INCHIESTA COVID, CTS: “I NUMERI NON DEVONO ARRIVARE AI MEDIA”

9 Marzo 2023 15:37

Italia - Sanità

MILANO – “Massima cautela nella diffusione del documento onde evitare che i numeri arrivino alla stampa”.

Lo scriveva il Comitato tecnico scientifico il 24 febbraio 2020, quando dopo il primo caso a Codogno la pandemia Covid era ufficialmente scoppiata, facendo riferimento al “piano di organizzazione della risposta dell’Italia in caso di epidemia”, che si avvaleva dello studio sugli scenari “devastanti” del contagio che in quel periodo veniva “completato” da Stefano Merler, consulente epidemiologo della Fondazione Kessler.

Nell’inchiesta di Bergamo sulla gestione della pandemia, che vede tra gli indagati l’ex premier Giuseppe Conte e l’ex ministro della Salute Roberto Speranza, gli inquirenti hanno acquisito tutti i verbali del Cts, da cui emerge, oltre alla ‘segretazione’ di quel piano già stigmatizzata nella consulenza ai pm di Andrea Crisanti, anche la drammaticità di quei giorni.





In quel periodo, stando a quanto risulta sempre dal verbale del 24 febbraio, il Comitato raccomandava “l’esecuzione dei tamponi” solo per i “casi sintomatici”, perché le “comunicazioni di positività non associate a sintomi determinano una sovrastima del fenomeno sul Paese”.

Il 4 marzo un altro verbale, invece, dà conto “che il flusso informativo dei dati dal territorio continua a presentare forti criticità che impediscono e rallentano la corretta analisi epidemiologica e di conseguenza le azioni in risposta ai bisogni urgenti delle strutture sanitarie”.

E il giorno prima, si legge in un altro verbale agli atti, i tecnici scrivevano che “salvo 6 ventilatori (polmonari, ndr) da trasporto, le apparecchiature attualmente disponibili per l’acquisto non offrono tutte le garanzie” per tamponare “l’emergenza in corso”.

Tra gli allegati ai verbali del Cts anche una lettera del 5 marzo di Agostino Miozzo, componente del Comitato, indirizzata al ministro Speranza, nella quale il primo si lamentava delle “notizie diffuse ieri in merito al parere richiesto” allo stesso Cts sulla “ipotesi di chiudere le scuole”.





E a proposito di questa fuga di notizie faceva notare che “alle sedute” partecipano “molte persone non incluse e non previste nel Comitato medesimo”, tra cui pure “addetti stampa e anche politici, inclusi sottosegretari e viceministri”.

Tra i verbali anche quello del 21 febbraio in cui, dopo il caso di Paziente 1 a Codogno, il Cts scriveva della “segnalazione proveniente dalla Regione Lombardia di casi sporadici in via di conferma” e quel giorno si poteva parlare ancora di “focolaio contenuto”. Già il 3 marzo, però, si era arrivati ad una situazione in cui c’era da “garantire alle strutture il potenziamento delle dotazioni sanitarie attualmente insufficiente a fronteggiare tali emergenze”.

E lo stesso Comitato, proprio il 3 marzo, mise nero su bianco la proposta di “adottare misure restrittive”, ossia la “zona rossa” ad Alzano e Nembro in Val Seriana, anche perché i due comuni “si trovano in stretta prossimità di Bergamo”. Zona rossa che non si fece, perché si preferì il lockdown prima regionale e poi nazionale l’8 e il 9 marzo. Da qui l’imputazione, tra gli altri, per epidemia e omicidio colposi per Giuseppe Conte.

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