INTERVISTA AD ALICE PAGLIAROLI, AUTRICE DEL ROMANZO ''VIOLA''; ''CHI ESERCITA QUESTA PROFESSIONE NON HA TUTELE, MA BISOGNA AVERE IL CORAGGIO DI DENUNCIARE''

MOBBING E SFRUTTAMENTO NELLE REDAZIONI, ”CONDIZIONE DEI GIORNALISTI NON FA NOTIZIA”

di Filippo Tronca

5 Novembre 2019 06:54

Regione - Cronaca

L'AQUILA – “È paradossale che ci sia un tale deficit di informazione proprio sulle condizioni di vita ed economiche di chi l'informazione la fa. Facciamo la corsa allo scoop, uno contro l'altro, mentre le ingiustizie che troppi colleghi subiscono, e che molti di noi hanno subìto, ci sono del tutto indifferenti, ai limiti dell'autolesionismo”.

E' questo uno dei passaggi dell'intervista ad Abruzzoweb della giornalista marsicana Alice Pagliaroli, 33 anni, autrice di “Viola”, romanzo che è stato presentato sabato scorso ad Avezzano,  alla presenza del presidente dell’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo Stefano Pallotta, del presidente Dmc Terrextra Marsica e Anpi Marsica, Giovanni D’Amico, e del giornalista Federico Falcone, moderatore dell’incontro.

Pagliaroli racconta la storia di Giulia, assunta nella redazione di Viola. Sembra il coronamento di un sogno, ma dopo nemmeno due mesi comincia l’incubo: niente più orari, niente giorni liberi, nessun rispetto. Solo soprusi e insulti tutto il giorno, tutti i giorni. Viola è la storia di un malessere durato un anno, otto mesi e quattro giorni: tanto ci ha messo Giulia per andare via, per capire che il gioco non valeva la candela. 

Viola è un giornale immaginario, come pure la protagonista, Giulia. Ma quello che racconta Alice Pagliaroli, non è frutto della fantasia.

“E' uno spaccato, di quello che accade giorno dopo giorno, nell'indifferenza generale, in un settore, quello del giornalismo in profonda crisi”, assicura. E dove dilagano il precariato, i bassi salari, i contratti farlocchi, e le lunghissime gavette gratuite. Dove in casi estremi, come in tanti altri settori, si arriva al mobbing, ovvero al reato che consiste negli abusi e nelle vessazioni perpetrati ai danni di uno o più dipendenti da un loro diretto superiore gerarchico, o anche da parte dei colleghi.

Pagliaroli è nata ad Avezzano, giornalista sportiva, laureata in Culture per la Comunicazione. Ha collaborato con la redazione sportiva di diversi quotidiani cartacei laziali, tra cui L’Inchiesta, Ciociaria Oggi e Il Nuovo Giorno. Ha poi sposato la carriera televisiva, con Teleuniverso, ancora una volta come corrispondente sportiva. Da due anni circa è corrispondente del quotidiano on line Il Capoluogo.it.

Alice, da dove è nato questo libro, da quale esperienza specifica?

Una persona a me cara, che non lavorava nell'ambito giornalistico, mi ha raccontato una storia molto dura di mobbing. E' stata per me utile per far riemergere alla memoria quello che ho vissuto anche io, sulla mia pelle, nelle redazioni giornalistiche in cui ho lavorato in passato, ed anche a quello che accade a tanti, troppi miei colleghi. Il libro riferisce una storia di fantasia, ambientata in una redazione non specificata, ma tutto quello che viene raccontato è vero. 





Cosa accade alla protagonista in questa redazione, per così dire, immaginaria? 

La protagonista riceve offese continue e urla, sempre e comunque, soprattutto davanti ad altre persone, e anche davanti a sconosciuti. Subisce lo screditamento continuo, della persona e delle sue competenze, ovvero “sei incapace”, sei stupida”, sei rincoglionita”. Poi al di là delle offese, le continue minacce: di licenziamento, innanzitutto. Nel caso reale che racconto c'era poi un contratto di lavoro a tempo indeterminato, ma le veniva riconosciuto solo la metà della busta paga. Poi c'è la marginalizzazione, in più di un'occasione a Giulia non viene fatto fare nulla, gli viene proibito l'accesso alla tastiera, e anche ad un pezzo di carta e a una penna. Deve  restare seduta a fare nulla, tutto il giorno.

Perché Giulia non si è ribellata? 

