ROMA – Alle ore 19.45, il presidente emerito della Repubblica, senatore Giorgio Napolitano, si è spento nella clinica Salvator Mundi al Gianicolo, a Roma.
Primo presidente eletto due volte, ha iniziato il suo primo settennato al Quirinale, nel 2006, ha dovuto affrontare quello che in molti considerano il periodo più buio degli ultimi 50 anni, navigando a vista tra gli scogli di una durissima crisi economica. Certamente il momento peggiore – che ha coniugato amarezza personale e preoccupazione istituzionale – è stato il suo coinvolgimento indiretto nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia con l’eccezionale deposizione alla Corte di Palermo salita in trasferta al Quirinale.
Proveniente dal Pci, salito sul Colle più alto della politica italiana con i soli voti del centrosinistra, ha chiuso il primo settennato con l’aperto sostengo del centrodestra.
Ci lascia l’uomo delle riforme a tutti i costi, napoletano di gran classe, elegante e “pignolo”, come egli stesso si è definito. Attento ad ogni dettaglio, lavoratore instancabile, profondo conoscitore della vita parlamentare e delle dinamiche politiche dell’intera storia repubblicana. Sempre accompagnato con discrezione dalla moglie Clio, Giorgio Napolitano gioendo per la vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio di Berlino e ha concluso i quasi due anni del secondo mandato con qualche rimpianto per non essere riuscito a vedere del tutto compiuti quei cambiamenti istituzionali per i quali tanto si è speso.
Ma soprattutto “re Giorgio” E lo ha fatto con una convinzione incrollabile: che l’Italia avesse bisogno di stabilità politica. In nome di questo principio ha cercato sempre di evitare scioglimenti anticipati della legislatura.
Quella di Napolitano non è stata infatti una presidenza leggera, né facile. Ma ha mantenuto sempre l’impegno preso il 15 maggio del 2006 quando da neo-presidente promise solennemente davanti alle Camere che non sarebbe mai stato il capo dello Stato della maggioranza che lo aveva eletto, ma che avrebbe sempre guardato all’interesse generale del Paese. E così è stato, visto che dopo essere
Un sostegno che si è via via raffreddato durante lo storico bis nel 2013 al Quirinale che ha visto Silvio Berlusconi condannato e spesso i suoi all’attacco politico del presidente.
L’elezione del 2006 non era per niente scontata. La sua lo faceva guardare con sospetto dal centrodestra berlusconiano. Ma il fatto di essere il primo dirigente comunista a diventare presidente della Repubblica non ha impedito al Cavaliere di riservargli, dopo poco, pubbliche lodi.
Fino alla richiesta di far restare lui al Quirinale per superare quella turbolenta fase politica. Un Parlamento annichilito, dopo aver bruciato nel segreto dell’urna calibri come Franco Marini e Romano Prodi gli consegnò di nuovo lo scettro del Colle, inondandolo di applausi mentre Napolitano teneva nell’aula di Montecitorio un discorso durissimo nei confronti di un’intera classe politica.
Le sue capacità di tenuta psicologica e mediazione gli sono state unanimemente riconosciute negli anni. Persino la Lega ha dovuto inizialmente riconoscergli l’impegno sul fronte del federalismo, nonostante piu’ volte il capo dello Stato abbia redarguito il Carroccio sul tema dell’Unita nazionale. Lasciata con dispiacere l’amatissima casa nel rione Monti, ha dedicato grande attenzione alle relazioni internazionali. Indubitabile è stata infatti la stima che ha goduto all’estero: Washington, ad esempio, lo ha sempre considerato uno fra gli interlocutori più autorevoli e affidabili.
Europeista convinto, Napolitano ha sempre sostenuto l’indispensabilità dell’Unione europea convincendosi via via che, così come in Italia, solo decise riforme dell’euroburocrazia potevano frenare il distacco dei cittadini e raffreddare il populismo crescente. Affabile e cortese, dai toni sempre misurati, si è trovato a dover affrontare un muro contro muro solo con Grillo e il suo movimento, visto dal capo dello Stato, almeno nelle sue componenti più estreme, come il germe dell’antipolitica.
Uno degli elementi caratterizzanti della sua presidenza è stato il tentativo di parlare all’Italia intera, di sedare lo scontro fra le correnti (a partire da quelle del Pd), di promuovere il dialogo fra le forze politiche nell’interesse del Paese. Compito non facile durante gli anni turbolenti dei suoi mandati. I primi due dei quali li passa monitorando le fibrillazioni che tengono il governo Prodi costantemente sul filo del rasoio. Fino alla caduta e al ritorno del Cavaliere a palazzo Chigi.
I successivi tre anni scorrono nello sforzo di arginare l’attivismo di Berlusconi, evitando che le furiose polemiche sulle leggi ad personam prima e sugli scandali sessuali poi minassero la saldezza delle istituzioni. Tentando di non fare ‘sconti’ al centrodestra, ma preferendo l’arma della ‘moral suasion’ a quella, ben più dirompente, del rinvio dei provvedimenti alle Camere.
