CASTEL DEL MONTE – Paesaggi senza tempo, pecore e stazzi lungo le vie d’erba che furono i tratturi della transumanza, dall’Abruzzo alla Puglia. Volti e sguardi, duri e gentili, di chi si ostina nel terzo millennio a fare il pastore, con passione e onestà. Nonostante i costi di produzione alle stelle, la carne e il latte acquistati a prezzi di strozzinaggio dalla grande distribuzione, nonostante l’avellano che non viene raccolto più dai figli, e le ombre inquietanti della cosiddetta mafia dei pascoli, che specula sui finanziamenti europei. Sguardi che si consumano nell’arco di un instante, intimi e distanti, di un grande fotografo tedesco, Herbert Grabe, innamorato delle montagne dell’Appennino, sincero amico di grandi pastori che non ci sono più.
“Sono convinto che la pastorizia in Abruzzo non sia un ricordo del passato. Per me, è proprio il lavoro nelle piccole strutture al di là della globalizzazione e dell’industrializzazione a essere promettente per il futuro e, in questo senso, anche molto moderno”, confida ad Abruzzoweb.
I suoi scatti sono stati messi in mostra a Castel del Monte, in provincia dell’Aquila, nel locale Taverna, appartenente alla chiesa di Santa Caterina, inaugurato alla presenza di una trentina di viaggiatori tedeschi, nell’ambito di un programma di viaggio promosso dal fotografo tedesco, che è anche un tour operator di Erde und wind (Terra e Vento), specializzata in cammini a piedi, laddove è possibile coniugare ambiente, natura, storia e cultura.
La rassegna di foto completa, con settanta scatti in bianco e nero che raccontano la ricerca di tracce della millenaria civiltà pastorale, si trovano al Museo Forestale del Parco Nazionale della Foresta Bavarese a St. Oswald nella mostra “Gesichter und landshaften in den abruzzen – Volti e paesaggi in Abruzzo”.
La mostra assume oggi una preziosa valenza: ricordare chi è recentemente scomparso, come Giulio Petronio, di Castel del Monte, la cui foto apre la mostra, e Gregorio Rotolo, di Scanno, entrambi amici da tempo del fotografo tedesco, come pure chi ci ha lasciati nel 2020, Paolino Sanelli, di Decontra-Caramanico, anche lui andato, piace pensare, sui pascoli celesti.
“Giulio Petronio – si avvia sui sentieri del ricordo Grabe -, è stato uno dei grandi pastori d‘Abruzzo, gestiva da decenni la sua azienda agricola in modo biologico. Con 2300 pecore produceva pecorino e carne, con gli animali fatti pascolare sotto Castel del Monte fino a Campo Imperatore. Era sposato, uno dei suoi due figli lavora nella fattoria. Giulio è morto a Milano nel febbraio 2022 dopo un‘operazione al cuore. Suo figlio continua a gestire la fattoria. Rappresentava tutto ciò che c‘era di buono nella pastorizia e nel lavoro rurale. I suoi prodotti sono molto apprezzati, la sua conoscenza delle tradizioni secolari ha plasmato le sue attività nell‘epoca moderna. Era saggio e istruito, un conservatore e un esperto culturale e ci mancherà”.
E’ la volta di Gregorio Rotolo: “Era un combattente appassionato per i diritti dei pastori e per una gestione naturale dei pascoli. La sua famiglia è una delle vecchie famiglie del luogo, nonostante il nome che allude alle radici in Sicilia. Il suo formaggio, ‘il Gregoriano’, è diventato un nome familiare, non solo in Abruzzo. Non è solo a Scanno che si dice ‘scamorza di mucca, formaggio di pecora, ricotta di capra’. Era è un gigante di uomo, forte come un orso, ma il suo cuore era grande ed è disponibile quando ne hai bisogno. Quando ho trascorso una giornata con lui nella sua jeep nel 2015 e mi ha mostrato le zone dei suoi pascoli di pecore, ho desiderato che la nostra escursione potesse durare settimane”.
Altre foto immortalano invece, tra i vivi e vegeti, Donato Mucciante, classe 1931, pastore anche lui di Castel del Monte.
“Donato è andato a scuola nel suo paese natale fino alla quarta elementare, poi è diventato pastore. Ogni autunno andava in Puglia con il suo gregge di 600 pecore, tornando all‘inizio dell‘estate. Solo negli anni di guerra del 1942 e 1943 fu costretto a non partecipare. Dagli anni 50 in poi, la transumanza a piedi finì, e pecore e pastori furono portati in treno dalle stazioni di Bussi via Chieti fino alla Puglia. Nel 1955 Cristina e lui si sposarono, e nel 1976 comprarono una casa borghese nel centro del paese, con molte stanze e affreschi ovunque“, in cui vivono ancora
oggi. Nel 1987, a 56 anni, Donato vendette il gregge di pecore. Quando li ho visitati e fotografati nel 2019, Cristina stava modellando la pasta per il pranzo, pasta spontanea, e Donato stava servendo un bicchiere di amaro in salotto. Le bottiglie di alcolici del suo piccolo bar di casa erano sul piano di cottura di un grande forno americano in disuso, molto antico. Sulle pareti, non solo affreschi, ma anche molte immagini. Ha citato la poesia del pastore di Gabriele D‘Annunzio con voce appassionata”.
Alla domanda “Cosa è per lei una bella fotografia, cosa deve esprimere, e cosa deve evitare?”, Grable si limita a rispondere: “Per me la cosa più importante è che una foto tocchi me e il mio pubblico. La bellezza è difficile da descrivere. La fotografia in bianco e nero è un mezzo di espressione artistica in un mondo in cui miliardi di immagini a colori vengono caricate ogni giorno sul web in modo inflazionato tramite Instagram. Naturalmente, questo è dovuto anche al fatto che il bianco e nero riduce lo spettatore all’essenziale e provoca una concentrazione sull’essenziale. È un tipo di fotografia radicale e non ammette compromessi. Mi piace. Non lo considero affatto un espediente stilistico antiquato”.
“Visito l’Abruzzo dagli anni Ottanta – racconta ancora – e viaggio con i gruppi dalla metà degli anni Novanta. in questo lungo periodo, ho sempre sentito il bisogno di imparare, di conoscere la gente e la terra, di interrogarmi e di capire le particolarità della regione. Probabilmente è stata una buona amica a dare l’impulso quando ha detto: le montagne d’Abruzzo sarebbero inimmaginabili per lei senza le pecore. Concordo. Nel 1998 ho fotografato il primo pastore, Nunzio Marcelli. Seguono altre personalità, i pastori rappresentano per me un’autentica simbiosi tra la cultura e la natura della terra. Forse è anche una ricerca di modelli della vecchia Italia, nella tradizione descritta da Pierpaolo Pasolini e soprattutto da Carlo Levi. Anche il lavoro di Carlo Ginzburg è per me uno stimolo. Ginzburg è molto legato all’Abruzzo, del resto, quando la sua famiglia era esiliata con lui a Pizzoli. Si occupa di microstoria, cioè osserva la storia contemporanea nelle sue piccole strutture e poi trae conclusioni sull’insieme. Il declino della pastorizia, che ovviamente percepisco anch’io, è un motivo minore, ma focalizza l’importanza del mio progetto”.
Foto gentilmente concesse da Herbert Grabe
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