Era soggiogata, in uno stato di prostrazione psicologica, e come tutte le vittime di mobbing e violenza in generale, fa fatica a sottrarsi all'abuso, non lo riconosce, cerca di venirci a patti, se ne vergogna. E se lo riconosce non sa come sottrarsi. Spesso per paura di non poter più arrivare a fine mese, perdendo anche quella piccola retribuzione su cui può fare affidamento, nella consapevolezza che fuori da quella redazione, che è diventata una prigione, è molto difficile trovare un altro lavoro. 

Perché si arriva a praticare mobbing? 

Chi lo fa è una persona stupida, innanzitutto, perché disperde risorse umane e professionali, ovvero opportunità economiche, mina alla base il rendimento del suo personale, la qualità del prodotto. Ma ancor prima, banalmente, è una persona violenta e ignorante, che ha bisogno di esibire il suo potere. Il mobbing in luogo di lavoro, nasce spesso da una frustrazione personale, che porta a sfogarsi sulle persone deboli, con quelli che si ritengono sottoposti, per non dire schiavi. 

Perché hai deciso di fare la giornalista? 

Il giornalismo è stato da sempre la mia passione, e ho sempre amato il calcio, da piccola facevo la telecronaca delle partite alla play station di mio fratello, togliendo il volume della consolle. Con l'inizio dell'università, non esistendo una facoltà dedicata, ho iniziato così a fare pratica, la classica gavetta, per ottenere l'agognato patentino da pubblicista, con vari giornali e televisioni del basso Lazio. Ho iniziato anche a fare l'inviata nei campi di calcio. Il tutto senza mai un contratto di lavoro, ovviamente, due soldini ogni tanto, con collaborazioni occasionali. Una gavetta infinita, insomma. Ad un certo punto ho deciso di fermarmi, di dire basta. Il gioco non valeva la candela. Poi il demone della scrittura è tornato a farsi sentire. Ora per fortuna ho trovato altre collaborazioni, questa volta onestamente retribuite, e in contesti lavorativi dove sono rispettata.

Hai mai pensato di fare vertenza, di far valere i tuoi diritti?





Il sindacato dei giornalisti l'ho incontrato solo una volta, per una vicenda specifica, e mi è stato utile, per il resto non credo che sia uno strumento efficace, un supporto concreto. In passato, va anche detto, non ho mai pensato di denunciare gli abusi e le ingiustizie subite, pensavo che fosse giusto cosi, perché stavo facendo gavetta, lavoravo poi in un ambiente sportivo, dove per una donna è già difficile di suo. Pensavo che facesse tutto parte del gioco. Sbagliandomi. 

Perché la misera condizione del lavoro giornalistico non fa notizia? 

In effetti è paradossale che ci sia un tale deficit di informazione, proprio sulle condizioni di vita ed economiche di chi l'informazione la fa. Facciamo la corsa allo scoop, uno contro l'altro, mentre una notizia grande come una casa, che abbiamo davanti agli occhi, giorno dopo giorno, ci è del tutto indifferente, ai limiti dell'autolesionismo. 

Perche secondo te questo accade?

Innanzitutto perché non abbiamo nessuna tutela, nessuno a cui rivolgerci. Siamo sotto ricatto, economico, innanzitutto. Ci rifacciamo ad una legge di settore del 1963, a dir poco datata e inefficace. Non c'è nessun controllo sulla professione, nè dal punto di vista del trattamento economico, né del rispetto delle normative del lavoro. Condivido quello che ha detto il presidente Pallotta, alla presentazione del libro, ovvero che gli abusi andrebbero denunciati in modo collettivo, facendo squadra in redazione, perché a quel punto l'Ordine può intervenire, far partire controlli, inviare ispettori, agire anche legalmente. E condivido anche che il percorso legislativamente imposto per accedere alla professione, che permette agli editori di sfruttare gli aspiranti giornalisti per due anni, ormai risulta essere decisamente superato. 

Si può fare informazione di qualità, enzima ed architrave della democrazia, se il produttore di informazione, vive in condizioni di lavoro così frustranti?

Determinati contesti lavorativi favoriscono l' approssimazione,  la mancanza di passione, e anche la mancanza di terzietà, per arrivare alla censura, e al dilagare delle “marchette” politiche. Il giornalista lavora sotto minaccia, non ha potere decisionale, costretto per sopravvivere a obbedire agli ordini di un editore che non conosce nulla, e dico nulla, della professione giornalistica.
La redazione diventa la stanza dei giochi dell’editore, senza alcuna cognizione di causa.

Il tuo libro ha smosso le acque?

In queste poche settimane molti colleghi, e non solo, mi hanno contattata, e mi hanno confidato che si sono riconosciuti, pagina per pagina, in quello che racconto di Giulia, personaggio immaginario.

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