramo di 6.245 abiranti, (- 13%), a Chieti di 6.037 abitanti (‐12,4%).
Fino al 2041 tra i comuni con più di 15.000 abitanti cresceranno soltanto Martinsicuro (+626) e Silvi (+7).
Per il resto si prevedono flessioni più o meno pesanti. Record negativo per Sulmona che si pone all’ultimo posto della graduatoria sia per valori assoluti che per quelli percentuali e che nel 2041 perderà un quarto della popolazione si attesterà sui 16.744 abitanti, rispetto agli attuali 22.388. Tale valore riporterà Sulmona indietro di un secolo e mezzo.
Ronci auspica dunque, “una mobilitazione sentita, partecipata, efficace ed unitaria per porre con forza al centro dell’attenzione della regione provvedimenti che tentino di bloccare e superare lo
spopolamento, le cui cause sono la mancanza di occupazione, e il peggioramento della qualità e della quantità dei servizi a disposizione dei cittadini”.
Ragion per cui per l’economista, sin da subito, “la Regione Abruzzo deve destinare energie e risorse che realizzino il miglioramento della competitività delle imprese che hanno bisogno di aiuto per superare i limiti all’interno dei quali sono storicamente costrette, si può istituire un Centro Regionale per l’Innovazione che abbia il compito di proporre nuovi prodotti e nuovi processi produttivi, fornire gli strumenti conoscitivi necessari, favorire la comunicazione tra imprese, introdurre un sistema di conoscenza delle problematiche dell’innovazione attraverso una diffusione capillare di esse, e assicurare sostegno nella definizione di obiettivi realistici e strategie praticabili”.
Infine, “si devono evitare provvedimenti occasionali legati alla funesta logica particolaristica praticata da decenni senza risultati apprezzabili, bisogna adottare una metodologia programmatoria che elabori un progetto che attivi uno sviluppo Regionale armonico e che faccia sì che tutti gli interventi e le risorse siano coerenti con quel progetto”.
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