L’AQUILA – “L’Aquila ha meritato il riconoscimento di Capitale italiana della Cultura. Il mio auspicio è che faccia tesoro del dolore che ha vissuto, con la tragedia del sisma, perché aiuta a capire, porta un popolo ad avere più consapevolezza. Auspico che si recuperi il senso profondo di quel dolore, che ha creato solidarietà”.
Dare peso, senso e sostanza alla proposta culturale attraverso la memoria profonda di un trauma, e la forza che ci è voluta per superarlo, ai valori positivi e alla creatività che come il radon ha intriso l’aria tra le macerie e le tende, quasi 16 anni fa: questo, nell’intervista ad Abruzzoweb, in fondo, il consiglio di Dacia Maraini, scrittrice fiorentina, tra le più importanti italiane del dopoguerra, abruzzese di adozione, vincitrice del Premio Campiello nel 1990 e del Premio Strega nel 1999.
Una 89enne autrice di indimenticabili romanzi, piena di energia, arrivata alla guida della sua automobile dalla casa di Pescasseroli fino a Goriano Valli, frazione di Tione degli Abruzzi, 14o chilometri andata e ritorno, assieme al giovanissimo violinista milanese Leonardo Moretti. Per ritirare il MuDi Sirente Awards, premio istituito dal MuDi, il Museo diffuso del Parco Sirente Velino, e per presentare il suo ultimo libro, “Diario degli anni difficili – con le donne di ieri, oggi e domani”, edito da Solferino, che affronta la realtà degli abusi, dei femminicidi e più in generale della condizione di inferiorità cui le donne sono state condannate per troppo tempo.
La riflessione di Maraini, intorno al tema di L’Aquila capitale della cultura ha preso l’abbrivio, a margine dell’evento, da una conversazione in cui uno degli interlocutori ha osservato che ad Agrigento, capitale italiana della cultura 2025, e a L’Aquila, come in tutte le città e paesi, nei bar, in treno, al parco, si vedono sempre meno persone persone leggere un libro, che sempre più diventa un oggetto vintage, aggiungendo che oramai sono quasi più le persone che scrivono libri, rispetto a quelli che li leggono.
“Che, dire scrivere è un modo di esibirsi, ma ci vuole una competenza per scrivere. I social non aiutano l’ascolto, favoriscono il narcisismo. Si diventa protagonisti si sé stessi, si parla di qualsiasi argomento senza competenza. Questo fenomeno sta portando all’abbandono della scuola, sempre più privata della sua sacralità. I professori sono considerati cretini. Eppure i nostri nonni la competenza ce l’avevano, come contadini, artigiani o tessitrici. E’ vero, si legge troppo poco, e questo è dovuto secondo me anche al fatto che a un certo punto, mentre andava affermandosi la lingua italiana, tutto si è poi bloccato, nel nostro Paese, con la controriforma, che ha comportato il ritorno del latino. L’italiano è stato trascurato come lingua colta, come lingua popolare, che questo secondo me lo stiamo pagando anche ora”.
Nella visione di Maraini poi, innamorata dell’Abruzzo, “terra che ha mantenuto una purezza, una autenticità che altrove si è persa, “si può immaginare che le aree interne, i piccoli paesi, possano tornare ad essere anche loro una capitale culturale diffusa. Basta volerlo, tutto si può fare, ma va sconfitta una certa disperazione, il senso che non ci sia futuro, l’idea che il mondo vada in una direzione che non ci riguarda. Occorre contagiare la voglia di futuro, la voglia di comporre qualche cosa di bello e di piacevole, come per esempio recuperare e riabitare un piccolo paese della montagna abitato da poche persone, in via di abbandono”.
Cultura, aree interne, e poi le donne, tema al centro del suo ultimo libro, come i precedenti.
Un viaggio che parte da una tela struggente della grande pittrice Frida Kahlo, “che mostra una cerva dalla faccia di donna, che corre in un bosco. Il corpo è trafitto da frecce, come un san Sebastiano ferito, ma non soggiogato, mentre sul fondo si intravvede un mare in tempesta”.
Icona, simbolo delle donne ieri come oggi vittime di abusi, dei femminicidi e più in generale la condizione di inferiorità, “private di libertà e sottomesse, le donne hanno spesso introiettato il loro stato di inadeguatezza arrivando a considerarlo un fatto biologico. Bravissime a fare figli e accudirli, sono state considerate prive di un proprio pensiero e soprattutto di autonomia e libertà”.
Ha spiegato Mariani poi nel suo intervento: “il problema nasce quando l’uomo pensa che la donna sia una sua proprietà privata. Il femminicidio è la reazione di alcuni uomini che identificano virilità con il possesso, ma l’amore mai giustifica possesso. Una donna deve essere libera, di dire ‘vado via’, ‘non ti amo più. Ci sono state nella storia grandi donne artiste e scrittrici dimenticate, non valutate per il loro talento, riscoperte solo molto tempo dopo la loro morte. Si pensi oltre a Frida Kahlo, ad Artemisia Gentileschi. O anche alla scultrice francese Camille Claudel, amante dell0 scultore Auguste Rodin. La madre bigotta non poteva concepire che una donna potesse fare l’artista, essere una scultrice, e lei è finita in manicomio, da cui ha scritto lettere bellissime. Del resto, la misoginia è in essenza il non voler riconoscere l’autonomia intellettuale delle donne, la volontà da parte degli uomini di rimanere aggrappati ai previlegi, alle loro posizioni di potere. Era comodo avere gli schiavi, è ancora comodo avere donne sottomesse. Nel mondo per fortuna, l’emancipazione ha fatto grandi passi avanti, ma in molti paesi non è avvenuto”.
E qui si arriva anche al tema del linguaggio, e Maraini non ha problemi ad avanzare una critica alla premier Giorgia Meloni, la prima ed unica presidente del consiglio della Repubblica italiana.
“Lei ha messo in chiaro, ‘io mi chiamo presidente’, ‘il presidente del consiglio’. Io rispondo no, tu sei una donna, dovresti avere il dovere di far vedere che c’è anche un femminile nella politica. Non è una questione di sinistra o di destra. Il tema è che si dice ‘la cameriera’, ‘la serva’, ‘la prostituta’, ‘la barbona’, però poi più si va in alto nella scala sociale, nelle postazioni di potere, si deve dire ‘il “direttore’ e appunto ‘il presidente’, anche se è una donna”. ft
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