REPORTAGE SU ESCURSIONE A CHIESA DI SANT'ANGELO IN VETULI ED EREMO SAN LEOPARDO IN VALLE PELIGNA, DOVE PAGANESIMO E CRISTIANESIMO SI INCONTRANO E SI CONFONDONO, LA GUIDA, ''ABBIAMO TANTI TESORI ABBANDONATI DA SCOPRIRE E VALORIZZARE''

L’ABRUZZO A PIEDI: VIAGGIO NEI LUOGHI SACRIAL DIO MITRA, ERCOLE E ARCANGELO MICHELE

di Filippo Tronca

22 Dicembre 2019 07:37

Regione - Video

SULMONA – I cachi che addobbano quell’albero sono forse i pomi d’oro rubati da Ercole nel giardino delle Esperidi, dopo aver addormentato il drago custode, con il suono dolce di un flauto. E il grano e la vite, perchè dubitarne, sono gemmati dal midollo e dal sangue del toro ucciso da Mitra, dio immigrato dall’estremo Oriente. Il vento “impetuoso per li diversi ardori”, che spira in questa valle, non può che essere san Michele Arcangelo, che veglia sul cammino di pastori e vagabondi, colui che con un fuscello ammansì i demoni, e spalancando le porte degli inferi a Dante e Virgilio. 

Per moltiplicare i mondi, non occorre inforcare occhialetti 3d, o infilare la testa dentro elmi di virtual reality. Si può anche camminare in compagnia e a passo lento, lungo sentieri poco battuti della valle Peligna, nei pressi di Pacentro dalle alte torri, ai piedi della Majella, che nelle assolate domeniche di dicembre è una cattedrale di luce.

Guidati da chi si appassiona a raccontare il significato dei luoghi, come accade nell’escursione documentata da Abruzzoweb, organizzata da Savino Monterisi, che è anche giornalista del quotidiano on line Il germe, e Roberta Viggiani, eclettica operatrice culturale e cantante, con le rispettive associazioni TripAbruzzo e MovimentoZoè. Alla scoperta, questa volta, di due straordinari siti archeologici: Sant'Angelo in Vetuli, e poco lontano l’eremo di San Leopardo. Sconosciuti ai più, e in stato di triste abbandono, eppure custodi di miti millenari, luoghi di contatto e contaminazione, tra ancestrali culti pagani e il cristianesimo, a riprova che i confini del genius loci sono quelli del mondo intero. Chiamatelo, se proprio dovete, turismo emozionale.

“Sant’Angelo in Vetuli – spiega Savino – si ipotizza sia stato un luogo di culto consacrato ad Ercole, e poi a San Michele Arcangelo. Una sovrapposizione non casuale, dal periodo italico e romano, a quello cristiano. Tra l’eroe e il santo, ci sono infatti sorprendenti tratti comuni, che ancora oggi appassionano e dividono gli studiosi. E che qui si possono toccare con mano: il tempio prima, e la chiesa poi, sono state ricavate in una grotta, che è la porta d’accesso al sottosuolo, all’aldilà. L’acqua che sgocciola dalla roccia, simbolo di purificazione. Infine la localizzazione, in prosssimità del tratturo”.

In ordine di comparizione: Ercole, in età italica e romana, fu nume delle sorgenti, protettore dei viandanti, dei pastori e mercanti. Figlio di Giove, che si era unito con l'inganno alla regina Alcmena, prendendo le sembianze del marito Anfitrione, è stato il primo mortale che riuscì a diventare un dio, esempio ora rarissimo di mobilità sociale, al costo però delle dodici proverbiali fatiche. L’ultima delle quali lo portò all’inferno, per mettere al guinzaglio il mostruso cane Cerbero. Ebbe immensa devozione anche in valle Peligna, come testimonia il vicino e ben più conosciuto tempio a lui consacrato, aggrappato sul monte Morrone, poco sotto l’eremo di Celestino V, come pure le tante statuine votive ed epigrafi rinvenute nel territorio.

