L’AQUILA – La memoria non è solo lo spazio dei ricordi ma anche quello dei sentimenti, tanto che gli antichi ritenevano che avesse sede nel cuore.
Ed è per questo che ha ancora avuto senso accendere nella notte, dopo 15 anni, come ogni anno, le fiaccole e unirle in una processione di luce, nel cuore dell’Aquila, in ricordo di quella notte senza luce, del sei aprile 2009, quando una scossa di magnitudo momento 6,3, dopo un lungo e sottovalutato sciame sismico, causò 309 vittime, 1500 feriti, oltre 68.000 senzatetto e l’inagibilità di 933 siti monumentali, con 55 comuni colpiti oltre a quello dell’Aquila e le sue frazioni.
Circa 1.500, forse 2.000, contando chi si è aggiunto strada facendo, gli aquilani e non che hanno partecipato alla fiaccolata, ma non è importante il numero, è giusto e normale che tanti aquilani, nelle vie del centro, soprattutto i giovanissimi, hanno preferito trascorrere diversamente la serata. E che tanti aquilani, oramai invecchiati, hanno preferito accendere una candela sul davanzale della loro finestra. C’è chi fuori un locale fa la battuta: “3.22, io non dimentico”, suscitando risate. Ma forse anche questo significa il ritorno alla normalità, un goliardico segno di una rinascita.
Ha detto Federico Vittorini, giovane aquilano impegnato nel sociale che nel 2009 perse la mamma e la sorellina, figlio di Vincenzo Vittorini, volto simbolo di 15 anni di battaglie per il riconoscimento dei diritti delle vittime: “A quindici anni dal terremoto pensare di ridurre il 6 aprile ad un giorno incentrato soltanto sul tema del lutto e del ricordo di quella notte sarebbe riduttivo, quindici anni iniziano ad essere tanti, si può iniziare a vedere una nuova città, una nuova comunità che mai come prima d’ora ha bisogno di ritrovarsi perché ancora vagabonda alla ricerca di una stabilità e di una normalità che ormai non fanno più parte delle nostre vite”.
Esprimendo il senso di questa notte in una città che cambia e che si trasforma, in un mondo dove torna lo spettro della guerra globale. Una città con tanti problemi nel suo presente, come tante altre città normali, e che guarda al futuro e si prepara ad essere capitale della cultura nel 2026, che per molti aspetti è anche rinata migliore e più bella di quello che era.
“Chi è libero da quel passato sono i nati dopo il tragico evento e noi abbiamo il dovere morale di pensare a loro, aiutandoli a fare della memoria la sostanza della propria identità, ponendo in essere l’attività pura del rammemorare”, ha detto il sindaco Pierluigi Biondi.
Una città che da una parte si riscopre comunità nel ricordo del dolore e della distruzione, pronta il giorno dopo a tornare a dividersi, con toni aspri, intorno alla movida che toglie il sonno agli ancora troppo pochi residenti del centro storico, sulle scelte estetiche e strategiche della ricostruzione e il nuovo arredo urbano, sulla mancanza di parcheggi, sullo spettro della gentrificazione e di una città di cartapesta ad uso dei turisti. Sullo scandalo e sulla vergogna, questo sì, di una ricostruzione degli edifici pubblici che a L’Aquila dopo ben 15 anni è ferma ad un magro 37%, in una città che è ancora senza il Teatro stabile e senza la sua biblioteca, con la metà delle scuole non ricostruite, senza adeguati impianti sportivi, di cui simbolo è tra gli altri, il palasport regalato da Giappone, rimasto a metà, a proposito di capitale della cultura e dello sport.
Ad accendere il braciere al Parco della Memoria, sono stati due giovani aquilani, Elisa Nardi e Tommaso Sponta, entrambi nati nel 2009 e iscritti presso il Conservatorio musicale, e che studiano percussioni e violoncello.
“Ero appena nata quando c’ è stato il terremoto e ho vissuto questa tremenda esperienza attraverso il racconto dei miei genitori. Sono orgogliosa di poter partecipare a questa celebrazione e di ricordare con tutti voi le vittime di questo tremendo terremoto” ha Elisa Nardi.
“Mi sento privilegiato a poter essere presente qui questa sera, in rappresentanza dei ragazzi della mia età. Anche se non posso avere ricordi di quella notte, i racconti dei miei familiari mi hanno permesso di immaginare la paura e il dolore di quegli istanti. Durante questi anni ho ascoltato anche le storie di amici e ragazzi più grandi. Dalle loro parole ho percepito la fatica e la determinazione che hanno avuto nel voler tornare e rimanere a L’Aquila. Questo desiderio di rinascita ha permesso alla città dell’Aquila di riacquistare la sua bellezza. Penso, inoltre, che, nonostante il terremoto abbia lasciato segni indelebili nella nostra città, questo evento ha in qualche modo contribuito a rafforzare i legami nella nostra comunità” ha Tommaso Sponta.
Al fianco cella fontana monumentale, i nomi delle vittime di quella notte vengono scanditi con il sottofondo musicale dell’acqua. Una donna minuta non trattiene le lacrime, uno sconosciuto al suo fianco la rincuora.
Il ricordo è uno è un canovaccio narrativo i cui dettagli vengono via via modificati e armonizzati. La durata è il tempo vissuto e interiore ove in ogni istante confluisce l’intero passato. In questa notte aquilana, ancora di più. Filippo Tronca
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