Ma il passaggio che lo consegnerà alla storia come ‘re Giorgio” (così lo incoronò il New York Times) è quello che nel novembre 2011 porta Mario Monti a palazzo Chigi. I critici parleranno di Repubblica presidenziale, di interpretazione estensiva delle sue prerogative. I sostenitori la giudicheranno una mossa determinante per evitare che il Paese, spinto sull’orlo del baratro dalla crisi del debito sovrano, precipiti.
Evitato il default, l’Italia non riesce però a schivare la recessione. L’immagine del governo ‘tecnico’ del presidente risulta danneggiata. E con essa anche il sostegno politico all’inquilino del Colle. Le fibrillazioni del Pdl portano alle dimissioni di Monti e a quella ‘salita in politica’ del professore che Napolitano, inutilmente, sconsigliò. I risultati elettorali che non diedero una maggioranza chiara, i veti incrociati dei partiti spinsero quindi Napolitano a nominare Enrico Letta sulla base di una larga intesa.
Poi l’ascesa irrefrenabile di Matteo Renzi con il quale, nonostante la differenza di età, ha saputo costruire un rapporto sincero e pragmatico. Napolitano ha rassegnato le dimissioni il 14 gennaio 2015. È divenuto poi Senatore di diritto e a vita quale Presidente Emerito della Repubblica.
LUCIANO D’ALFONSO: “PRIMO COMUNISTA INVITATO ALLA CASA BIANCA”
“Il primo Presidente della Repubblica proveniente dall’ex Partito Comunista e il primo a essere stato eletto due volte alla carica più alta. Basterebbero questi due dati per definire la straordinarietà della vita di Giorgio Napolitano, ma c’è anche altro: fu il primo comunista italiano a essere invitato negli Stati Uniti – nel 1978, in piena guerra fredda – per tenere un ciclo di conferenze nelle università più prestigiose, e soprattutto fu il primo a teorizzare lo sbocco del PCI nella socialdemocrazia. In sintesi, era un comunista di vedute molto ampie che dopo la caduta del muro di Berlino sognava un’Europa unita e coesa. Con la sua scomparsa l’Italia perde un grande statista; da oggi la politica nazionale è un po’ più povera” , così il deputato dem Luciano D’Alfonso.
BIONDI: “VICINO A NOSTRA TERRA DOPO IL TERREMOTO”
“È con grande commozione che la città dell’Aquila ha accolto la notizia della scomparsa del Presidente emerito della Repubblica, senatore Giorgio Napolitano. Alla signora Clio, ai figli e ai nipoti, va l’abbraccio della nostra comunità che, anche nel momento di maggior sconforto e dolore, ha potuto contare sulla sua vicinanza”, così il sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi.
“Il 2009 è stato drammatico per la nostra terra e, da sindaco del Comune di Villa Sant’Angelo – prosegue Biondi – ho vissuto in prima persona la convinta e commossa partecipazione del Presidente Napolitano, protesa a condividere lo sgomento della popolazione e a confortarla con saggezza e grande sensibilità. Voglio ricordare le parole che Napolitano rivolse a tutti noi: <Gli aquilani non devono avere paura di essere dimenticati perché per fortuna la coscienza civica del nostro Paese e degli italiani non è al di sotto del dovere del ricordo e della vicinanza>. Parole che oggi risuonano profetiche. L’auspicio della ricostruzione si sta realizzando, con forte impegno e tanto cuore. Grazie Presidente!”, conclude il sindaco dell’Aquila.
PAGANO, “E’ STATO UN PROTTAGONSITA DELLA STORIA DEL NOSTRO PAESE”
“Con Giorgio Napolitano se ne va un protagonista indiscusso della storia politica del nostro Paese. Nella sostanziale diversità di vedute, e nella dialettica inevitabile che ha contraddistinto le nostre storie politiche, non posso non ricordare il suo ruolo di primo piano come Presidente della Commissione per gli Affari Costituzionali del Parlamento europeo dal 1999 al 2004. Alla sua famiglia e ai suoi cari il mio personale cordoglio”. Lo scrive, in una nota, il presidente della I Commissione Affari Costituzionali della Camera Nazario Pagano.
SOTTANELLI: “CI LASCIA UOMO DELLE ISTITUZIONI”
“Con la scomparsa di Giorgio Napolitano l’Italia perde un pezzo importante di
storia politica italiana della seconda metà del Novecento: un uomo delle Istituzioni che, durante la
sua vita, ha ricoperto il ruolo di Parlamentare Europeo, Ministro dell’Interno, Presidente della
Camera e primo Presidente della Repubblica ad essere eletto per due mandati”. Queste le parole
di Giulio Sottanelli, deputato abruzzese di Azione.
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