Avvenne poi che la clava e la pelle di leone di Ercole, divennero spada e rosso mantello. Quelli di Michele Arcangelo, santo e guerriero, comandante in capo delle milizie celesti che sconfissero gli angeli ribelli di Lucifero. “colui che fe' la vendetta del superbo strupo”, canta Dante nella Divina commedia. Il suo culto venne istituito dall’Imperatore Costantino nel 313 o giù di lì, ed ebbe grande impulso sotto i Longobardi, che proprio a Pacentro avevano un’importante roccaforte. Raccolse da Ercole, oramai in pensione, anche il compito di proteggere le sorgenti e i corsi d’acqua, e i pastori transumanti, come testimoniano le tante chiese, grotte ed eremi a lui consacrate, disseminate dall’Abruzzo alla Puglia, lungo i tratturi. 





L’escursione – scarpinata e volo pindarico è un tutt’uno -, non si arresta qui.

Costeggiando per un paio di chilometri il fiume Vella, scalata un’irta e sassosa collina, in cima alla quale si gode la bellezza dura della valle peligna, la vociante comitiva arriva in un’altro luogo dove sacro e profano, cristianesimo e paganesimo si incontrano e si confondono.

“L'eremo di San Leopardo – spiega Savino -, da quanto ci è dato a sapere, è una chiesa medievale, di cui resta ben poco, sorta sui resti di un edificio del primo secolo avanti Cristo, distrutta forse da un sisma. Quello che è davvero interessante, è però che la villa preesistente ospitava probabilmente un mitreo, consacrato a Mitra, divinità indo-iranico che compare nei Veda come dio della luce, il cui culto è poi arrivato in Asia Minore, e infine tra i Romani, importato, si ipotizza, dalle legioni che tornavano dalle campagne militari d'Oriente. Tra il mitraismo e il cristianesimo, anche qui, molti studiosi hanno riscontrato sorprendenti analogie. Non è un caso, poi, che a pochi chilometri c’è un colle che si chiama Mitra”.

E quanto basta per rendere eccitante, – si dice così nelle recensioni youtube degli influencer -, anche questa stazione della passeggiata.

Il dio Mitra qui in Abruzzo, nientemeno…

Nato da una roccia, sgorgato come una sorgente. Oppure da una vergine, in una grotta, tra pecore e pastori. Nel solstizio d’inverno, dunque più o meno a Natale, come il suo illustre collega Gesù Cristo. Anche lui sceso in terra per portare la pace nel mondo. Senza riuscirci. Incaricato da un corvo, inviato da suo padre il Sole, di uccidere il toro, dentro una caverna, per far sì che dal suo sangue gemmassero tutte piante necessarie per la vita dell'uomo. Nulla vieta a questo punto di immaginare che il sacrificio vivificatore si è consumato nella vicina grotta, annunciata da una selva di ginestre ed equiseti. A suggerire altre ipotesi ci pensa Roberta, che legge brani dal libro “I miei sogni sono stati tutti sulla Majella”, parole del pastore Paolino Sanelli, racccolte con devozione dall’agronomo Marco Manilla. Paolino rivela che i pastori a differenza delle loro pecore, dovevano tenere alto lo sguardo al cielo, per leggere le stelle, per orientarsi lungo il cammino. Pastori che avevano il vanto di condividere le grotte, con i soli santi eremiti.





Scendendo la collina, con un robusto appetito, dal mito si torna alla storia, contempranea e a venire. 

“La valle peligna, come buona parte delle aree nmontane e dell’entroterra – sostiene Savino -, vive il dramma dello spopolamento, tanti giovani, tanti miei amici sono andati via, per studio e per lavoro, e continuano a farlo. Qui poi il modello di sviluppo incentrato sull’industrializzazione si è esaurito, ha segnato il passo, già ad inizio degli anni duemila. 

E in questi vent’anni non si è trovata un’alternativa, si è solo navigato a vista. Per giunta lo Stato smantella man mano i suoi presidi. Non so dire quale sarà il futuro della mia valle, perché non passa tra le mie mani. Ma forse ha a che fare con quello che abbiamo proposto oggi: riscoprire le ricchezze dimenticate, sconosciute a gran parte dei nostri coincittadini.

E farlo a piedi, camminando, senza fretta. Se non si pone più attenzione alla bellezza che ci circonda, questo dipende anche dalla vita alienata che conduciamo nella quotidianità. Progresso per me è intanto riaccordare il metronomo impazzito che scandisce la nostra esistenza, al ritmo della natura”.

(riprese e montaggio di Filippo Tronca)

 

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