L’AQUILA – La bandiera italiana issata sul balcone della casa squillo in via Colagrande alla villa comunale dell’Aquila. Era il segnale per indicare ai clienti che il luogo era quello e che le prostitute erano pronte per le prestazioni.
Il processo, su questa vicenda ormai datata ma certamente singolare, è iniziato ieri in tribunale a carico di tre persone accusate a vario titolo, con sospetti tutti da provare, della violazione della legge Merlin che nel 1958 chiuse i bordelli dove si faceva prostituzione. Gli imputati sono Albagracia Paolino e Deda Florence i presunti gestori della casa chiusa oltre alla titolare dell’alloggio Rossana Germani cui è stato imputato solo il concorso pur non avendo nulla a che fare con l’attività illecita in questione. Ma per la Procura della Repubblica non poteva non sapere.
Il caso venne alla luce in quanto accadeva sovente che i clienti della lucciole, raccattati in buon numero tramite inserzioni, suonavano al campanello sbagliato mandando su tutte le furie i condòmini i quali lamentavano la loro esasperazione anche per il viavai di clienti e donnine straniere in abiti succinti che non lasciavano spazio a equivoci. E’ anche accaduto che qualcuno venisse svegliato in piena notte quando l’attività era ancora più frequente.
A quel punto i residenti resero pubblica una lettera di protesta e la polizia giudiziaria della Ps di Stato avviò le indagini poi passate alla Mobile. Strano che non sia stata contestata l’accusa di vilipendio alla bandiera visto che il vessillo di fatto è stato accostato al meretricio.
Ieri sono stati ascoltati dai giudici gli agenti che hanno fatto le indagini e il processo è stato aggiornato al 14 novembre. Gli imputati sono assistiti dagli avvocati Monica Badia, Simona Fiorenza, Norma Daniele.
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