L’AQUILA – “C’erano anche delle tessere, carte di identità vuote. Credo ce ne fossero 20,15. Io ne ho sempre avute a quantità. Tutti i miei documenti vengono da Roma perché a Roma ci sono documenti per chiunque, documenti seri. C’è una strada in cui vanno tutti”.
Matteo Messina Denaro, il superboss mafioso incarcerato e morto a L’Aquila il 25 settembre, interrogato il 7 luglio scorso dai pm palermitani, parlava così dei documenti falsi usati durante la latitanza, smentendo di esserseli procurati attraverso i suoi favoreggiatori trapanesi e indicando in un non ben precisato falsario romano la fonte delle sue carte di identità taroccate. Il verbale di interrogatorio è stato depositato ieri.
Nello stesso verbale, il boss esprimeva il suo disprezzo per le nuove leve di Cosa Nostra. “Il mio mondo viene trasfigurato, non una metamorfosi normale, proprio una cosa indecente”. “Non potete mettere menomati mafiosi, senza voler offendere i menomati – ha spiegato – quando cominciate a prendere basse canaglie, gente a cui non rivolgevo nemmeno il saluto e li arrestate per mafiosità, allora in quel momento il mio mondo è finito, raso al suolo”.
Messina Denaro fa anche i nomi dei nuovi boss che disprezza: come Gino u mitra, Gino Abbate, boss palermitano della Kalsa. “Fa più schifo – dice – di qualcuno che lo ha generato e lo fate passare per mafioso?”. “I veri mafiosi sono altri, sono in giro”, conclude. Si tratta dell’ultimo incontro di Messina Denaro con i magistrati: il capomafia morirà due mesi dopo.
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