LA VIOLENZA SULLE DONNE: COME SI GENERA E COME RICONOSCERLA

26 Novembre 2022 10:01

L'Aquila - Cronaca

di Flavio Colacito, docente scienze umane, giornalista*

La celebrazione del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, è un momento di riflessione per far comprendere a tutti la gravità di un fenomeno sociale che non conosce sosta, incidendo sulle nostre coscienze: dall’inizio del 2022 fino al 21 novembre in Italia sono state uccise 104 donne, quasi 10 al mese.

Questi dati sono allarmanti e lasciano sgomenti circa le modalità attraverso le quali si perpetra la violenza fisica e psicologica sulle donne, visto che le vittime uccise in una relazione di coppia o in famiglia sono 139 (45,9% del totale), 39 uomini e 100 donne. Il 58,8% delle donne è vittima di un partner o ex partner (57,8% nel 2020 e 61,3% nel 2019), mentre i minorenni sono spesso uccisi da persone che conoscono.

Ma quali sono i motivi che spingono famiglie o coppie apparentemente normali verso una spirale di violenza crescente? Le risposte sono estremamente complesse, perché mettono in gioco dinamiche non facili da spiegare o prevedere.





Tuttavia ci sono dei campanelli d’allarme che dovrebbero aiutare a interpretare alcuni segni premonitori riguardo il modo d’intendere il concetto di amore da parte di un uomo, a volte distorto tanto da diventare “malato”.

Il primo elemento è l’idea del possesso, ovvero ritenere che una donna, moglie o compagna, sia una “cosa”, alla stregua di un oggetto che si acquista e si tiene, oppure si getta via o accantona a seconda delle esigenze: la morbosità del rapporto non accetta che la donna possa prendere iniziative autonome, poiché quest’ultima è considerata similmente ad una proprietà privata e non è ammesso che possa agire liberamente.

Un altro elemento ricorrente nell’uomo possessivo, è il marcato narcisismo teso a ridimensionare la figura femminile, rimarcando la superiorità maschile: il lavoro della donna è visto come marginale e imperfetto, a detta del compagno spesso condotto superficialmente, inefficacemente, stupidamente, inculcando nel tempo un senso di colpa e insicurezza capaci d’intrappolare la malcapitata in un vortice senza apparenti vie di fuga.

Il possesso, unito al narcisismo, contribuisce nell’amore malato a far credere alla donna vittima di violenze fisiche e psicologiche che il proprio compagno possa cambiare e che, in fondo, quel che fa ha un fine benevolo: la speranza diventa quindi un motivo in più per non denunciare, soprattutto se ci sono figli da tutelare, situazioni di indigenza economica, ma anche la propria immagine, soprattutto quella morale, specialmente nelle realtà provinciali.





Cosa accade a questo punto? Che il cerchio si stringe, il possesso lascia il posto al controllo ossessivo, al punto da far venire meno la libertà della donna: il risultato è l’isolamento progressivo e l’allontanamento da amici, parenti, fino al pedinamento e allo stalkeraggio anche sul posto di lavoro, con l’obiettivo di mantenere un controllo totale là dove l’uomo si vede come l’unico tutore affettivo in grado di sostituirsi agli altri, facendo credere alla donna che l’ambiente esterno è pericoloso, che solo lui può amarla veramente, gli altri uomini vogliono invece usarla, trasformandola in una prostituta anche per un semplice sguardo di circostanza, una telefonata di un amico, un collega.

Anche le amiche di sempre diventano pericolose per l’uomo possessivo e narcisista, perché nel suo immaginario vengono considerate come possibili minacce, complici nel raccogliere le confidenze della donna sotto il suo controllo, denotando l’enorme fragilità e insicurezza caratteriale di una personalità spesso borderline, falsa e manipolatrice, capace di agire solo sulla vittima intrappolata in una relazione da cui è difficile uscire: la liberazione stenta ad arrivare perché la presa di coscienza della vittima è rallentata dal potere manipolatorio dell’uomo, principalmente quando la stessa donna non ha un’indipendenza economica e un grado d’istruzione elevato, oppure un contesto familiare d’origine dove potersi confrontare.

Il femminicidio vero e proprio arriva quando, rotte le catene della dipendenza affettiva, subentra una nuova visione della realtà, magari stimolata da un atto violento in presenza dei figli o comunque particolarmente grave: questo passaggio segna spesso un pericolo spingendo l’uomo aguzzino alla ritorsione e all’atto delittuoso vero e proprio. Alcuni femminicidi sono infatti caratterizzati da una profonda brutalità, apparendo cruenti e rabbiosi, una cosa che colpisce molto se si pensa che a compierli sono soggetti senza precedenti penali, talvolta rispettabili rispetto al contesto sociale al quale appartengono: in realtà questi soggetti spesso nascondono una natura sociopatica e misogina, con difficoltà relazionali con l’altro sesso, poco inclini al rispetto delle regole e al comando, in alcuni casi cospirazionisti e complottisti: la relazione per loro è una conquista e la donna frutto di questa conquista un catalizzatore sul quale convergere ogni forma d’attenzione.

Cosa fare? L’unica cosa giusta e denunciare e avere la forza di farlo rivolgendosi al numero anti violenza e stalking di pubblica utilità 1522, questo prima che sia troppo tardi, ricordando che ogni forma di violenza non nasconde mai un sentimento sano, ma è unicamente frutto di una personalità distorta che anderebbe curata, mentre l’amore vero si basa sul rispetto reciproco e sul senso di fiducia.

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